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The wedding: epilogo

Creato il 16 agosto 2010 da Alessandraz @RedazioneDiario
THE WEDDING di Beth Fantaskey
EPILOGO
Nella radura in cui ci eravamo trasferiti dopo la cerimonia regnava il silenzio e i nostri invitati ci osservavano in trepidante attesa. Feci un passo verso Lucius che sollevò la mano sinistra con un gesto differente da quello della cerimonia. Mi offrì la sua mano con il palmo rivolto verso l’alto, così che potessi vedere chiaramente la “X” che vi era impressa.
La presi con la mano destra e lui mi posò la sua sulla schiena, appena sotto le scapole. Poi portai la mano sinistra sul suo braccio destro, all’altezza del suo bicipite.
In piedi uno davanti all’altra, in attesa delle note ammalianti della Sonata al Chiaro di luna di Beethoven, non mi preoccupavo affatto di non saper ballare. Lucius aveva provato a insegnarmi il walzer e la quadriglia nel suo studio, ma io non ero affatto migliorata rispetto alla prima volta che avevamo danzato sotto le lucine intermittenti – che non reggevano il confronto con l’oceano di candele che avevano illuminato la cerimonia – nella palestra della Woodrow Wilson High School.
No, non sapevo ballare. Ma sapevo come far rimanere Lucius senza parole. Quando mio marito mi guardava, i suoi occhi esprimevano adorazione e rispetto.
Il pianista iniziò a suonare, e io e Lucius movemmo i primi passi sulle note delicate e insieme coinvolgenti, misteriose della Sonata: simile a una cascata di luce, quella era l’espressione di ciò che sentivo ogni volta che rivedevo Lucius, anche dopo brevi separazioni come quella precedente alla cerimonia. Un’incontenibile ondata di gioia, serenità e insieme euforia che m’investiva ogni volta che lui entrava nella stanza, accompagnata anche da sensazioni più inquietanti…
Ci portammo al centro del cerchio creato dagli invitati e Lucius sistemò meglio la mano che mi teneva sulla schiena, a contatto con l’abito scuro – una sorta di versione in negativo del tradizionale abito da sposa – che ero andata a mettermi dopo la cerimonia, perché il sangue della mano di Lucius mi aveva macchiato l’abito bianco, quando ci eravamo baciati.
La musica subiva repentini cambi di ritmo, difficili da assecondare, e Lucius mi guidava verso la parte più commovente della Sonata guardandomi dritto negli occhi per aiutarmi a non inciampare.
Non sarei mai riuscita a capacitarmi di quanto erano belli i suoi occhi…
Mi sorrise e, com’era prevedibile, in quell’istante persi il ritmo e gli pestai un piede. Allora, rinunciando a seguire passi predefiniti, gli portai le braccia al collo, in preda al solo e unico desiderio di stringerlo a me. Quella musica, così struggente ed evocativa, di colpo iniziò a parlarmi del tempo… di anni, decadi, secoli… dell’eternità.
Avevamo fatto una promessa, ma essendo dei sovrani, sapevamo bene che un giorno o l’altro qualcosa avrebbe potuto separarci, com’era successo ai nostri genitori. E sarebbe potuto accadere sia per mano di orde impazzite che di uno dei nostri simili…
Quando accostai la testa al suo petto, anche Lucius rinunciò a guidarmi a passo di walzer e io gli accarezzai i capelli mentre dondolavamo, dicendo a me stessa di non cedere alla preoccupazione proprio la notte delle nostre nozze, perché la distruzione avrebbe potuto coglierci una settimana più tardi, come fra migliaia di anni.
«C’è qualcosa che ti turba, moglie mia?» sussurrò Lucius, non perdendo occasione di pronunciare ancora una volta quella parola, moglie. «Sento che qualcosa t’impedisce di essere felice…»
Sollevai lo sguardo, rendendomi così conto che anche alcuni degli invitati stavano ballando, e mi sforzai di sorridere perché non volevo che si preoccupasse e non volevo nemmeno rovinarmi la festa per colpa dei brutti pensieri che mi avevano assalito. Forse era stata la musica a intristirmi…
«Mi stavo solo chiedendo come avessi fatto a trascinare un pianoforte su una montagna» gli dissi per smorzare la tensione. «Non dev’essere stato facile».
