“An Appointment With Mr. Yeats” è il titolo del nuovo album dei Waterboys, e rappresenta un caso unico nella discografia del gruppo ma anche una “anomalia” nel mondo della musica pop/rock. Infatti lo scozzese Mike Scott, cantante, polistrumentista e compositore della band (con cui praticamente si identifica), per questo progetto ha deciso di non scrivere personalmente i testi delle sue canzoni come ha fatto finora, ma ha voluto, in una sorta di tributo a uno dei suoi autori preferiti, mettere in musica i versi di William Butler Yeats, poeta e drammaturgo irlandese che ammira fin da bambino e che ha avuto modo di amare ancora di più da studente universitario di letteratura inglese. Come ci racconta lo stesso Scott in un’intervista, già nel 1988 aveva provato a musicare una sua poesia, e così nacque il brano The Stolen Child (dall’album “Fisherman’s Blues”); poco dopo, nel 1991, fu invitato ad esibirsi a Dublino per un concerto-tributo a Yeats, ed equivocando lo spirito della manifestazione compose altri quattro pezzi sui versi di Yeats (difatti fu l’unico a farlo), e quello fu il germe dell’idea che poi sviluppò parecchi anni dopo, quando decise di continuare a scrivere altre canzoni per dedicare con la sua band un intero show dal vivo al poeta irlandese. Già dall’anno scorso i Waterboys girano con questo concept-show, e adesso finalmente, dopo averli rodati a sufficienza dal vivo, gli stessi brani sono stati registrati in studio (dove hanno subito delle ulteriori evoluzioni, avverte Scott) e pubblicati su disco.
I puristi della letteratura inglese forse ci resteranno male, visto che in realtà Scott non ha lasciato le poesie di Yeats inalterate, ma per ragioni metriche e di sua ispirazione compositiva le ha dovute adattare, il che vuol dire che dei versi sono stati eliminati o scambiati di posto, assicurandosi però di non alterarne il significato di fondo, e in certi casi (i puristi di cui sopra adesso inorridiranno!) le parole più oscure e obsolete sono state sostituite con sinonimi di uso corrente; infine diamo il colpo di grazia ai puristi segnalando che a volte la canzone è un ibrido frutto della mescolanza di più poesie (il verso preso da un poema e il ritornello preso da un altro). Ma il sottoscritto, che purista non è, ha senza dubbio apprezzato l’operazione, trovandola decisamente originale e ritenendo che in questa circostanza la musica di pregevole fattura che ha sempre caratterizzato le opere dei Waterboys ha un valore aggiunto dato dalla particolare poeticità dei testi, che evocano immagini e suggestioni di un altro secolo ma che nell’ascoltatore di oggi possono suscitare le stesse emozioni e sentimenti del lettore di allora. Dal punto di vista strettamente musicale invece direi che i fan vecchi e nuovi dei Waterboys possono ritenersi molto soddisfatti, in quanto l’ecletticità stilistica dei 14 brani contenuti nell’album mette insieme le varie anime che si sono susseguite nel gruppo in circa 30 anni di onorata carriera, per cui insieme al pop rock “tradizionale” che ha caratterizzato le opere degli anni ‘90/2000, ritroviamo anche il lato folk-acustico / tradizionale irlandese (detto Raggle Taggle) che ha caratterizzato il periodo della seconda metà degli anni ‘80 e persino echi dei primissimi tre album, ovvero lo stile denominato The Big Music che si distingue per una spectoriana ricchezza del suono e che comprende oltre alla classica formazione rock ’n’ roll un uso massiccio di tastiere e una sezione di fiati; quest’ultima è presente anche in questo nuovo album, assieme agli immancabili violini.
L’unico elemento “nuovo” nel suono dei Waterboys è qui rappresentato dall’aggiunta di una voce femminile, la bravissima Katie Kim (scoperta casualmente dallo stesso Scott a Dublino, città dove lui attualmente vive), che fa i cori in quasi tutti i pezzi e in alcuni duetta persino col leader, che finora è sempre stato l’unico e solo cantante della band. Si rileva nel libretto dei testi, per chi avesse meno confidenza con le opere di Yeats, la presenza di note esplicative che spiegano nel dettaglio le figure mitologiche, i luoghi geografici e i personaggi storici citati nei testi; da notare anche la quasi maniacale precisione di Scott, che nell’indicare brano per brano i crediti dei musicisti mette gli strumenti in ordine di apparizione… ma anche il suo umorismo nell’indicare in tutto l’album il basso col nome di “Earth resonator”. In conclusione, un lavoro molto valido e gradevole che consiglio, oltre che agli estimatori dei Waterboys e di qualsiasi periodo della loro carriera, a chi ama la musica pop, rock e folk e agli appassionati (non puristi) della letteratura inglese. E forse anche Mr. Yeats, dove si trova in questo momento, sta canticchiando le sue poesie con le nuove melodie di Scott…
Per Approfondire
http://mikescottwaterboys.com/waterboys-mr-yeats-album.php