L’artista più scaricato legalmente da BitTorrent nel 2014 è Thom Yorke, con il suo Tomorrow’s modern boxes, scaricato quasi quattro milioni e mezzo di volte. Bundles.bittorrent.com lo ha annunciato il 23 dicembre e la notizia è stata ripresa il giorno di Natale dal famoso magazine musicale NME (qui l’articolo). Thom Yorke non è certo nuovo alle sperimentazioni, non solo dal punto di vista musicale (Radiohead e side projects) ma anche dal punto di vista delle strategie di marketing utilizzate per il commercio di tali prodotti creativi, basti pensare ai metodi innovativi utilizzati per gli ultimi album dell’ormai più che ventenne band oxfordiana. Non stupisce, dunque, trovare il suo nome affiancato a quello del controverso BitTorrent. Ciò che invece avrà fatto alzare le sopracciglia a qualcuno è l’accostamento tra i termini “BitTorrent” e “scaricato legalmente”.
Il nome dell’azienda californiana, infatti, è da anni associato al traffico illegale di musica sul web. Il formato torrent la fa da padrone in questo campo e il software nato dalla mente di Bram Cohen ha rapidamente superato l’ormai vetusto Emule, diventando uno dei mezzi più utilizzati per lo scambio peer-to-peer.
BitTorrent, però, non è solo questo. Nel settembre del 2013 l’azienda ha lanciato un nuovo prodotto chiamato Bundle. Bundle, in inglese “pacco”, nasce con l’intento di rivoluzionare il rapporto artista/pubblico/rete. Si tratta di un formato pensato per contenere al proprio interno materiale multimediale di varia natura. Film, musica, persino libri o racconti. Detta così, non sembra certo un’idea incredibilmente innovativa. Il dettaglio fondamentale è un altro: una volta scaricato un bundle, una parte dei contenuti sarà fruibile gratuitamente, mentre un’altra parte sarà resa disponibile solo in cambio di un pagamento. Tale pagamento può essere economico (donazione libera o compenso corrispondente ad una cifra prestabilita) o di altro tipo (iscrizione ad una newsletter, like ad una pagina di facebook). E qui si giunge al punto nodale: il formato bundle è pensato per essere utilizzato da artisti e case discografiche che vogliono far circolare il proprio materiale in maniera innovativa. Il pagamento di un compenso, che si tratti di un pagamento monetario oppure di un gesto virtuale atto a far accrescere la visibilità dell’artista, crea un rapporto di scambio tra chi diffonde il proprio lavoro e chi ne usufruisce. E scardina completamente i binari paralleli sui quali hanno finora viaggiato le case di produzione (musicali, cinematografiche e, perchè no?, editoriali) e la rete internet.
L’idea è azzardata. Il rapporto tra imprese multimediali (in particolare in ambito musicale) e web è sempre stato difficile. Negli ultimi anni molti addetti ai lavori appartenenti al primo tra questi due mondi hanno accusato il web e la tecnologia peer-to-peer di aver distrutto l’industria creativa. Non si tratta certo di un pensiero condiviso da tutti: Anthony Kaufman, ad esempio, ha sostenuto la teoria che vede i torrents come parte di una nuova strategia di diffusione fondata su un dualismo ibrido tra la rete (e dunque la diffusione piratata di materiale artistico) e i formati tradizionali. Non danno, dunque, ma contributo all’aumento di visibilità dell’opera. Non è l’unico a pensarla così, e si suppone che in futuro la nuova generazione di artisti, registi, attori e tecnici cresciuti con il peer-to-peer porti ad un cambiamento radicale del pensiero anche nei settori più danneggiati dal fenomeno e fino a questo momento più polemici sulla questione.
