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Ed è in qualità di questa definizione che "The Equalizer: Il Vendicatore" salva la sua reputazione, abbracciando stretto stretto l'elemento della coerenza, che va a identificarlo come action-scanzonato e soprattutto va a mettere al riparo il suo regista, Antoine Fuqua, da eventuali ricadute ironiche-involontarie come quelle già manifestate nel precedente "Attacco al Potere: Olympus Has Fallen". L'ironia che infatti invade il suo adattamento della serie televisiva anni '80, "Un Giustiziere a New York", è assolutamente cercata e voluta, una colonna portante che, oltre a divertire lo spettatore, sa come fare per rapirlo e coinvolgerlo, distogliendolo dalle varie buche che tuttavia una trama come quella che fa da sostegno può coprire ma non nascondere. Il personaggio di Washington assume così le fattezze di un vero e proprio Cavaliere Oscuro in pensione (impiegato in un negozio di materiale fai da te), uno di quelli che ha rinunciato alla violenza per amore, ma con un debole per la giustizia: tendenza per la quale non riesce a sorvolare sul giro di prostituzione che vede l'adolescente Alina - ragazza conosciuta per caso - cadere vittima di alcuni russi e dei loro scopi economici, e che lo trascina a vedersela con un organizzazione criminale-mafiosa assai più vasta del previsto.
Per quanto apparentemente scontato dunque "The Equalizer: Il Vendicatore" intraprende il suo cammino consapevole di voler essere materiale surreale al servizio di quel tipo di spettatore che si esalta ogni qual volta vede il buono schernire e prendere a bastonate il super-cattivo di turno. Come era stato per il Liam Neeson di "Io Vi Troverò" anche Washington stavolta si concede il lusso di mostrarsi inattaccabile, di non dare mai la minima sensazione di perdere la battaglia che gioca a carte scoperte contro un killer-a-sangue-freddo e la sua squadra di assassini nati. La sua è una strategia che per esigenze di sceneggiatura lo obbliga a stare perennemente due, se non tre, passi avanti al nemico e puntualmente distruggerlo ogni volta che questo gli si avvicini troppo, o non obbedisca alle richieste di resa o di pace. Un percorso dai risvolti prestabiliti, quindi, dove non c'è - per volontà dell'autore - il tempo di fare del Male una potenza o una minaccia da temere, ma solo quello per punirlo severamente secondo le regole della legge che ognuno di noi vorrebbe vedere applicate.
Poco importa perciò se la guerra giocata dal protagonista cominci e finisca all'interno del suo orticello, in quel microcosmo che una volta curato e guarito non estende affatto alcuna promessa globale di purezza, limitandosi ad accettare la tregua temporanea conquistata e fine a sé stessa. Perché di "The Equalizer: Il Vendicatore" conta solo la goduria, il suo farsi prendere così com'è, ovvero come pop-corn-movie ironico e muscolare di un regista che forse ha compreso i suoi limiti e i suoi punti di forza, raggiungendo finalmente la stabilità.
L'invincibilità di Washington diventa in questo modo meno ridicola e sopportabile, affiancata ad un contesto recintato che non solo lo esalta, ma lo incita a non fermarsi per farla pagare a chiunque se lo meriti e gli passi sotto il naso.
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