“Allora perché l’ho fatto? Potrei dare un milione di risposte tutte false. La verità è che sono cattivo, ma questo cambierà, io cambierò, è l’ultima volta che faccio cose come questa, metto la testa a posto, vado avanti, rigo dritto, scelgo la vita. Già adesso non vedo l’ora, diventerò esattamente come voi: il lavoro, la famiglia, il maxitelevisore del cazzo, la lavatrice, la macchina, il cd e l’apriscatole elettrico, buona salute, colesterolo basso, polizza vita, mutuo, prima casa, moda casual, valigie, salotto di tre pezzi, fai da te, telequiz, schifezze nella pancia, figli, a spasso nel parco, orario d’ufficio, bravo a golf, l’auto lavata, tanti maglioni, Natale in famiglia, pensione privata, esenzione fiscale, tirando avanti lontano dai guai, in attesa del giorno in cui morirai.” (Mark Renton, Trainspotting)
Cresciamo nel mito della famiglia Barilla, bombardati fin da piccoli dal messaggio che l’unica vita accettabile (o peggio, possibile) sia quella con un matrimonio con qualcuno del sesso opposto al nostro (manco a parlarne), avere dei figli (naturali) e un lavoro sicuro e magari “in giacca&cravatta”. Chi non si adegua viene emarginato, guardato male quando passa, e fa sospirare di rassegnazione parenti e amici.
Sono andato all’università per questo, o almeno così dicevo a me stesso e a chi mi stava a sentire. E poi a fare il ragioniere. E poi a Milano a fare l’assicuratore. E poi a Forlì per il Master. A pensarci adesso non penso di esserne mai stato convinto, probabilmente era una scusa per permettermi quelli che per i miei genitori non erano che capricci, che hanno assecondato nella convinzione che alla fine sarei tornato a casetta a riprendere la strada del Sogno Italiano. E forse era così. Ma ora?
Ora non c’ho voglia, ora non ci penso, dopo che ho passato gli anni tra i ventidue e i ventiquattro a programmarmi il futuro.rinchiuso in una cecità tutta personale. Ne sapevo ancora meno di adesso che comincio a guardare da punti di vista diversi, per non parlare dell’infinità di cose nuove che ho conosciuto in quest’ultimo anno, predisposto per la prima volta a farlo.
A lavorare con me da Caffè Nero c’è un ragazzo di ventinove anni che da barista andrà a fare il commesso, ma nel frattempo studia per diventare graphic designer. E io? Alla mia età mio padre era già mio padre, ma non mi va di scendere in discorsi retorici tanto triti e ritriti quanto insipidi e astratti. Adesso l’unico punto fermo del mio futuro è l’esame del Master i primi di dicembre, ma è tra un mese, hai voglia... E poi? Torno qua, continuo a lavorare da Caffè Nero e vediamo. Adesso sono in pausa, adesso non voglio niente, ho smesso di cercare. Anche perché non so cosa cercare: sono arrivato alla conclusione che se t’impunti a cercare qualcosa rischi di perdertene altre che nemmeno immagini (se non fossi andato a Forlì…), quindi che venga tutto, a valanga, poi vediamo cosa tenere e cosa buttar via.
«Se guardi solo una foglia non vedi l’albero. Se pensi all’albero non ti accorgi della foresta che ti sta intorno.» (Vagabond, vol. 10)
PS
Nel frattempo sono sempre più snervato dalla situazione italiana, da troppo tempo un Paese del Terzo Mondo (qualunque cosa voglia dire), dal fatto che non stia facendo niente a riguardo e che cedo egoisticamente al bisogno di respirare aria diversa, non politicamente ma culturalmente, ma sento sempre più la spinta ad attivarmi, a far sentire per davvero il mio dissenso, e già mi balena in testa di accorciare il periodo di soggiorno Oltremanica che avevo previsto, ma per andare dove?
Sto perdendo tempo?
-m4p-