Lucius scoppiò a ridere, sollevato, e mi strinse più forte a sé. «Sono contento che ti sia rimasto un briciolo della razionalità che ti contraddistingueva prima di diventare un vampiro, perché amo anche questo di te!»
Diedi un’occhiata a quella radura rocciosa immersa nel verde, un luogo non molto appropriato per ospitare una festa, ma che per me aveva un significato speciale. «Scherzi a parte, Lucius,» continuai accarezzandogli la nuca col pollice e guardandolo negli occhi perché capisse che dicevo sul serio «grazie per aver reso possibile tutto questo. Il cibo, la musica… tutto».
Lucius si fece serio. «Se questo è il luogo dove in sogno vedi tua madre e se questo è un modo per farti sentire la sua vicinanza, allora sono disposto a trascinare fin qui centinaia di pianoforti, solo per far sì che anche lei partecipi ai festeggiamenti».
«So che è assurdo» confessai «ma io la sento davvero la sua presenza qui».
Avevo visto quella radura per la prima volta quando ero uscita per una passeggiata a cavallo con Lucius, e avevo immediatamente riconosciuto la roccia dalla forma semicircolare che affiorava dal suolo, perché l’avevo già vista nei miei sogni, anche se era inverno e il terreno era ricoperto di neve. La sua forma era inconfondibile. Quella volta avevo tirato con violenza le redini, facendo impennare il cavallo, e avevo cercato con lo sguardo Mihaela, tanto ero convinta della sua presenza. Ma era un fantasma quello che cercavo, fantoma, come aveva detto uno dei miei nuovi compaesani.
«Io sono tutt’altro che un tipo razionale, come ben sai» mi disse sorridendo facendo scivolare le mani sui miei fianchi. «Io credo molto nel potere dei sogni, come la maggior parte dei vampiri, del resto. Per me non è affatto una cosa assurda».
Un brivido mi attraversò la schiena, perché i miei sogni erano assurdi eccome. A tratti inquietanti, come la Sonata…
Mi voltai di scatto ma non udii altro se non il fruscio del vento fra i rami degli alberi, il tintinnio dei calici e conversazioni sommesse in lontananza. Tornai a guardare Lucius e vidi che sorrideva. «Ti eri accorto che la musica era finita?» gli chiesi. «E che tutti se n’erano andati?»
«Sì» rispose Lucius, tenendomi ancora stretta a sé. «Ma non volevo che questo momento finisse». Ci separammo e rabbrividii, questa volta per il freddo… e l’emozione. Di lì a poco saremmo sgattaiolati via e non avremmo avuto più motivo di trattenerci, di smettere di baciarci, di accarezzarci…
«Dovremmo salutare i nostri invitati adesso» suggerì Lucius, conducendomi verso una tenda bianca che ondeggiava al vento, sotto la quale si erano radunati tutti e dal cui soffitto pendevano lampadari di ferro che oscillavano pericolosamente. Come avessero fatto a issarli lassù, era un altro mistero, l’ennesima magia che mio marito aveva fatto per me quella notte, insieme a una festa riuscitissima, a una cena da sette portate e al pianoforte. «Si sentiranno in dovere di rimanere finché noi stiamo qui» aggiunse con un sorriso. «Perciò dovremmo andarcene presto, per liberarli da questo imbarazzo».
Cercai di interpretare il suo sorriso mentre camminavamo mano nella mano. Forse aveva notato che tremavo o che si era fatto tardi. O magari era semplicemente ansioso…
A giudicare dal modo in cui gli brillavano gli occhi, intuii che si trattasse della terza ipotesi.
Entrammo nella tenda e iniziammo a salutare e a ringraziare tutti, e riuscii anche a trovare zio Dorin che avevo a malapena incrociato in tutta la serata. L’avevo visto solo due volte: una che parlava con Mindy e l’altra che cercava di far conversazione con Claudiu, che ovviamente aveva conosciuto alle riunioni degli Anziani, ma per il quale di certo non provava grande affetto. Anzi, proprio il contrario, probabilmente.
«Oh, Antanasia» disse Dorin con gli occhi più lucidi del solito. «Ma che bella serata! Uno spettacolo. Sono così felice per voi!»
«Grazie» risposi mentre mi avvicinavo per abbracciarlo. «Grazie di essere venuto e di aver reso possibile tutto questo».
