Impossibile è per il giocare, non ritrovarsi fortemente coinvolto nella vicenda di Joel e Ellie. The Last of Us sarà la loro vicenda, quanto la nostra.
Ma, se fosse solo per la narrazione non avremmo altro (e non sarebbe neanche dire poco) che un clone di The Walking Dead, un percorso da vivere interagendo il più possibile per sentirne una traccia sulla pelle.
La vera differenza è che sarà impossibile non rimanerne coinvolti, perché di questa storia, sentiremo tutto il sudore.
Sarà un anno, un anno intero di viaggio con loro, in cui in tutti i modi dovremo farli sopravvivere, e suderemo davvero parecchio per farlo. Camminando per tutto il paese, immergendoci in acque torbide, luride fogne, palazzi diroccati, location a cui a prima vista accedere facilmente ma che in realtà faranno faticare non poco i personaggi, costringendoli a muoversi piano, verosimilmente, in territori a cui accedere con assi improvvisate o mini- zattere raccattate. Finiremo in trappole di banditi, palazzi pieni di infetti, città esodate da visitare per raccogliere scorte e per raccoglierne le testimonianze, lasciate lì alla merce dei viandandi.
Un gameplay quindi forte divertente e vario, sempre presente, che oscilla di continuo tra l’ action lo stealth e la piccola esplorazione, ci terrà sempre lì, immersi e compressi dal gioco, senza la possibilità di dimenticarsi o di estrarsi un solo secondo dalla situazione, perché dopo quel secondo potremmo accorgerci di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Ogni cosa che quindi avverrà ci lascerà un piccola goccia di sudore, che allargherà il giusto i pori della pelle, tanto almeno da poter permettere il passaggio di questi personaggi dentro di noi.
L’altro fattore riempitivo, che rende inscindibile il legame tra giocatore e i personaggi di The Last Of Us, è la tremenda attenzione riservata alla caratterizzazione psicologica degli stessi. Tralasciando un doppiaggio curato all’estremo, senza frasi vuote, dove ogni dialogo è curato in maniera tale da rendere la naturalezza di un frase durante una passeggiata, quando si parla del più e del meno, quanto la sensazione di sofferenza o di tensione durante un momento delicato, beh, anche tralasciando tutto questo, è la natura stessa dei dialoghi nella loro scrittura gergale e naturale a rendere totalmente reali questi personaggi. Personaggi che durante le fasi esplorative dialogheranno di iniziativa, riempiendo quei vuoti tra uno stage e l’altro di commenti utili alla crescita del loro rapporto, alla vicendevole scoperta del reciproco passato, dove ad esempio vedremo il freno imposto da Joel quando Ellie indagherà sul suo passato fino a giungere alla barriere da lui imposte su sua figlia. Dialoghi impostati per creare un legame, che inizialmente non sarà palpabile, ma lentamente ce lo troveremo pronto in mano, senza neanche esserci accorti di come si venisse a formare.
Importantissimi, questi dialoghi, anche ai fini della caratterizzazione dei personaggi stessi. Se cammineremo in un giardino di un’abitazione con dei nani da giardino Ellie si soffermerà a notarli e a commentare come se li fosse sempre immaginati diversi. Tante altre piccole cose ci faranno denotare la sua semplice e naturale curiosità di ragazzina. Joel avrà un atteggiamento più silenzioso, sarà Ellie a cavargli fuori informazioni sul ‘vecchio mondo’, un mondo di cui lei è voracemente curiosa, un mondo che ha sempre e solo immaginato. ”Andavi nelle caffetterie?”.
Tramite questa sua curiosità riusciamo anche a notare delle sottili tematiche di critica inserite dai programmatori su questo nostro ‘vecchio mondo’. Quando Ellie si troverà di fronte a vecchi cartelli pubblicitari raffiguranti modelle magrissime commenterà con un semplice ‘Ma perché non mangiavano , nel vostro mondo c’era cibo in abbondanza, no?’,’ Ma perché gli uomini su quei cartelloni non hanno peli?’. Le risposte di un Joel messo in difficoltà saranno una giustificazione imbarazzata, tanto quel contesto faccia capire quanto siano realmente assurde le nostre ‘normalità’. Tutto questo però non sarebbe naturale se non fosse inframezzato da discorsi più banali, semplici, atti semplicemente a stemperare la tensione, come ad esempio l’attimo delle barzellette di Ellie.
