Magazine Cultura
Incredibile. Ho ritrovato per caso il numero 67 di Rockerilla, del marzo 1986, con il mio articolo sui The Del Fuegos, che avevo dato per perduto. Dovrei forse vergognarmi un po' dei toni sopra le righe, ma come direbbe Bob Seger, I was young and wild! Ve lo propongo.
Corsi e ricorsi. Chi è nel rock da un sacco di tempo, come il sottoscritto, si è accorto ormai che le cose non procedono in modo omogeneo, in ordine sparso, tipo ogni anno dieci dischi buoni, dieci cattivi, quattro gruppi nuovi e così via. C'è stato il 1976 a Londra, un sacco di energia tutta in una volta, Sex Pistols, Clash e Graham Parker che ti saltano fuori da tutte le parti, e subito dopo la Stiff, la nuova ondata Beat, i Rockpile, Joe Jackson e compagnia. Ma nell'80 zac! si spegne l'interruttore e la cosa più divertente che da allora puoi ascoltare sono i Culture Club. Oltreoceano lo stesso: a NYC dopo dieci anni di torpore e su un Greenwich ammuffito, nel '77 saltano fuori Mink DeVille, Ramones, Blondie, Talkin' Heads e tutti gli altri. Nello stesso momento in California la gente sui bordi delle piscine si sloga le mascelle dagli sbadigli, noia di una generazione di autori giunti al capolinea, Nash che ha bisogno di eroina anche solo per arrivare al bagno, un Jackson Browne al canto del cigno, gli stucchevoli Fleetwood Mac, la signora SLick ed i suoi Jefferson ed i morti riconoscenti del signor Garcia. Ed al vecchio sud di bollente era rimasto ormai solo il sole, fra un Gregg Allman perso dietro alla Cher prurito della sua gioventù ed i Lynyrd Skynyrd, poveretti, arrostiti come sulla copertina dell'album. Marshall Tucker a sperimentare come cocaina e dollari fossero un'accoppiata più eccitante di rock & roll & Jack Daniels. Passa qualche anno e cosa succede? New York City è diventata la patria dei radi e getta, disco music, moda e frivolezza. Viceversa in California hanno seppellito i morti e si sono simboccati le maniche: una fanzine -Slash - riesce a diventare una rivista che riesce a diventare una label discografica che riesce a diventare la culla del nuovo rock americano. I fratelli minori dei fan di John Fogerty imparano a suonare e di nuovo sono le dodici battute ad infiammare i teenager. Le porte dei garage si spalancano e saltano fuori Blasters, Los Lobos, Jason, Long Ryders, Violent Femmes, Beat Farmers, Lone Justice. In classifica trionfano Springsteen, Fogerty, Cougar. È sempre così: sotto le ceneri ardono le braci. Così non è che sulla east coast si siano rincoglioniti tutti. Corsi e ricorsi, ed il ricorso si chiama Del Fuegos e viene da Boston, Massachussett, New England, la città di Jonathan Richman e di una quantità di garage band fra cui forse si nasconde qualche promessa come i Lyres ed i Neats.
I Del Fuegos non sono dei pivelli: hanno già inciso due album per la Slash, che si è accorta di loro nonostante la larga fetta di America che separa Boston da Los Angeles. Sono il gruppo preferito del Boss, che è innamorato di Backstreet Nothing, la canzone più bella del primo album, e che assieme a Nils Lofgren è salito sul palco ad un concerto dei Fuegos in North Carolina per suonare con i ragazzi Hang On Sloopy e Stand By Me. Robert Plant è innamorato di I Can't Sleep, il retro del primo 45 giri del gruppo, un bluesaccio che a suo dire lo accompagna nelle nottate insonni nei Motel, tanto che lo ha inciso con gli Honeydrippers e non è escluso che finisca sul prossimo lavoro della band.
