A cura di: Bruce Waine
C’erano Massimo Boldi e Christian De Sica, ma non era un cine-panettone. Perché “Tifosi” (1999), di Neri Parenti, non si reggeva tutto sulle grazie della soubrette del momento né si giocava per intero sulla battuta demenziale, preferibilmente a sfondo erotico, delle varie “Vacanze di Natale”.
Certo, non era un capolavoro del neorealismo. E nemmeno, credo, aveva i crismi per diventare un “classico di Serie B” come “L’allenatore nel pallone”. Però, tutto sommato, era un film godibile, non foss’altro che per le performance assicurate da un cast che, oltre a De Sica e Boldi, comprendeva anche Diego Abatantuono, Nino D’Angelo, Enzo Iacchetti e Maurizio Mattioli.
Tutta la trama del film – che era poi un insieme di episodi indipendenti l’uno dall’altro ed uniti solo dal calcio – è giocata intorno ai molti “campanili” italiani. C’è Gennaro Scognamiglio (Nino D’Angelo) che, non avendo modo di arrivare a Bergamo (ma lui dice: “ad Atalanta”), finisce per vedere Atalanta-Napoli in diretta tv grazie a “o’ decoder” trovato nella casa che stava svaligiando insieme all’amico Ferdinando, per poi scoprire che il padrone di casa era Diego Armando Maradona. E poi c’è Silvio Galliani (Massimo Boldi), tassista milanese che fin nel nome porta impressa la sua fede rossonera, che finisce nella curva per gli ospiti a San Siro e si trova costretto ad esultare per la tripletta rifilata da Totti al suo Milan. E poi ci sono il chirurgo Cesare Proietti (Christian De Sica) ed il pilota Alitalia Carlo Colombo (Enzo Iacchetti) che, in nome della fede calcistica – laziale il primo, interista il secondo – arrivano quasi a rovinare il matrimonio dei loro figli (e comunque, alla fine, litigheranno sul nome da dare al nipotino: “se è maschio lo chiamiamo Pirlo”; “sì, e se è femmina…”). E poi c’è Vito La Monica alias “Zebrone” (Diego Abatantuono), leader degli ultrà juventini bandito per tre anni dagli stadi italiani a causa delle intemperanze di cui di volta in volta si rende protagonista, che assiste a Parma-Juve dall’attico di una invadente donna parmigiana e dà vita ad una serie di scontri all’ultimo sangue coi fratelli Culatello, leader degli ultrà ducali.
Tutto questo, ripeto, non dà vita a un grande film, e nemmeno a un classico del B-movie all’italiana. Ma, sicuramente, ad un film che di tanto in tanto fa piacere rivedere.
C’erano Massimo Boldi e Christian De Sica, ma non era un cine-panettone. Perché “Tifosi” (1999), di Neri Parenti, non si reggeva tutto sulle grazie della soubrette del momento né si giocava per intero sulla battuta demenziale, preferibilmente a sfondo erotico, delle varie “Vacanze di Natale”.
Certo, non era un capolavoro del neorealismo. E nemmeno, credo, aveva i crismi per diventare un “classico di Serie B” come “L’allenatore nel pallone”. Però, tutto sommato, era un film godibile, non foss’altro che per le performance assicurate da un cast che, oltre a De Sica e Boldi, comprendeva anche Diego Abatantuono, Nino D’Angelo, Enzo Iacchetti e Maurizio Mattioli.
Tutta la trama del film – che era poi un insieme di episodi indipendenti l’uno dall’altro ed uniti solo dal calcio – è giocata intorno ai molti “campanili” italiani. C’è Gennaro Scognamiglio (Nino D’Angelo) che, non avendo modo di arrivare a Bergamo (ma lui dice: “ad Atalanta”), finisce per vedere Atalanta-Napoli in diretta tv grazie a “o’ decoder” trovato nella casa che stava svaligiando insieme all’amico Ferdinando, per poi scoprire che il padrone di casa era Diego Armando Maradona. E poi c’è Silvio Galliani (Massimo Boldi), tassista milanese che fin nel nome porta impressa la sua fede rossonera, che finisce nella curva per gli ospiti a San Siro e si trova costretto ad esultare per la tripletta rifilata da Totti al suo Milan. E poi ci sono il chirurgo Cesare Proietti (Christian De Sica) ed il pilota Alitalia Carlo Colombo (Enzo Iacchetti) che, in nome della fede calcistica – laziale il primo, interista il secondo – arrivano quasi a rovinare il matrimonio dei loro figli (e comunque, alla fine, litigheranno sul nome da dare al nipotino: “se è maschio lo chiamiamo Pirlo”; “sì, e se è femmina…”). E poi c’è Vito La Monica alias “Zebrone” (Diego Abatantuono), leader degli ultrà juventini bandito per tre anni dagli stadi italiani a causa delle intemperanze di cui di volta in volta si rende protagonista, che assiste a Parma-Juve dall’attico di una invadente donna parmigiana e dà vita ad una serie di scontri all’ultimo sangue coi fratelli Culatello, leader degli ultrà ducali.
Tutto questo, ripeto, non dà vita a un grande film, e nemmeno a un classico del B-movie all’italiana. Ma, sicuramente, ad un film che di tanto in tanto fa piacere rivedere.