Dopo le vacanze estive la ragazza però sparisce improvvisamente e i due amici prendono strade diverse: mentre Takuya lavora come fisico facendo ricerche su universi paralleli, Hiroki si iscrive a una scuola di Tokyo per allontanarsi dai luoghi che gli ricordano il suo passato e i sentimenti che prova per Sayuri, che nel frattempo è ricoverata in ospedale all'insaputa degli amici per una grave forma di narcolessia, a causa della quale dorme ininterrottamente.
The Place Promised in Our Early Days (雲のむこう、約束の場所 Kumo no Mukō, Yakusoku no Basho), il primo lungometraggio di Makoto Shinkai, è ambientato in un Giappone alternativo, che dopo la Seconda Guerra Mondiale si è diviso in due parti, una sotto il controllo degli Stati Uniti e una legata all'Unione Sovietica. Negli anni '90 il paese si riunisce e soltanto Hokkaido rimane occupata dai sovietici, i quali costruiscono una torre smisurata che è in realtà un'arma potentissima, in grado di trasformare il mondo che conosciamo in un universo completamente differente.
I tre protagonisti
La creazione dell'ambientazione fantastorica e fantascientifica, le cui caratteristiche e origini sono peraltro spiegate in modo decisamente approssimativo, catalizzano fin troppo l'attenzione del regista, che sacrifica così la parte davvero centrale della vicenda: i tre personaggi e i loro rapporti reciproci. La totale assenza di caratterizzazione impedisce di comprendere le motivazioni dei giovani protagonisti, le ragioni per cui diventano amici e stringono la promessa che dà il titolo al film. Non basta dire che due persone si amano per farlo percepire a chi guarda, bisogna che quel sentimento affondi le radici da qualche parte perché lo spettatore lo senta come reale e ne sia toccato nel profondo. Tutto questo manca completamente, e se si poteva perdonare qualche pecca nella sceneggiatura del corto La voce delle stelle, non si può più chiudere un occhio quando si ha davanti un lungometraggio.Devo ammettere che l'attenzione è continuamente distratta dai fondali incredibili, in cui come sempre il cielo la fa da padrone e cattura inevitabilmente lo sguardo, riempiendo di stupore gli occhi e il cuore. Il character design è invece ancora traballante e poco espressivo.
La componente onirica dell'opera, teoricamente centrale all'interno della trama, non riesce a giungere ai livelli di delirio di Satoshi Kon, o all'inquietudine profonda di Mamoru Oshii: rimane a mezz'aria senza mai spiccare il volo, senza convincere appieno.
Fa rabbia vedere che un autore in grado di creare immagini di tale magnificenza visiva sia poi incapace di riempire l'involucro con contenuti altrettanto strabilianti. Di certo Shinkai ha fatto molti passi in avanti con Hoshi o ou Kodomo, ma certe pecche permangono, ed è un peccato pensare che forse oltre quei cieli stellati non esistono altri universi, e che le nuvole in cui il rosso sfuma nel blu forse continueranno sempre a nascondere il sole.
Voto: 6+