Boston, Mass, il secondo recente album dei Fuegos è pure finito nei posti alti delle preferenze di un sacco di critici e, se vi interessa, è il mio disco preferito del 1985. I Del Fuegos benché giovanissimi sentono il senso delle radici musicali di un paese come gli States, quella impagabile musica americana fatta di blues, ballate, rock & roll, soul, Chuck Berry, Phil Spector, Creedence, Tom Petty, il Boss. Senso delle radici che appare chiaro nei titoli, come l'attaccamento al patrio suolo di Boston, della sua musica e dei suoi umori. The Sound Of Our Town! E dire che Boston non è neppure la città di origine dei quattro che in realtà sono del New Hampshire, lì sono nati, sono cresciuti, si sono conosciuti ed hanno messo assieme il gruppo nel 1981. Allora erano un trio, Dan Zanes (il leader, chitarra e voce), Tom Lloyd al basso ed una serie di batteristi di cui non vale la pena di ricordare il nome. I tre approdarono a Boston nel settembre di quel 1981, suonavano un rock un po' alla Richman, un po' surf, volevano sfondare ma non sapevano bene come.
"Amavo moltissimo Jonathan Richman, lui e Buddy Holly. L'ho visto per la prima volta quando facevo le superiori. Siamo partiti per vederlo suonare a Boston io, mio fratello Warren, mia sorella e mia madre".
Warren, il fratello minore di Dan, stava finendo gli studi. Appena diplomato i tre lo andarono a prelevare per portarlo a Boston. Era il nuovo chitarrista e così, come accade nelle storie più belle (Creedence, Kinks, Dire Straits, Blastes, Frank and Jesse James) i Del Fuegos erano diventati la band di due fratelli. Dan è un tipo incredibile, un incrocio fra il Sylvester Stallone di Taverna Paradiso e l'Elliott Gould di tutti i film, bello moro e riccio, faccia da duro ma di quelli che sai che poi salta fuori che sono buoni, ed un berretto che non si capisce se vuole essere quello di Marlon Brando in Gioventù Bruciata o quello di un fattorino. Adora Springsteen ma canta come Mick Jagger. Warren, il fratellino, sulla copertina del primo album potrebbe essere l'attore di un film di Walt Disney, un bambino biondo con un'enorme Telecaster a tracolla. Lo rivedi poi l'anno dopo con quel ciuffo sugli occhi e il giubbottaccio di pelle, modello ti ci vorrebbe un anno di servizio militare…
Il primo 45 giri lo incisero per divertimento, una garage band che prova l'emozione del vinile. Un amico danaroso ci mise i soldi ed inaugurò la Czech Records. Lato A, I Always Call Her Back, un surf strumentale, lato B I Can't Sleep, il bluesaccio di cui sopra. È la Ace Of Hearts Records ad offrire ai quattro la possibilità di incidere un LP. Non è che i ragazzi fossero proprio dei virtuosi dei propri strumenti: si trattava ancora di un muro di suono per far ballare la gente nei club. Ma Dan aveva già orizzonti più ampi, oltre i confini ancora limitati della band, sognava un suono rock levigato alla Springsteen.
"Le canzoni che più abbiamo ascoltato sono il soul degli anni sessanta, e poi Chuck Berry, Bo Diddley, Buddy Holly, Everly Brothers. Ma più di tutti ci hanno influenzato Petty e Springsteen. È meravigliosa questa resurrezione del rock & roll americano: ci sono in classifica Bruce e Fogerty! Penso che noi Del Fuegos siamo capitato nel posto giusto al momento giusto".
Così Dan inviò i nastri che stava registrando alla Slash di L.A. e quelli inviarono a loro volta un talent scout per osservarli in concerto. L'impressione non fu però entusiasmante ed il contratto non si fece; ma Dan non si perse d'animo ed inviò altri nastri a T Bone Burnett e Dave Alvin e fu l'entusiasmo dei due a convincere Bob Briggs, il boss dell'etichetta, del potenziale che si celava dietro le ruvide registrazioni. La Slash acquistò i nastri alla Ace Of Hearts (tranne due brani già pronti, Crying In The Rain degli Everly Brothers e Busy Man) e mise a disposizione un vero studio di registrazione, i Sunset Sound Factory, e soprattutto un vero produttore, Mr Mitchell Froom.
