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The Counselor: Ridley Scott si mette in gioco, ma perde – La recensione

Creato il 13 gennaio 2014 da Oggialcinemanet @oggialcinema

13 gennaio 2014 • Recensioni Film, Vetrina Cinema •

commento di Diego Scerrati

Summary:

The Counselor: Ridley Scott si mette in gioco, ma perde – La recensione

L’avidità del denaro è la radice di tutti i mali.” Così sentenziavano le Sacre Scritture e così prova a sentenziare anche Ridley Scott, che di “sacro”, c’è da dirlo, non è che abbia prodotto poi tanto in quest’ultimo decennio. Non fa eccezione questo The Counselor, divertissment cinematografico per il regista di Blade Runner e Thelma & Louise, che costruisce una pièce crudele sul potere degradente della sete di denaro, approfittando di uno script firmato da Cormac McCarthy (lo scrittore dietro opere come Non è un paese per vecchi e The Road).

Se il reparto attori del film funziona alla grande, talvolta anche a sorpresa (una più che convincente Cameron Diaz in versione femme fatale), non si può dire lo stesso di tutto ciò che ruota loro intorno, a partire proprio dalla sceneggiatura, che se da una porta conferma le doti letterarie di McCarthy in alcune scene al limite del verboso, dall’altra ne dimostra tutti i limiti nel comprendere pienamente tecniche e ritmi della narrazione su grande schermo.

Ne è un perfetto esempio la costruzione del protagonista, un discreto (ma nulla più) Michael Fassbender, la cui figura di “counselor” rimane pressoché anonima per tutto il film. Non se ne comprendono innanzitutto le motivazioni che lo spingono ad entrare in un giro pericoloso di droga (a parte forse il futile motivo di un anello di diamanti da donare alla sua ragazza, la solita sensuale Penelope Cruz), ma soprattutto il personaggio sembra quasi non agire mai, preda dei ben più carismatici comprimari, interpretati da un istrionico Javier Bardem e da un Brad Pitt in veste di cowboy (con tanto di strizzata d’occhio al ruolo che lo lanciò in Thelma & Louise).

The Counselor

Finisce che il neanche troppo complesso mosaico narrativo si snodi con poco mordente, gestito male nei suoi sviluppi, ma soprattutto con scarso ritmo, soprattutto nel finale, durante il quale prendono il sopravvento monologhi retorici sull’avidità umana farciti da piatte citazioni e frasi ad effetto. Il tutto si sposa malissimo con una confezione che, pur nel suo essere metafora del lato oscuro umano, dovrebbe invece giocare in molti punti sul surreale e sul grottesco.

Non fa la differenza nemmeno la regia di Ridley Scott, ormai sempre meno incisivo dietro la macchina da presa. Anche per colpa di uno script non propriamente solido, il suo stile oscilla in continuazione tra pulp, noir e western, senza mai assumere però una precisa identità. Il proverbiale stile di ferro del regista americano non riesce a dare alle immagini quella profondità spaziale e quell’iconicità che invece erano il punto di forza dei Coen in Non è un paese per vecchi. Gli stessi personaggi, nella loro surreale caratterizzazione, non comunicano nulla, ma rimangono simpatiche macchiette un po’ assurde che non bucano lo schermo.

Echi di malinconia del vero Ridley Scott si rivedono nelle (poche) scene d’azione e in qualche buona idea, soprattutto sul fronte gore/trash (la decapitazione del motociclista, lo “strambo” dispositivo di strangolamento ideato da Bardem, l’amplesso della Diaz sulla sua macchina fiammeggiante), ma rimangono pochi sussulti in un film che alla fine è un’accozzaglia di scene e momenti senza connessione né anima, continuamente indeciso tra stili e generi diversi. Brutto scivolone dunque per Ridley Scott, che decide di rimettersi in gioco con un film lontano dal suo cinema e per giunta non ad altissimo budget. Peccato, però, che le sue carte le giochi male: il risultato non va infatti che a confermare l’ormai scarsa vena di un regista che sembra non riuscire a tenere il passo coi tempi.

di Diego Scerrati per Oggialcinema.net

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