Dorin fece un passo indietro e scacciò con un gesto della mano quelle parole di riconoscenza, rischiando così di versare a terra il vino che stava gustando. «Oh, andiamo, io non ho fatto nient’altro che ciò che andava fatto!»
Era vero, lo ringraziavo continuamente, ma come avrei potuto esprimere tutta la mia gratitudine a colui che aveva architettato un piano geniale per salvare Lucius quella notte nel fienile degli Zinn, inscenandone la distruzione, per poi recuperare il suo “cadavere” e riportarlo in Romania? Colui che aveva avuto il coraggio di disobbedire agli ordini di Lucius ed era tornato in America per informarmi che era ancora vivo?
Lucius allungò una mano per stringere quella di Dorin e disse a sua volta: «Grazie, Dorin. Antanasia ha ragione. Hai avuto un ruolo fondamentale».
Dorin gli strinse la mano, con quel fare un po’ dimesso che aveva sempre in presenza di mio marito. Ma andò totalmente in cortocircuito quando Lucius, stringendogli ancora più forte la mano ma con il sorriso sulle labbra, aggiunse: «A ogni modo, non ti consiglio di disobbedire ai miei ordini in futuro, per quanto buone siano le tue intenzioni!».
Era una battuta… ma suonava anche come un avvertimento. Lucius era contento che Dorin gli avesse disobbedito, visti i risultati, ma come spesso mi diceva, i vampiri erano una razza indisciplinata e ci voleva poco a perdere il controllo, se ci si mostrava deboli.
«Uno a zero per te!» rispose Dorin con un sorrisetto nervoso. Poi guardò me, con aria più rilassata ed esclamò: «Congratulazioni!».
Lucius si guardò intorno, passando in rassegna tutti i volti, per poi esclamare: «Che fine ha fatto Claudiu?».
Dorin, al quale stava ritornando il colorito sulle guance, sbiancò di nuovo e, senza osare guardarlo negli occhi, rispose a Lucius: «Claudiu? Non… non si sentiva molto bene. Credo che… che se ne sia andato».
Lucius allora abbassò lo sguardo verso di lui con un sopracciglio sollevato. «Ah sì? Se n’è andato senza dirmi nemmeno una parola?»
Al che Dorin diventò color della cenere, temendo che le ire del principe si abbattessero proprio su di lui, innocente ambasciatore di una notizia poco gradita. «Eh… sì, credo di sì». Mi sentii venir meno anch’io. Potevo immaginare perché Claudiu no si sentisse a suo agio in quella situazione. Non poteva sopportare l’idea che una Dragomir sposasse un Vladescu. A malapena sopportava la presenza di Dorin fra gli Anziani, e aveva persino distolto lo sguardo quando avevo scritto il mio nome sulla pergamena. Ero certa che anche Lucius avesse notato quel comportamento e non avesse nessuna intenzione di tollerare oltre…
«Se vedi mio zio,» disse Lucius a Dorin «digli che gli farò visita uno di questi giorni per sincerarmi delle sue condizioni».
«Lucius…» dissi posandogli una mano sul braccio, intuendo da quel tono imperioso che non sarebbe stata una visita di piacere. Non sembrava arrabbiato… ma di certo non aveva mandato giù il fatto che Claudiu si fosse dileguato nella notte senza nemmeno salutare. Avrebbe dovuto fare i conti con il suo gesto e accettare il mio ingresso in famiglia… e se non avesse voluto farlo, Lucius l’avrebbe costretto…
«Farò in modo che a Claudiu venga recapitato il messaggio» promise Dorin, nervoso. Poi buttò giù in un sorso ciò che rimaneva del suo vino e deglutì rumorosamente. «Se lo vedo, glielo dico io stesso!»
Lucius mi posò una mano sulla schiena e ci allontanammo da mio zio ma, dopo pochi passi, mi fermai e gli sussurrai: «Lucius, ti prego…».
Ma che cosa avrebbe dovuto fare? Persino io mi rendevo conto che quella di Claudiu fosse stata una mancanza di rispetto nei nostri – nei miei – confronti e, dato che avremmo dovuto regnare insieme, era necessario mettere subito le cose in chiaro. Altrimenti Claudiu avrebbe pensato di potermi offendere e di passarla liscia ogni volta che voleva, e la cosa avrebbe danneggiato la mia già debole autorità.