"Mitchell è stato veramente unico per noi: ci ha insegnato come va arrangiata e registrata una canzone. Ci ha fatto davvero entrare nel ritmo del R&B. Ha preso tante canzoni che facevamo e ci ha fatto capire come potevano diventare. Un'armonica in Mary Don't Change, un Hammond B3 in Backstreet Nothing… pensa, quella era una vecchia canzone che neanche facevamo più. Lui l'ha ascoltata, ha proposto qualche cambiamento ed ora è il nostro pezzo preferito, una canzone di grande feeling. Mitchell è grande: gli bastano poche parole subito vedi le cose come lui, in un modo molto… intenso".
Il risultato è sbalorditivo. The Longest Day, il primo album dei Del Fuegos, è davvero un disco fuori dal comune e nonostante i ragazzi non li citino mai i binari su cui le canzoni corrono saldamente sono quelli dei primi tre album dei Rolling Stones, quelli delle cover dei R&B americani e dei primi lenti semiacustici di Jagger & Richard. Questione di radici: non per niente un altro nome che ti salta subito alla mente è quello dei Mink DeVille di Cabretta e Return To Magenta, sporchi, caldi, colorati, duri ma anche tanto dolci.
Ti aspetti che fra un solco e l'altro posso saltar fuori I Heard It Through The Gravepine. Non a caso il repertorio live comprende classici del soul come In The Midnight Hour, I Thank You, The Way That Love Is. Su tutto Dan Zanes rovescia i colori della periferia, delle backstreets umide di pioggia, bar fumosi, prostitute nere, piccoli delinquenti, macchine con le fiamme colorate sui fianchi. È lo stesso film di It's Hard To Be A Saint In The City: una realtà così viva esiste solo nella celluloide, sui dischi e nelle pagine di Bukowski. Alcune sequenze sono impressionanti: Backseat Nothing, con il suo ritmo di R&B notturno, ha un passo da Cadillac Walk e lo sculettare di Pretty Flamingo. Missing You è stato descritto come gli Everly Brothers che cantano una canzone di Buddy Holly. Anything You Want, un lento alla sixty.
"Ho voluto scrivere l'album su tutte le ragazze che mi hanno fatto diventare pazzo in vita mia".
Non per niente The Longest Day si apre con "non voglio nessuna che non voglia me, ma non voglio nessun altra se non posso avere te".
Mary Don't Change, un'armonica country su un tema rock & roll, e Have You Forgotten, l'altro lento, in perfetto stile Stones.
"Tesoro, dimmi la verita, hai dimenticato?
i vecchi tempi, te li sei scordati?
tutte le promesse che mi hai fatto
portate via come dal vento
hai dimenticato?
Ora passeggio solo per la strada
il mio cuore mi sanguina sui piedi
e tu dici che il tuo amore era sincero
ma te lo sei dimenticato?
Tutto quello che ho fatto per te
ti sei dimenticata?"
