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Tim, Font di Disapprovazione

Creato il 15 maggio 2013 da Jonlooker @Jonlooker

Archiviata l’era dell’attraversamento delle epoche con il trio Marcorè-Marzocca-Balti, Tim è tornata alla sua personale, discutibile celebrazione del talento. Stavolta si sono concentrati sulla carriera di Chiara Galiazzo, che io credo abbia vinto l’ultimo X-Factor (o comunque ne è uscita bene). Immagino che si voglia ricreare il suo percorso, dagli albori in poi. Finora non può esserci tanto materiale, visto il poco tempo passato, ma comunque Tim è riuscita a renderlo fumoso e sgangherato che manco Sentieri.

Vi avverto che siamo ben lontani dalla folgorante saga della Tim Band, ma l’intenzione è sempre la stessa: gente gggiovane con tanta voglia di farcela, per dirla con formula tipica. Il che, sempre secondo Tim, deve intersecarsi per forza, ma proprio per forza, con qualcuno che canta o suona. Non so perché. E secondo me neanche loro.

La campagna attuale si chiama Amo il Talento – TIMxTE (non è freddo, è disgusto per la X, il brivido che sentite) seguito dall’insopportabile hashtag: #amoiltalento, che #hocapitochevoletefareilbottosutwitter #manoncredochesuccederà #ecomunqueaveterottoconquestiasterischidovenonserve.

 

 

Ora, io non voglio fare il grafico con gli stivali, soprattutto perché la mia competenza è un livello intermediate di MS Paint, ma voi riuscite ad ascoltare quello che viene detto, dopo che vi si piazza in sovraimpressione la scritta “Qualche anno fa…” nel font Bradley Hand ITC? La seconda scelta che era, il Comic Sans?

budget

 

La mia storia comincia qui… e non era una giornata di sole.

 

Veramente il sole, figlia mia, è il tuo ultimo problema: stai per prendere un treno regionale per Venezia, sono fatti tuoi. E mentre intorno i fumogeni portano chi non c’è mai stato a credere che il Veneto sia il set di un video musicale del 1981, Chiara corre verso il treno e sale. Ora, questa è proprio un’ingiustizia concettuale, una concatenazione di balle.

Balla numero uno: fanno intendere che la ragazza sia arrivata giusta giusta, il che non è possibile. Non è possibile che il treno arrivi in orario e che lui aspetti te. Sei tu che aspetti lui, mentre nel frattempo la luce del giorno cambia in tutte le sfumature, finché le ombre ballerine scompaiono in favore della luna che sbadiglia con la cuffietta in testa, come in un giocattolo Fisher-Price.

Balla numero due: io, quel treno lì, in tutto il Triveneto, non l’ho mai visto e se voi l’avete visto mi dovete dire dove e io lo vado a fotografare, lo lucido con il pannetto di daino e poi lo voglio abbracciare con gli occhi umidi di commozione. Ma magari ce lo mostreranno meglio dopo e scopriremo che è la solita littorina le cui cappelliere ospitano un bagaglio delle dimensioni esatte della borsa di un medico di campagna del periodo coloniale. Ci ritorneremo.

A salutare Chiara ci sono due persone. La nonna (bella lei) e una ragazza che penso sia la sorella (di Chiara, non della nonna).

Questo è un regalo per te, così mi chiami!

Fa la vecchina, che ha corso tutto il tragitto dalla stazione al treno con il fragile braccino teso, per dare il pacchetto alla nipote. Ora, siccome, una volta tanto, nessuno è preso per fesso, l’hanno capito tutti che, se quel regalo è per Chiara e con quel regalo Chiara potrà chiamare la nonna, quel regalo non è una coppia di coppette da gelato unite dallo spago, bensì un cellulare. E siccome la scatola è Tim ed ha le dimensioni di una focaccia all’olio, possiamo tutti dedurre che si tratti di uno smartphone.

Grazie!

Esclama Chiara tutta emozionata.

Ma ecco intromettersi la sorella, che con il tono povera vecchia sbandata, che hai fatto, si lamenta

Nonna, ma le telefonate costano!

Ma santa pidocchia, sta povera anziana ha dato un mese di pensione per il telefono, cosa vai a sgridarla?

Scommetto che se ti regala la macchina però non glielo dici no, dai, restituiscila, che la benzina oggi stava a uno-sette-e-novantotto.

La nonna comunque se la fuma in dieci secondi enunciando un’offerta di Tim che a me non interessa quindi soprassiedo, ma che fa capire che c’è un po’ di credito in più che salta fuori da qualche parte.

Al che, contagiata dai sentimenti delicati della sorella, Chiara fa spallucce e, facendo chiaramente intendere che non potrebbe fregargliene di meno, delle tariffe, le fa:

E allora?

E allora adesso ti strappo il pacchetto di mano e lo butto sotto i binari così si maciulla, avrei detto io.
Ma la nonna, che è di qualità superiore, risponde che con il surplus deve chiamare lei, con un’attitudine fierce che, sommata all’abbigliamento e allo sguardo se non stavi già sul treno di davo pure due sculacciate, la elegge Regina dell’Universo Tutto.

Ormai in viaggio, Chiara scarta il regalo e ci trova, come sapevamo, una sberla di telefono che se vuoi fa anche da vassoio. Ma un passeggero abituale di Trenitalia non sta lì a guardare l’SIII, proprio no, anche perché “qualche anno fa” quel cellulare non esisteva (balla numero tre). Piuttosto, si indigna per la

balla numero quattro: non sembra esserci neanche un PIT, le molle dei sedili non saltano, i medesimi sono puliti e le finestrone non hanno la tipica patina incrostata di fangopioggia che ti fa credere di essere a bordo del Titanic per come è oggi.

Ad ogni modo, Chiara scende a Venezia-Santa Lucia e comincia ad attraversare ponti a caso in zone a caso. Capiamo presto che si è persa. Il che è assolutamente normale: quella maledetta città si ingarbuglia tutta e ti risputa con le ossa inumidite. Ma non è tanto il fatto che si perda, quanto che sembri un po’ persa di suo. Prima passeggia, poi guarda l’ora…

Oh mamamia!

Esclama d’un tratto, come se si fosse scordata che ha lasciato sul treno i due reni da consegnare all’ospedale SS. Giovanni e Paolo.

Poi, però, passeggia di nuovo, nell’ignavia più assoluta, passa davanti a un centro Tim, poi si ricorda ancora che era lì a far qualcosa… Un tipico delirio psicotico da Bianconiglio. Chiede l’informazione a un tizio che importuna una gondola a settecento metri da lei. Comodo e sensato.

«Vado bene per l’Università Ca’ Foscari?» (pubblicità, anyone?)
«Hai voglia di studiare?»
«Eccerto!» (non convintissima)
«Allora va bene.»
 

Lei a quel punto si arrende e cerca di ferirsi a morte picchiando sul muretto.

 

#lasciateperdere.



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