No, così non poteva andare. Improvvisamente mi venne in mente una frase su cui mi era caduto l’occhio mentre sfogliavo il libro che mi aveva lasciato in eredità la mia vera madre: «Il potere perso non è quasi MAI riconquistabile…».
Tuttavia non avevo nessuna voglia di dare adito a un conflitto…
Lucius interpretò la mia espressione di sgomento e mi prese un braccio fra le mani, poi sorridendomi mi rassicurò e mi sussurrò queste parole: «Sono solo scaramucce. Non preoccuparti troppo per problemi di portata insignificante come questo. Non è niente».
Ma Lucius aveva distrutto il fratello di Claudiu. Un episodio di violenza c’era stato… Lucius capì che non mi aveva convinta del tutto. «Se può servire a sollevarti, porterò con me il mio fedele testimone» mi promise trattenendo a stento una risata. Poi raddrizzò le spalle e lanciò un’occhiata alla folla radunata sotto la tenda. «Dov’è Raniero? Mi ha abbandonato anche lui?»
Anch’io allungai il collo per cercarlo. «L’ultima volta che l’ho visto, era con Mindy, ballavano a pochi passi da noi».
Mentre li cercavo con lo sguardo, mi sembrò di ricordare di averli visti ballare con un certo trasporto. Mindy rideva. Forse si era resa conto che Raniero, pur non spiccando per fascino e stile, dopo tutto era un tipo divertente.
Chissà, forse iniziava anche a piacerle…
Con i capelli arruffati raccolti in una coda e uno smoking al posto di maglietta e bermuda, non mi era sembrato affatto male. Era alto, come tutti i Vladescu, e aveva insoliti occhi color grigio-verde – probabilmente ereditati dal lato del clan italiano dei Lovatu – e un’espressione irresistibile. La maggior parte delle ragazze – posto che non l’avessero visto prima in ciabatte – sarebbero state ben liete di far coppia con lui a un ricevimento. Ma Mindy… insieme a un vampiro…?
Mi voltai a guardare Lucius e dalla sua espressione intuii che stava pensando alla stessa cosa. «Non saranno…?» azzardai.
Lucius scosse la testa sospirando. «Oh, spero proprio di no…»
Avrei voluto chiedergli per chi fosse più preoccupato. Se per Raniero, fra le grinfie di Mindy, esperta su come “accalappiare” un ragazzo grazie ai consigli di Cosmopolitan o per Mindy… magari c’era qualcosa che non sapevo riguardo al passato sentimentale di Raniero Lovatu… Ma prima che potessi togliermi il dubbio, qualcuno mi toccò la spalla e mi voltai. Erano mamma e papà, e di colpo le supposizioni su Mindy e Raniero passarono in secondo piano.
Percorremmo insieme ai miei genitori il sentiero in mezzo alla foresta che avrebbe condotto me e Lucius al castello.
Lucius avrebbe voluto portarmi via – a Roma, a Parigi o in qualsiasi altro posto avessi voluto andare – ma io gli chiesi di tornare a casa. Volevo che trascorressimo la prima notte di nozze nella nostra stanza, nel letto dove avremmo dormito da quel momento in poi e nel quale un giorno avremmo concepito i nostri figli….
«Dovete andarvene proprio ora?» chiesi a mamma e papà. «Potreste restare da zio Dorin ancora per qualche giorno. Potremmo visitare…»
Ma entrambi iniziarono a scuotere la testa. «No» disse la mamma. «Questa è la vostra luna di miele e domani mattina abbiamo l’aereo».
«Ok» dissi rinunciando a insistere. Sapevo che non sarebbero rimasti, ma una parte di me non poteva fare a meno di aggrapparsi ancora a loro. «Capisco».
Restammo ancora un po’ lì, tutti insieme, al limitare del bosco. Gran parte degli invitati avevano imboccato un sentiero più breve che conduceva a una strada sterrata, dove alcune auto li attendevano per accompagnarli ai piedi della montagna. Io e Lucius avevamo deciso di andare a piedi da soli, prendendo una scorciatoia che passava in mezzo al bosco. Non avevamo nemmeno voluto un autista. Volevamo restare soli.
«Sicuri di voler passare di lì?» mi chiese papà, scrutando il bosco. «A me fa venire i brividi».
