Brown Ribbon era il nastrino di una vecchia campagna contro l'ipocrisia "Politically Correct"; ora è il titolo della rubrica di RightRugby per le polemiche controcorrente. Una rubrica che non ha paura di rischiare tackle un po' alti o prese di posizione apparentemente imbarazzanti, come quella di Bakkies Botha su Jimmy Cowan nel logo. Del resto: "If you can't take a punch, you should play table tennis".
Oggi, qui, adesso: siamo alle soglie di un evento epocale anche se locale. Persino RR dalla sua "turris eburnea" molto cool e tutta rugby internazionale, ne ha dovuto far cenno: la finale per lo Scudetto del rugby in Italia, il primo della Era Eccellente back-to-the-future nel semiPro, sarà Rovigo - Petrarca Padova. Allo Stadio Battaglini, sabato prossimo ( in diretta su RaiSport). Rovigo non vince il campionato dal 1990, Padova dal 1987: c'è voluta l'espulsione dei Pro dal campionato per interrompere il predominio ventennale di un Super-Club raccogli tutto e ritornare alle sfide classiche.
Tra Rovigo e Padova è uno scontro storico, una rivalità immarcescibile che affonda nei tempi e che trae linfa dal campanilismo tra limitrofi-ma-diversi che pure mai s'ingaggiarono tra loro nel Medioevo e dopo, un po' stile Pisa-Livorno (già ne parlammo diffusamente); è una sorta di derby d'Italia del rugby anche se -strano ma vero - con lo scudetto in palio è avvenuto una volta sola: campionato 1976-77 finito a pari punti, spareggio a Udine, vittoria del Petrarca.
Non approfondiremo qui gli aspetti tecnici della tenzone (peraltro si fa presto: team diretto da Polla Roux dominatore del campionato, miglior attacco e miglior difesa overall e perdipiù in casa; club diretto da Presutti con grandi individualità - Spragg se ci sarà, Costa Repetto un prima linea metaman del campionato, Barbini, Mercier - e senza nulla da perdere).
Quel che qui dell'evento ci interessa stigmatizzare, a noi scorretti e fuori dal coro in quest'epoca di diffuso perdonismo pro-masse è l'eccitazione, paradossalmente tanto più forte quanto più "locale" è l'evento.
Per chi non sia di Rovigo e Padova, assicuro che nel caso in questione di adrenalina ne scorre letteralmente a fiumi, soprattutto tra Adige e Po. Nella saggezza universale, gli stati di profonda eccitazione psico-motoria sono dipinti da crudi detti popolari come nemici dell'esercizio delle facoltà razionali. Con buona pace degli addicted e dei cantori delle passioni di massa, troviamo non ci sia nulla di casuale sul fatto che si chiami "tifo", il nome di una malattia tignosa, schifosa e mortale.
Fa comunque sempre pena veder bravi ragazzi o padri di famiglia o anche gentili donzelle impazzire schiumanti sotto un bandierone in comunione con teppaglia tatuata; sarebbe però tutto ricomponibile se poi tornassero "normali", basterebbe la consapevolezza di "aver trasgredito", semel in anno licet insanire. Invece tocca trovare in gito nel web abborracciati tentativi (auto-)giustificatori, cose che poi servono come il pane non tanto ai bravi ragazzi o a chi allibito li legge, quanto alla teppa in cerca di un suo qualche perchè.
Così trovi quello che fa, al tifo magari eccessivo preferiresti forse gli stadi vuoti ? Quella della "coreografia" è la scusa best seller per giustificare l'esistenza delle Curvesud calcistiche, ma poi che ragionamento è? Come si fa a pensare, o tifo sguaiato o stadio vuoto? La risposta è, mi piacciono le partite in cui la "coreografia" la fa il pubblico normale che applaude i suoi, canta, indossa cappellini, magliette e sciarpe e non gli scemi col bandierone, i fumogeni e i cosiddetti "sfottò".
Ti arriva quell'altro che afferma, io fischio il calciatore avversario come urlo in coro gli sfottò offensivi e volgari. Anche questo che razza di pensiero debole è mai? Est modus in rebus: personalmente non capisco i Pasdaran del non fischiare - lo si fa regolarmente a Hamilton-Waikato piuttosto che Bloemfontein, anche se troviamo molto più intimidente un Thomond Park in silenzio tombale sul calcio dell'avversario - ma il passaggio tra "Neri merda" a "negro di merda" e quindi al tizio in passamontagna sotto al cartello "diffidati", o alla gomma squarciata dell'auto con targa "sbagliata", francamente ci pare minimale. Non che sia un passaggio che farebbero tutti, ma nella massa qualcuno mimetizzato più che disposto a farlo, lo trovi sempre. E "qualcuno" a volte basta e avanza per far danni, nello sgomento di chi poi si chiede come sia potuto accedere.
Concludendo, a Rovigo tifino pure quanto gli pare e piace sotto il bandierone, ululino tutto il loro odio irrazionale, si straccino pure le vesti; personalmente lo trovo controproducente, fossi in campo da avversario mi caricherebbe una cifra. Comunque è tutto nel loro pieno diritto, sempre che si fermino in tempo e se dopo prevalesse l'etica del terzo tempo, il vero differenziatore del rugby (non il non fischiare come crede qualcuno), che in buona sostanza significa: tu hai provato a spaccare me, io ho provato a spaccare te e adesso che è finita ci beviamo 'na birra assieme.
Che bello sarebbe se almeno questo sport fosse libero da chi tenta di dare una giustificazione razionale a prescindere, magari pure sociologica, a una malattia schifosa chiamata tifo: ma non hanno il calcio 'sti qui? Non gli basta? Tifosi contro i quali, ripetiamo, non abbiamo assolutamente nulla (non si deve mai disprezzare lo sfigato o il malato), solo chiederemmo ci risparmiassero i loro vacui tentativi di razionalizzare.
Ah, per tornare alla finalissima del Battaglini, speriamo stia tutto nei limiti della decenza e dell'immagine positiva per il nostro sport, e che vinca il migliore; nel nostro piccolo però aggiungiamo come avrebbe risposto il grande padovano d'adozione, El Paron Nereo Rocco: "speremo de no".