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The Grand Budapest Hotel : un viaggio nell’assurdo

Creato il 07 aprile 2014 da Oggialcinemanet @oggialcinema

The Grand Budapest Hotel - PosterIl giudizio di Claudia Catalli

Summary:          

The Grand Budapest Hotel: Un viaggio nell’assurdo che vale molto piu’ di Zero

C’e’ chi lo ha definito thriller, ma The Grand Budapest Hotel, ultima creatura cinematografica partorita dal genio di Wes Anderson, e’ piuttosto una dark comedy fiabesca sospesa tra l’orrore della guerra e la corruzione dell’animo umano. Colorato, avventuroso, visionario e ricco di colpi di scena, il film  ha aperto la 64 Berlinale catapultandone gli spettatori in un’Europa dell’Est non meglio definita, alla rocambolesca ricerca di una, o piu’, verita’.

Si racconta, partendo dalla metaletteratura (il racconto del racconto, cinema che parte dal romanzo del viennese Stefan Zweig e si prende la briga di un prologo buffo sul potere dell’ispirazione), l’incredibile avventura di Gustave H (un Ralph Fiennes maestoso), concierge leggendario di un altrettanto mitico albergo (che da’ il titolo al film), supportato e sopportato dal Lobby Boy tuttofare Zero Mustafa. Tipico anti-eroe nerd dei film andersoniani, goffo, imbranato  dal cuore grande e dall’ironia pungente, sara’ lui a raccontare la storia decine di anni dopo ad un curioso Jude Law pronto a prendere appunti su una trama di seduzione, tradimenti, intrighi, eredita’ miliardarie.

The Grand Budapest Hotel

La forza del film sta in una regia matura e stupefacente (sul piano estetico e’ forse il miglior film di Anderson) e nell’alchimia di un cast stellare che accomuna attori feticcio dell’autore di I Tenenbaum (ovvero i vari Adrien Brody, Bill Murray, Willem Dafoe, Edward Norton, Jason Schwartzman, Owen Wilson e Tilda Swinton, qui versione invecchiata e irresistibile) con new entries degne di nota (i francesi Mathieu Amalric e Lea Seydoux, ma anche la giovane Saoirse Ronan, con una voglia sulla guancia e gustosi dolci in mano o in bicicletta).

Non aspettatevi, tuttavia, la potenza narrativa (ed emotiva) di Moonrise Kingdom: quello spessore di racconto, la poesia delle piccole cose, l’esplorazione interiore dei personaggi, qui mancano del tutto. L’avventura di Gustave e’ solo il pretesto per firmare un film di puro intrattenimento, un fumetto in cui l’assassino scappa, il presunto assassino rincorre, e si va avanti cosi’ per manciate di minuti colorati dalle multiple visioni di un regista che, a 44 anni, vanta una liberta’ artistica senza pari. Del resto entrare nel mondo di Anderson vuol dire, da sempre, accettare l’assurdo in ogni scena, e giocarci: uscirne allegeriti, se non divertiti, e’ garantito.

Di Claudia Catalli per Oggialcinema.net

 


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