Out For A Ride e Call My Name sembrano uscire da un album di Bo Diddley, con sotto Warren Zanes che crede di essere Jimi Hendrix. L'album non vende molto, qualche migliaio di copie. Ma conquista alla band i favori della critica e moltiplica i fan sull'intero globo, compresi Springsteen e Plant. Passa un anno e si ritorna in sala d'incisione con Mr Froom. Boston Mass è il risultato degli sforzi. Un disco adulto, un capolavoro. Senza tradire le proprie radici i fratelli Zanes passano a volo radente su vent'anni di rock. Il cambiamento è più formale che di sostanza; in realtà è l'acuisita tecnica strumentale e di studio che permette ai Fuegos di ottenere i suoni del disco. Dove non arrivano le ruvide chitarre dei fratelli Zanes supplisce la bravura di un navigato Jim Ralston, chitarrista della Tina Turner Band. Boston Mass è un atto di amore verso il suono metropolitano non solo di Boston ma di ogni metropoli dell'east side, da NYC a Detroit a Chicago. Un disco che fa il pari con The River di Springsteen e le Chat Bleu di Mink DeVille. Un disco che avrebbe potuto far da colonna sonora a All'Ultimo Respiro. La colonna portante è il ritmo, il basso e la batteria attorno a cui echeggiano chitarre, cori ed il piano Wurlitzer. Qualche cosa che accadeva con i primi album dei Police, anche se Mr Sting è lontano dalla profondità e dalla ricchezza di queste immagini e non possiede il calore cuore a cuore di queste canzoni. Don't Run Wild, che è anche il primo singolo tratto dall'album, potrebbe proprio essere un sogno of the blue turtles. Hand in Hand e Shake sono due rock & roll frenetici, tirati come una Workin On The Highway, coinvolgenti come un pezzo degli Stones. Still Want You echeggia le impressioni malinconiche del grande Willie Nile, ma finisce poi con il dichiarare l'amore per le sonorità dell'adorabile Tom Petty di Breakdown. Su tutto spicca il lucido intrecciarsi delle chitarre degli Zanes con i solismi liquidi di un Jim Ralston che si dimostra grande. Detto così già sarebbe un gran album ma devo ancora raccontare dei tre gioielli. Night On The Town è il fratello grande di Longest Day: un inno, una bandiera a tempo di rock con la freschezza da hit da radio FM ed una carica da Born To Run. Una macchina lucida, la radio accesa, la notte su una città elettrica, e lei dov'è?
Fade To Blue è un lento sofferto e delicato, sezionato da una chitarra a serramanico.
"La nostra vita è così dolce, amore
i nostri cuori così sinceri
sarò davvero triste guardando tutto questo rovinarsi"
Coup DeVille, non vi dicono niente queste due parole? È il fantastico R&B di chiusura, triste, maledetto, con la chitarra che ti affetta il cuore, da ascoltare respirando piano. Ma allora c'è ancora gente che sa scrivere queste canzoni!
The Del Fuegos. Per me… il numero uno.
Blue Bottazzi, Rockerilla.
Si sa poi come finì la storia. I Del Fuegos restano un mito del rock & roll degli anni ottanta, ma non ebbero troppo successo e per qualche motivo Warren Zanes decise di chiudere l'avventura, anche se non fu mai capace di dare un seguito alla propria carriera. Nel 1987 arrivò Stand Up, l'ultimo album prodotto da Mitchell Froom per la Slash records. Un album particolare, un po' letterario, giocato su un R&B adulto e con una delle mie canzoni preferite, I'll Sleep With You (Cha Cha D'Amour). Poi il contratto fu sciolto, Dan Zanes lasciò la band (succede sempre così nelle band di fratelli), i Del Fuegos cambiarono casa discografica (RCA) e produttore (Dave Thoener) per realizzare nel 1989 il loro capolavoro, Smoking In The Fields, un grande disco di rock & roll adulto che sembra abbandonare il rock romantico metropolitano dei primi due lavori per un grande disco di rock rurale americano, un rock delle praterie e delle chitarre elettriche, fra gli Stones e The Band. Con una sequenza di grandi canzoni da brivido, fra cui I'm Inside You, Breakaway, Dreams Of You, Stand By You, Part Of This Heart. Quando i Del Fuegos ed il loro leader erano all'apice della maturità, Warren per qualche motivo decise di togliere la spina. Una pessima idea, per noi fan e per la sua carriera. Nessuna nuova band negli anni a venire mi avrebbe entusiasmato così tanto fino ai Wallflowers di Bringing Down The Horse.
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