Un cambio di rotta è ciò a cui cerca di portare Bundle: non vuole schierarsi da una parte o dall’altra, ma vuole creare un ponte che permetta da un lato un guadagno per l’artista (supponendo che ogni utente che ha scaricato Tomorrow’s modern boxes abbia anche pagato per l’accesso alla parte a pagamento del file, Yorke avrebbe guadagnato quasi 20 milioni di dollari, si vocifera) e per la casa di produzione, dall’altro la possibilità, per il pubblico, di ottenere materiale speciale e, almeno per ora, a prezzi più contenuti rispetto al solito.
Questo nuovo concetto ha ricevuto numerosi consensi, e non solo da parte di artisti ancora poco conosciuti: oltre al già citato Yorke, che è stato tra l’altro il primo artista a porre una cifra fissa (6 dollari) per accedere alla seconda parte del bundle, si sono affidati a questa nuova tecnologia anche Joshua Oppenheimer e la casa cinematografica Drafthouse per il making of di The Act of Killing (vincitore di un BAFTA come migliore documentario e di un Audience Award al festival di Berlino). In campo musicale, invece, si possono trovare gli Asking Alexandria con il loro Live from Brixton and beyond.
Bundle non può cantare vittoria dopo poco più di un anno dal lancio. Sarebbe esagerato. Eppure il numero di artisti che si affidano a questa nuova tecnica sta salendo e l’idea sta riscuotendo sempre maggior interesse. Inevitabilmente, verrebbe da dire, guardando ai numeri catastrofici delle vendite di album negli ultimi anni.
Che il formato fisico tradizionale sia in declino (ad eccezione del revival del vinile, purtroppo sentito da molti più come un fattore di costume che altro, ma che comunque ha registrato un aumento di vendite nel 2014) lo si sa da molto. Le case discografiche lo ricordano costantemente, ipotizzando un futuro nero per la musica e per il business che la circonda (o la soffoca, secondo altri). Il 2014 non è stato certo un anno positivo e lo si mormorava già al termine dell’estate. Il conto delle vendite fatto a fine anno l’ha confermato: solo sei album negli USA hanno raggiunto il platino (1.000.000 di copie vendute), 1989 di Taylor Swift, In the lonely hour di Sam Smith, The Outsiders di Eric Church, Old boots, new dirts di Jason Aldean, My Everything di Ariana Grande e il soundtrack di Frozen, che però è uscito nel 2013. Una delusione, per la RIAA (Record Industry Association of America), che ha riconosciuto la necessità di un cambiamento nelle modalità di assegnazione della certificazione di platino, in modo da venire incontro alle novità nella fruizione musicale da parte del pubblico. Le vendite di cd fisici continuano a calare e non solo: anche le vendite digitali sono scese, per influenza dei servizi di streaming quali Spotify, che hanno registrato un aumento del 54,5%.
Sono in crescita gli artisti di fama mondiale che reagiscono con nuove strategie: oltre ai Radiohead, pionieri in questo campo, Jay-Z ha scelto come mezzo un app per smartphone, gli U2 si sono affidati a ITunes (con le ben note reazioni non proprio entusiaste di buona parte dell’opinione pubblica) e così ha fatto anche Beyoncé, con l’album omonimo rilasciato a sorpresa nel dicembre 2013. Sembra, insomma, che siano proprio i musicisti stessi ad essere più recettivi nei confronti della necessità di cambiare; le possibilità offerte da Bundle e le aperture sempre meno timide da parte di varie case discografiche sembrano far presagire una presa di coscienza e un desiderio di adeguamento e di ricerca di nuove strade. Nessuno ha intenzione di negare la meravigliosa sensazione dello stringere tra le mani un album o un vinile fisico. Eppure ignorare internet, ormai è chiaro a tutti, è una follia. Ma è, ancora di più, un’enorme perdita. La perdita di innumerevoli occasioni, nuovi mondi e nuove possibilità che, in nome dell’ormai agonizzante formato tradizionale e del consueto (e forse esagerato) guadagno insito dietro ogni forma d’arte, rischiano di finire nella spazzatura ancora prima di essere state esplorate.
Di seguito il video di presentazione di Bittorrent Bundle.
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