Una Palma d'Oro meritatissima.
Un capolavoro, per quanto ne capisco io, e finora miglior pellicola del 2011.
Faremo un po' fatica a sopportarne la lunghezza, abituati come siamo a film di 1'20, 1'30 massimo, ma ne vale la pena.
Vale soprattutto visivamente e musicalmente, per lo spettacolo quasi metafisico che ci si apre davanti (non so dove Malick abbia girato, ma oltre a profondità oceaniche, stelle, deserti, gole rocciose e nuovi universi, si vedono panorami mozzafiato da luoghi quasi ultraterreni). Piacerà a chi ha goduto di film come Koyaanisqatsi di Reggio o Apocalisse nel deserto di Herzog, quei film dove l'estetica regna sulla trama e la natura sull'uomo.
Non è, come potrebbe sembrare nella parte centrale, un'apologia nostalgica della famiglia anni '50 da Mulino Bianco, con i suoi ruoli fissi e Padri-padroni che difficilmente si possono rimpiangere.
E non è neanche, come sembra in certe scene sull'origine della vita, un inno al creazionismo, ma sono certa, dal basso del mio immanentismo, di non aver compreso tutte le implicazioni teologiche di questo film: mi limito a capire che c'è di più, che va molto oltre la mia comprensione.
Ottimi gli interpreti, splendidi il montaggio e la fotografia. Poi i difetti ci sono (Penn sacrificato in un ruolo troppo contemplativo, dialoghi tra i bambini spesso irrealistici, come d'altronde lo erano quelli tra i soldati di La sottile linea rossa), ma se pensassimo che a Malick frega qualcosa del realismo, saremmo fuori strada. Per lui il cinema è altro.
E questo film è quasi un trattato di teologia (immagino lo avranno scritto altri, e meglio e più approfonditamente di me), quasi un Temps retrouvé di enorme, rasserenante potenza visiva (tanto che, nelle scene finali sulla spiaggia, ho pensato più volte al film di Raoul Ruiz).
Non è mai il singolo uomo, protagonista nei film di Malick, questo l'avevo messo in conto: ma se qualcuno crede di trovarvi la Famiglia cristianamente intesa come significato ultimo della vita, resterà amaramente deluso.
Proprio come Proust, infatti, è solo nel ricordo che l'uomo può recuperare l'innocenza perduta e l'amore privo di odio. E se accettare il proprio passato basta a pacificare e a riconciliare, resta comunque una visione anti-antropocentrica della vita: siamo solo puntini nell'universo, che possono attingere all'albero della vita e a quello della conoscenza, ma non siamo mai stati al centro.
Un consiglio: non guardatelo con l'occhio dell'intelletto, abbandonatevi semmai al flusso delle immagini e della colonna sonora e lasciatevi guidare dai sensi: capirete quello che c'è da capire, o almeno quello che il film riverbererà su ciascuno di voi.
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