L’ambiente come detto, è quindi sia fonte di spunti per analizzare la psicologia dei personaggi, quanto per creare situazioni che arricchiscono un clima sempre netto, rendendolo a volte lurido, a volte semplicemente degradato, alle volte, poetico. Impossibile è non portare in auge la scena delle giraffe, un semplice momento di contemplazione dello spettacolo naturale offerto, che ci porta sul piatto la dolcezza che nonostante tutto questo mondo riserva, nascosta flebile dietro tutti i pericoli e i soprusi di cui è diventato teatro.
Ma se questo è l’apice, altri micro-eventi saranno la continua e perfetta scenografia nella quale viaggeremo, in un clima che ricorda molto, tanto per dirne una, il ’The Road” di Mortensen.
La colonna sonora penserà a creare quello stridore adatto a rendere ogni immagine sempre più cruda con l’indurirsi della situazione. Quasi mai sarà però invasiva, la sentiremo sempre introdursi piano per caratterizzare un particolare momento, senza rubare spazio ad immagini e dialoghi. La decadenza è il regno delle note scelte ad opera di Gustavo Santaolalla, una decadenza che volutamente vuole esprimere declino, ma mai oblio.
Uno degli elementi che però, tra tutto il ben di dio proposto, lascia sicuramente maggiormente la sua traccia è Ellie stessa.
Abbiamo già detto che è la portatrice della cura, una figura salvifica per il pianeta. Ciò non le impedisce però di essere un personaggio dannatamente interessante, anche per via delle fasi di maturazione che durante tutto il viaggio subisce.
Se inizialmente traspare il suo aspetto innocente le vicende la faranno gradualmente ‘indurire’, facendo sì che impari a giocare sulla stessa scacchiera su cui giocano gli altri pur di rimanere in vita. La sua prima uccisione, il suo imparare a maneggiare armi e a scontrarsi con situazioni sempre più ardue la faranno maturare gradualmente, e nonostante sin da subito si noti il suo carattere risoluto e deciso, questo indurimento riuscirà comunque a trapelare perchè appunto, forzato; forzato da una situazione che molte volte non permette il lusso di una scelta.
L’abilità dei game designer Naughty Dog risalta anche in questo caso, perchè non solo ci permetteranno di assistere a questo processo, ma tramite il controllo del personaggio stesso ce lo faranno direttamente impersonare. E, nonostante il gameplay non ne subisca più di tanto il beneficio, questa combo narrativa darà nuovo lustro all’emotività trasmessa dal titolo, che vivrà neanche a dirlo, nelle ultime missioni, una vera impennata.
A onor di cronaca, se dobbiamo proprio aprire un capitolo per dei difetti quanto minimi, quanto stupidi, è un capitolo relativamente breve. La possibilità di spostare i cadaveri lenisce profondamente la struttura stealth dell’opera, mentre a rovinarla visivamente ci pensa ’l’invisibile Ellie’, che potrà scorrazzare liberamente ovunque senza che nessuno la veda nonostante risulti poi utile addirittura duranti gli sconti.
Nonostante questo è impossibile non notare come la varietà offerta dal gamplay, senza mai sfociare nella libertà (tanto cara ai tempi nostri), riesca a non rendere mai noioso un titolo che altrimenti avrebbe corso il rischio di avere troppi punti morti e il vizio della ripetitività.
E dopo questo anno di viaggio, perfettamente scandito da una gestione saggia dei salti narrativi, a che punto arriviamo?
Il punto focale, le crude lezioni che il titolo mira a imprimere nel giocare tasto dopo tasto, sono dure tanto quanto lo è la voglia di dare dei segnali di coraggio, facendo solamente intuire, senza mai scadere nel buonismo, che la possibilità di redimersi, di migliorare, c’è. Lo fa in modo totalmente anticonvenzionale, andando apparentemente contro gli interessi di un’ intera specie, e forse invece andandovi incontro realmente per la prima volta.
Così da poter dare una nuova speranza, che parte dal basso, reale, una rinascita vera, che parla di cambiamento. Un cambiamento che porta i segni comunque del passato, che non lo dimentica, che non lo cancella, ma che se lo tatua traendo una lezione che sarà la base del mondo di domani.
“Beh, ormai una cosa l’ho capita, dal passato non si scappa”