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The Hobbit: An expected Journey

Creato il 05 gennaio 2013 da Alessandraz @RedazioneDiario
Pubblicato da Stefania Auci The Hobbit: An expected JourneyAmato, odiato, discusso, criticato, osannato. Lo Hobbit è tutto questo e molto altro ancora.

Peter Jackson ha finalmente portato sui nostri schermi la prima parte della trilogia dedicata a Bilbo Baggins, il mezz’uomo protagonista del romanzo Lo Hobbit di Tolkien, in cui si narrano le vicende che portarono un piccolo quieto Hobbit della Contea a divenire un uomo coraggioso e pronto ad affrontare i pericoli per i suoi amici. Gli Hobbit, creature pacifiche e riservate, non amano le avventure, i viaggi e le grandi imprese. Per questo, Bilbo prima, o Frodo – il nipote protagonista del ciclo del Signore degli Anelli – diventeranno persone poco rispettabili per coloro che vivono nella collina della Contea, luogo di elezione degli Hobbit. E per lo stesso motivo, non saranno più capaci di essere ciò che erano prima


Ma torniamo al film. Prima considerazione di natura tecnica. Il 3D. Con buona pace di chi non lo ama, si può dire che il film esce arricchito da questa tecnologia di ultima generazione in cui vi sono 48 fotogrammi al secondo. La vivezza delle immagini e dei colori, gli splendidi panorami neozelandesi, la grande cura per interni e scenografie che caratterizza i lavori di Jackson ne escono valorizzati, un vero e proprio quid pluris. Tre ore di film diventano uno spettacolo coinvolgente e godibile, capace di emozionare grandi e piccoli. Per quanto riguarda il film vero e proprio… c’è qualche ma.

Probabilmente a causa della necessità di trarre dal romanzo un ciclo di tre film, regia e sceneggiatura pescano a piene mani nelle appendici del Signore degli Anelli, in cui Tolkien aveva descritto ampiamente le vicende del regno dei Nani e del loro attrito con gli Elfi, rei di non averli aiutati nel momento in cui essi erano stati furono aggrediti dai Draghi. Ciò che nel corpo del testo de Lo Hobbit viene appena accennato, o che viene descritto in queste pagine “a latere” della saga, diventano sequenze di assedio e battaglia. Questo ha fatto storcere il naso ai puristi di Tolkien, i quali hanno urlato allo scandalo per non aver mantenuto una stretta osservanza al canone, o per aver dato maggior spazio a personaggi marginali, cui spesso sono legati dei momenti di comicità e leggerezza (quasi del tutto assenti nel S.D.A., che aveva un tono prettamente drammatico).

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Questo “peccato” è compensato da scene di battaglia che, grazie all’ausilio della computer grafica digitale – danno luogo ad alcuni momenti di vasto respiro della pellicola. La battaglia tra Orchi e Nani, ad esempio, ricorda molto da vicino le battaglie di Braveheart… anche in termini di spargimento di sangue. 

Da quanto detto fino a ora si comprende che il film – come spesso accade alle trasposizioni di romanzi molto amati e conosciuti dal fandom e dalla gente comune – ha delle “libertà” che non tutti gradiscono. A parere di chi scrive, però, si tratta di modifiche e inclusioni che non inficiano le linee generali della trama o il messaggio del romanzo. E qui veniamo proprio al punto nodale: lo spirito del testo.Come direbbero gli anglosassoni, Lo Hobbit è più childlish rispetto al cupo e sanguinario Signore degli Anelli. Mentre nella Compagnia dell’Anello si parlava delle emozioni negative quali la rabbia, l’invidia, la sete di potere, la brama di ricchezza e supremazia, raccontando nel contempo il crepuscolo di un mondo pacifico e fatato, in questo volume – da porre circa sessanta anni prima rispetto alle vicende narrate nel S.D.A. – protagonisti sono l’amicizia, la scoperta di sé attraverso l’esperienza del viaggio, il confronto con società e culture sconosciute. C’è molto di Bilbo Baggins in ogni uomo: non è facile lasciare le proprie comodità, una casa confortevole e una tavola pronta per lanciarsi in un’avventura da cui “non è certo che ritornerai, e se ritornerai, non sarai più lo stesso”, come dice Gandalf. In questo, Jackson ha avuto una mano salda, riuscendo a trasmettere sin dalle prime battute la sensazione di disorientamento prima e di curiosità, coraggio e tenacia che si susseguono nell’animo del protagonista.

The Hobbit: An expected Journey
E adesso, il cast. Menzione particolare per Martin Freeman. Una mimica facciale ricca e varia senza essere macchiettistica, una gestione del personaggio che parla di professionalità e di lunga scuola di recitazione britannica rendono il suo Bilbo davvero convincente e pienamente I.C. Si comprende perché Jackson abbia atteso che l’attore si liberasse dai suoi impegni pregressi per girare il film: perché difficilmente avrebbe potuto trovare un viso e un modo di muoversi così vicini al personaggio tolkenianoRichard Armitage, nei panni dell’ombroso Thorin, re senza trono dei nani, regala potenza ed epica alle scene di battaglia; Andy Selkirk, sempre uno straordinario Gollum; Ian McKellen, come Gandalf: più giovane, forse ingenuo, ma nello stesso tempo, pieno di pathos e compassione; Silvester Mc Coy nei panni di Radagast (personaggio che ha fatto storcere il naso per la sua presenza ai puristi Tolkeniani) che regala momenti di puro divertimento. Un cast all’altezza del compito non facile di portare sullo schermo uno dei libri più amati e meglio conosciuti dal grande pubblico.
Un capolavoro, allora? No. Ci sono dei momenti di lentezza e alcune scene che avrebbero potuto essere tagliate in fase di montaggio, specie nella prima parte della pellicola. Se siete Tolkeniani sfegatati e puristi, vi saranno alcune sorprese che potrebbero spiazzarvi e/o farvi urlare allo scandalo. Ma è sicuramente un ottimo film, godibile, ben recitato, con una colonna sonora che si segnala per alcune tracce davvero potenti, come il tema del drago Smaug o come la canzone dei Nani. Consigliato, anche se avete bambini (da non lasciare soli, ovviamente: vi sono un paio di scene di battaglia cruente per un bimbo) e se volete vedere un film che vi appassioni e che vi coinvolga fino all'ultima esaltante sequenza.

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