Magazine Diario personale

These vagabond shoes, they are longing to stray

Da Miwako
Torno a casa nell'aria pungente delle sei del mattino. Canticchio e sorrido con la faccia di chi ha appena vinto un milione di dollari (rigorosamente in gettoni d'oro). E invece no, non ho vinto un milione di dollari. Una signora bardata in un cardigan di lana color cammello porta a spasso un beagle assonnato. Mi guarda, mi sorride e mi da il buongiorno. Rossetto rosso. Sia lei che io. A settant'anni sarò così, penso tra me e me. Solo due spanne più alta.Anche il lavavetri dell'agenzia di viaggi mi da il buongiorno. Se ne sta in canotta, nonostante il fresco che increspa la pelle. Sorride e fischietta mentre lucida le vetrine zeppe di vie di fuga verso angoli di mondo.Ho pure ballato stasera. Non ballavo da una vita. O almeno, così mi sembrava. Si festeggiava un compleanno. I., H. ed io. H. conosce tutti, ma proprio tutti. Così, ci hanno offerto da bere in ogni dove. Prima tappa, il bar delle scimmie. Non avevo cenato, ovviamente. Quindi, sono riuscita a barattare uno shot di vodka con uno di birra. Alcoolico ma non invasivo. Fair.Poi, un salto al locale del commissario. Pieno. Gente su di giri che balla pure sui tavoli, in un'atmosfera comunque rilassata, da villaggio turistico per intenderci. Appena entrate, un tizio mi fissa sgranando gli occhi, dicendomi che sono bella da lasciare senza parole. E' l'alcool amico, è l'alcool. E poi mica c'è tanta luce qui. Se l'accendessero, magari penseresti che assomiglio a Milhouse. Lo ringrazio imbarazzata e mi defilo. Arriviamo al bancone, chiedo al barista, amico di H., un succo al mirtillo. Succo che, nel tragitto dalla mia bocca alle sue orecchie, dev'essersi magicamente trasformato in un cosmopolitan. Dopodichè, segue questa breve conversazione:
IO: Ho chiesto un succo perchè non ho cenato, non posso bermi questo coso a stomaco vuoto!BARISTA: Fatti tuoi!  dice ridendo IO: Ora mi porti un panino con la mortazza! Hahahahahaaa
Tre minuti dopo, un altro barista mi porta un panino con la mortazza su un piattino blu. Ed io, che non tocco un boccone di carne da 11 anni, mi sento incredibilmente in colpa. In tutto quel trambusto, si sono dati pena di prepararmi un panino con la mortazza in carne e ossa pane. Per un attimo, penso di afferrarlo, mettermi di profilo e fingere di ingoiarlo. Poi, constatando l'impossibilità della cosa, opto per la verità, la dura verità.  Chiarito il misunderstanding, allungo il panino alle mie due compari e iniziamo a ridacchiare dell'accaduto. La serata prosegue, usciamo di li, ed io sono alticcia come lo si è solo a stomaco vuoto dopo un cocktail salvificamente leggero. Camminiamo e ridiamo e parliamo e io mangio la schiacciatina. Arriviamo al  posto con la B., dove H. solitamente lavora, entriamo e, BOOM, mi ritrovo tra le mani un cosina rossa e vagamente alcoolica. StavolTa, è il Sig. Vorrei-ma-non-posso ad offire. Ho fatto colpo, mi dicono. Io penso che potrei-ma-non-voglio. Arriva uno pseudo Harry Potter russo e nano, con una fantastica giacchetta presa direttamente dal costumista di Miami Vice. Ci guarda con quello che intuisco essere il suo sguardo da seduttore (presente Olmo? Ecco) e  chiede a me e a I. se vogliamo ballare con lui e i suoi amici. Fingo un malore. Scherzo, ma avrei voluto. Però provo a concentrarmi e a teletrasportarmi fuori dalla portata dei suoi spalloni, quello si. Non funziona, così sfodero il mio famoso sorriso da commessa che vorrebbe ammazzarti ma (per inutili cavilli contrattuali) non può farlo, e declino candidamente. Faccio due chiacchiere con un conoscente che non vedevo da almeno tre anni e ci scambiamo il sempiterno contatto facebook. Nel momento in cui sfuma la canzone, mi volto verso I. e inizio a cantare Gold Digger. Così, senza motivo. Dieci secondi dopo, esce un urlo dalle casse: "she take my money, well i'm in need". Io, sorpresa come una quindicenne che ha predetto la canzone alla fiera di paese, prendo I. per un braccio e la trascino in pista. Ballo come se fosse l'ultima volta. E pure la prima, visto che la sincronia mente-corpo non era "oliata" come avrei voluto. Orietta Berti alle prese con la break dance, l'effetto credo fosse quello.Il tempo di altre due canzoni, un giro nell'immancabile bagno unisex senza serratura nè carta igienica e il locale chiude. Noi che siamo con l'insider restiamo dentro, a chiacchierare, a ridere, a far girare la bottiglia per gli shot di chiusura che io, coscienziosamente, decido di evitare. Alla fine rimaniamo in cinque. Noi tre, D. e un tizio arrivato ieri da Chicago. L'avevo sentito suonare l'armonica poco prima e gli chiedo di fare il bis. Lui mi fa sentire qualcosa, poi si alza accennando un "Be right back" e torna con una chitarra. La impugna e inizia a suonare. Divinamente. E come prima canzone, sceglie qualcosa che non poteva lasciarmi indifferente. Iniziamo a cantare, lui con una voce fumosa e calda, io con la mia da usignolo strozzato. Cantiamo New York, New York senza nemmeno esserci presentati. Alla fine, dopo un po'di Clash e un accenno di Clapton, ci fa sentire una canzone che ha scritto lui. Voce, chitarra, armonica. E' incredibile, bella e malinconica. Decidiamo di uscire e andare a fare colazione. I. mi fa i complimenti per la voce. Io arrossisco, ringrazio e mi nascondo nella giacca (quella dello pseudo Harry Potter mi avrebbe fatto comodo ora!). Lungo il tragitto dal posto con la B. al forno, anche H. e D. mi fanno i complimenti. Per il mio inglese, stavolta, sorprendente per un'italiana. E detto da due britannici, è più che lusinghiero. D. mi chiede dove l'ho imparato. Sei mesi in Finlandia, rispondo. D. ribatte che comunque non si spiega la qualità del parlato .Il mio ego tira le estremità della mia bocca e sorrido, fiera del mio inglese.Davanti al forno chiacchieriamo del più e del meno, io divoro un croissant alla marmellata sporcandomi le dita come una bambina e ci salutiamo. Mi dirigo verso casa, in quel frammisto di felicità insulsa che si prova dopo una bella serata.Canticchio New York, New York, quando incontro la signora col cane. Arrivo a casa, salgo le scale due scalini alla volta, infilo la chiave nella serratura e apro la porta. Non c'è nessuno. A casa, nel letto, non c'è nessuno. Scivolo nel pigiama e poi nel letto, mi metto a stella marina e dormo. Sola. Felice. Si, felice.
 

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