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- Ma, Luca, è sempre tua mamma!
E questa è la mia genitrice, una che non si scompone mai e che sa sempre esattamente cosa dire, una mamma con tutti i crismi.
- Crunch, crunch.
E 'st'idiota che mastica è mi' frate. La cena è terminata da un’ora ma lui si fa ancora di fondente nero, quello con le nocciole, sgranocchia in estasi come fosse in un altro universo e innaffia di Fanta. Ha il cervello agli arresti domiciliari e se a una cert’ora non lo fermi, capace che tira mattina e difatti i brufoli li vende all’ingrosso.
La nonnina, oltre a mio padre, ha un'altra legittima erede, la zia, che non foss'altro perché si prende cura della sua vecchia quasi da sola, sta in odore di santità. A me mi piace parlare un po' scelto, tipo dire si evince, con tutti i crismi e odore di santità.
Mi piace perché di studiare non è cosa e allora vado con quello che sento in tivù così i gonzi poi credono che so parlare. E dico anche a me mi, quando ci vuole. Anche se alla fine poco mi fotte di parlar bene, come volevasi dimostrare.
C'è questo problema che la vecchia da sola non campa più, alle sue costole hanno piazzato una badante dell'est di sana e robusta costituzione, che se la piglia, se la culla, se la porta in giro, se la nutre e se la pulisce di roba grossa e di roba fina. Il babbo ha cominciato a chiamarla Kornelia Ender, ma non chiedetemi perché.
Di sabato e domenica Kornelia se la spassa alle Cascine o chissà dove la porta il cuore e la zia si cura della vecchia, se la porta a casa sua e se la tiene a pensione fino a domenica sera. Quando la riporta le fa scendere un calmante e la mette a letto.
La polaccona, o quello che è, arriva il lunedì mattina presto, problemi non ce ne sono e fin qui ognuno si piglia le beghe sue.
Di giovedì è un’altra musica: la vecchia, con i suoi dolori, i suoi ohi ohi e le sue scariche corporali tocca a papino mio. Ma questo in teoria, perché va a finire che lui strafà in ufficio e dalla bacucca mi tocca andarci a me e non è proprio come meriggiare a Capri d’agosto.
- Oggi ci vai te, Barbara. La nonna si sente più a suo agio con te che con tuo fratello.
- Minchiasecca, però!
- Ma come parli, Barbie?
Ora, se davvero volete farmi uno spregio chiamatemi Barbie. Io che di Barbie non ho nulla. Nein capello platinato, nein chilometri di gambe, nein vitino di vespa, nein tette a punta. Io che viaggio con gli anfibi ai piedi e con una maglietta sdrucita color nerofumo di copertone da puttane.
Esigo che mi si chiami BaRbaRa, con tutt’e due le mie ERRE, ostili e dure.
L'idea m’è venuta verso metà dicembre sentendo il mio genitore blaterare a telefono con la zia. Pare ci fosse un bel botto di soldi contanti da dare a Kornelia, il mese più la tredicesima, più gli extra, una cifra attorno ai tremila tanto per essere chiari. Li avrebbero lasciati al solito posto, in casa della nonna, salvo tirarli fuori attorno al venti per la ragazza dell’est malata d’amore per la vita.
Dopo sette giovedì di fila dalla nonnina io stavo al limite.
- Perché non l'ammazzi? - fa Ollio sfumacchiando, è seduto sulla spalliera di una panchina.
- Già, perché?
Non è stata una decisione presa così, ma se vi concentrate su come si dipanasse un giovedì pomeriggio in compagnia di mia nonna capirete da soli che prima di uscire pazza qualcosa mi dovevo inventare.
Scegliere il giorno invece è stato facile, sapevo che i soldi erano in casa e sapevo dove: dietro a una vecchia foto della zia bambina. Un ritratto dove la zia avrà sì e no cinque anni: è seduta su una scalinata in pietra col parapetto in muratura rifinito in cotto, su ogni gradino un vaso di gerani e in ogni vaso grappoli di fiori rosso scarlatto. La zia bambina ha la testa inclinata verso una spalla e gli occhi furbetti che puntano il fotografo, con una mano ha staccato un fiorellino.
Decidiamo di entrare per la razzia dei tremila euri la domenica notte, verso le tre. Al ritorno di Kornelia dalle sue scorribande festive con i badanti del mondo emerso, l’opera sarebbe stata compiuta. Sì, sono anche una che dice euri.
Ollio è a posto e sa tenere la bocca cucita se cucita ha da stare.
Passiamo dalla finestrina della caldaia scalciando la retina antinsetti che mica sono così torda da entrare con le chiavi.
Con la pila accesa filo dritta da mia zia bambina, stacco la foto dal muro, tiro via i soldi dalla busta e li passo a Ollio. Facile come mangiare una pesca melba.
- Allora? - mi fa Ollio.
- Adesso vado!
Torcia in bocca, struscio in cucina e mi prendo un coltellaccio da cocomero, colla punta bella dritta. Dico a Ollio di restare lì e vado in camera, dalla nonna.
Ho tutto il tempo che voglio, la vecchia dorme della grossa, è supina, non devo nemmeno girarla. Alzo il coltello e le mollo un fendente sul petto.
Non ci crederete, la vecchia balza a sedere di scatto, caccia un urlo soffocato e il coltello schizza chissà dove. La nonna spalanca gli occhi e guarda in direzione del fascio di luce. Non può vedermi, sto inghiottita dal buio, ma la sento gorgogliare qualcosa. Forse dice “è tardi”, forse dice “non mi garbi” o un’altra parola priva di senso.
O forse dice Barbie. Cazzo.
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Il testo partecipa all'EDS Nero di Natale by La Donna Camèl.
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