Lucius, che fino a quel momento era rimasto in silenzio alle mie spalle, mi cinse con le braccia all’altezza del petto, come a voler essere il mio scudo. «Mi prenderò cura io di lei, Ned» lo rassicurò. «Conosco questi sentieri da sempre».
Ebbi come la sensazione che non si riferisse a quei sentieri solo in senso letterale. Mio marito, che tanto amava le metafore, si stava riferendo al nostro futuro, alla strada che avevamo davanti da qui all’eternità.
«Sai bene che la proteggerei a costo della vita» aggiunse.
I miei genitori, che in passato avevano temuto che facesse proprio il contrario, lì per lì rimasero in silenzio. Poi mia madre disse: «Ne siamo certi, Lucius».
Ci abbracciamo ancora una volta, e d’improvviso fu tempo di dirsi addio. Tuttavia, non appena ci voltammo per allontanarci, mi si riempirono gli occhi di lacrime e dovetti aggrapparmi a Lucius. Allora Lucius si fermò e voltandosi esclamò: «Ned, Dara!».
«Sì, Lucius?» disse la mamma commossa.
Lucius esitò un po’, cosa insolita per lui, ma poi disse: «Potrei… potrei chiamarvi “mamma” e “papà” in futuro?».
Seguì un lungo silenzio e per un secondo – durante il quale mi ripresi anche da quell’inaspettata domanda – temetti che gli rispondessero di no. O che gli proponessero un’alternativa molto meno spontanea.
Non deludetelo, volevo supplicarli. Altrimenti anche quella piccola parte indifesa che nascondeva dentro di sé, sarebbe andata in mille pezzi…
Ma quando fecero per rispondere, capii che il silenzio era semplicemente dovuto al fatto che quel sentimentale di mio padre si era commosso di nuovo. Con voce strozzata e tono dolce, disse: «Ci piacerebbe molto, figliolo. Bando alle formalità in famiglia!».
Lucius mi strinse forte la mano e a sua volta parlò con voce un po’ tremante: «Grazie. Significa tanto per me».
Onestamente dubitavo che li avrebbe mai chiamati “mamma” e “papà” – non era facile immaginare quelle parole uscire dalla sua bocca – ma sapevo quanto fosse importante per lui sapere di poterlo fare. Gli bastava solo avere il permesso e ciò che esso implicava.
Dopo di che, senza aggiungere altro, ci separammo, i miei si ricongiunsero al gruppo, mentre io e Lucius ci avviammo per il sentiero oscuro. Senza dirci una parola. Era bello stare insieme, ascoltare i suoni della notte, pensare a ciò che sarebbe accaduto, senza più timori. Poi, dopo qualche tempo, avvistammo il castello di Lucius, la nostra casa, e quando fummo davanti al pesante portone, una delle guardie, che probabilmente ci aveva seguito per tutto il tragitto tenendosi a debita distanza, si materializzò e ci aprì. Allora Lucius si chinò e mi prese in braccio.
Quel gesto era così banale che scoppiammo a ridere, anche se in segreto avevo sperato che il mio cavaliere lo facesse ed ero contenta che ancora una volta non mi avesse deluso.
Entrammo nella sala d’ingresso, dove tempo addietro mi aveva proclamata sua prigioniera e, sfiorando la fede che avevo al dito, capii che in fondo non era cambiato nulla da quella notte. Sin dai tempi in cui il patto era stato formulato, il nostro destino era stare insieme, che l’avessimo voluto o no.
Mi aggrappai forte a lui, mentre attraversavamo innumerevoli corridoi, finché ci ritrovammo di fronte alla nostra camera da letto – nessuna guardia in vista questa volta. Eravamo finalmente soli.
Lucius si chinò leggermente per afferrare la maniglia, la girò e aprì la porta. Poi mi posò con delicatezza a terra e mi abbracciò sussurrandomi: «Benvenuta a casa, Antanasia». Non risposi… non ci riuscii. Non volevo parlare… volevo solo lui.
E dal suo sguardo capii che anche Lucius non poteva più aspettare.
Dopo tutta quell’attesa, avremmo di nuovo bevuto l’uno il sangue dell’altra, condividendo tutto…
Così Lucius allungò un braccio dietro la schiena, mentre mi cingeva la vita con l’altro, e baciandomi chiuse la porta lasciando tutto il resto fuori.

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