Magazine Cinema
Anno: 1999Durata: 114'
La trama (con parole mie): Archie Gates, Troy Barlow ed il Capo Elgin sono tre uomini di punta - nei rispettivi settori - della Prima Guerra del Golfo, campagna militare che vide Bush senior combattere l'Iraq appellandosi all'invasione del Kuwait ordinata da Saddam Hussein.
La guerra, però, è ben diversa da come viene raccontata al mondo esterno, ed i soldati USA devono fare i conti con i rapporti da costruire giorno per giorno - e con molta attenzione - con i media: quandouna mappa scovata in un nascondiglio decisamente intimo di un prigioniero rivela l'ipotetica posizione di un tesoro in lingotti d'oro trafugato dallo stesso Saddam e custodito non lontano dalla base delle operazioni statunitensi, i tre si mettono in cerca della stessa finendo per disertare.
Questo gesto totalmente egoistico e legato al mero guadagno li tramuterà in qualche modo in eroi quando si troveranno a dover scegliere se diventare ricchi o salvare un gruppo di iracheni - che altro non sognano se non una vita da americani - intenzionati a varcare il confine con l'Iran.
E' più che legittimo affermare che ormai David O. Russell sia uno dei protetti del Saloon grazie ad una fama costruita pellicola dopo pellicola, resa solida dal buon The fighter ed ancor più dall'ottimo Il lato positivo, titoli che l'hanno di fatto lanciato verso i piani più alti del dorato mondo di Hollywood: all'appello mancava Three kings, che nell'ormai lontano novantanove ebbe un buon riscontro di critica ma non il successo commerciale che ci si sarebbe potuti aspettare per un blockbuster con protagonisti George Clooney e Marc Wahlberg.
Forse perchè, di fatto, un blockbuster - nel senso più commerciale ed appiattente del termine - Three kings non è: quello che Russell ha confezionato, infatti, è un film molto più profondo e stratificato di quanto non possa sembrare all'apparenza, più simile al successivo Jarhead che non a polpettoni di retorica a stelle e strisce come ci si aspetterebbe da un connubio tra guerra e film di grande distribuzione.
Basterebbero sequenze come quella dell'interrogatorio di Marc Wahlberg/Troy Barlow, aperto con la domanda del suo carceriere "che cosa ha fatto il tuo Paese a Michael Jackson? In nessun altro luogo del mondo un nero è costretto a diventare bianco e a lisciarsi i capelli", per rendere l'idea del contenuto profondamente satirico, grottesco ed insolito per quella che, di fatto, è una pellicola d'azione, almeno sulla carta: al contrario, quello che viene portato in scena da Russell è un acuto pamphlet contro l'amministrazione di Bush senior e l'aggressività del modello di vita statunitense, capace di influenzare perfino le vite degli abitanti del loro rivale in Guerra - ed anche in questo caso, le battaglie più importanti paiono quelle mediatiche, in netto anticipo sui tempi cambiati a seguito dell'undici settembre e del Nuovo Millennio - e di mostrare tutti i limiti di quello stesso modello fatto di ottimismo larger than life e sindrome dei salvatori.
Il tutto senza necessariamente dover demolire o demonizzare il prodotto dello Zio Sam, che sarà pure fallace ed esposto alle critiche, ma che rappresenta, di fatto, un approccio alla vita ed alla sua conduzione in grado di dare la sensazione a chiunque lo provi sulla pelle di poter realizzare qualcosa, e che in un momento storico pessimo come quello che stiamo vivendo ora in Italia potrebbe essere un esempio cui fare riferimento per cercare di tornare ad alzare la testa senza pensare di crescere i nostri figli in un luogo senza futuro.
Dunque, pur se ancora senza la profondità del già citato Il lato positivo, David O. Russell mostra tutto il talento per il quale il Cinema imparerà a conoscerlo negli anni successivi, azzeccando il giusto equilibrio tra la componente più tamarra del suo lavoro e quella profondamente drammatica - perchè non è mai detto che la satira debba necessariamente portare alle risate sguaiate -, una regia ottimamente organizzata ed un cast particolarmente ispirato - non solo uno dei migliori Wahlberg di sempre, ma perfino un Ice Cube che pare espressivo -, una profonda analisi della sua stessa cultura ed un finale che lascia il dubbio che si possa trattare di Cinema verità - e di nuovo tornano in ballo i media -, perchè anche se parliamo di fiction dall'inizio alla fine quello che è messo in scena, di fatto, è molto più simile alla cronaca di quanto potremmo pensare.
Nell'epoca delle grandi manipolazioni e della comunicazione globale, infatti, anche la guerra è diventata una merce di scambio, un complesso gioco di ruolo all'interno del quale non è più il forte a sopravvivere - non siamo più ai tempi degli antichi regni e delle spade -, il più furbo - il Rinascimento e l'Illuminismo -, il più solido - i due conflitti mondiali -, bensì il miglior promoter di se stesso: in un certo senso, la politica e le sue conseguenze sono diventate uno spettacolo ben più terribile e costruito di quello hollywoodiano.
MrFord
"Got in a little hometown jam so they put a rifle in my hand
sent me off to a foreign land to go and kill the yellow man
born in the U.S.A.
I was born in the U.S.A.
I was born in the U.S.A.
I was born in the U.S.A.
Born in the U.S.A."Bruce Springsteen - "Born in the USA" -
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