Magazine Lavoro
Non amo organizzare questo genere di cose. Preferisco fare il mio lavoro come si deve, e finirla lì. Soprattutto perché non ho mai avuto buoni rapporti con tipografie e fotolito che, dopo l'avvento del desktop publishing, hanno rovesciato tutte le responsabilità sui grafici. Tanto che non credo esista al mondo una singola tipografia che abbia mai ammesso il seppur minimo errore proprio.
Il primo tipografo con cui ho avuto a che fare era il signor C., dalle parti di Sesto San Giovanni. Discretamente affabile, ma erano ancora tempi in cui si lavorava con forbici colla e trasferibili, perciò non era così facile scaricare il barile. L'ho incontrato nuovamente qualche anno dopo; lavoravo in Piazza Novelli alle dipendenze di un siciliano che aveva servito negli alpini. Il risultato era un ossimoro vivente: un ometto alto forse un metro e sessanta, con pizzetto da alpino, voce impostata tipo quella di Roberto Vacca, e un po' ci assomigliava pure. Un ego così fuori dalle righe da apparire a volte surreale.
Mentre lavoravo con lui, avevo anche qualche piccolo cliente e, non conoscendo altre tipografie, mi sono rivolto al signor C.
Sono rimasto letteralmente sbalordito quando, dopo aver denunciato per licenziamento ingiusto il piccolo alpino, il signor C. accettò di testimoniare contro di me. E per dire cosa poi? In seguito ho saputo che quel maledetto alpino in miniatura mi accusava addirittura di furto, cosa che il giudice ha commentato con un sorriso e una scrollata di testa.
Altro lavoro, altra tipografia; fra Sesto San Giovanni e Cinisello Balsamo. Una di quelle grosse, con un sacco di ragazzetti smanettoni curvi sui computer praticamente a cottimo. Commettevano errori su errori, ma erano così smisuratamente maleducati da accusare sistematicamente i grafici di qualsiasi cosa. Pure della deriva dei continenti. La musica cambiava se il cliente era una casa editrice di un certo livello: l'attenzione si alzava a livelli quasi civili e gli errori corretti senza tante storie.
Poi c'è quella tipografia che definirei storica per Milano, fondata verso la metà degli anni venti e, in seguito, gestita con piglio militaresco dalla moglie e poi dalla figlia del fondatore. Anche loro erano arrivati a pretendere lavorazioni al limite dell'umiliante e del grottesco, senza mai ammettere qualsiasi errore, e arrivando a minacciarmi in un modo che non può che definirsi mafioso, per aver rifiutato un lavoro infame e mal pagato che pensavano avrei accettato con gratitudine.
Uno invece da cui ho preso una sonora fregatura, più che di fotolito, si occupava di stampa digitale. Era un tale casinista, inaffidabile nei tempi di consegna, bugiardo e probabilmente pure ladro. Per colpa sua ho perso un cliente che, per quanto capriccioso e isterico, era pur sempre uno dei nomi più importanti dell'editoria italiana.
E che dire della tipografia da cui si serve il mafioso pelato? Ha prezzi inferiori anche del trenta, quaranta per cento rispetto a chiunque. Come fa? Impossibile saperlo. Girano voci che il signor P. sia indebitato fino al collo e che, pur di far girare le macchine e quindi pagare i debiti, lavori sottocosto o quasi in perdita.
Questo non toglie che sia uguale a tutti gli altri nel fare i propri interessi, calpestare il più debole per ingraziarsi il forte, tradire peggio di una puttana, mentire come Giuda.
Quando l'ho diffidato dall'usare e diffondere le mie gabbie grafiche, non ha fatto altro che passare la mia mail al mafioso pelato, fregandosene altamente e scegliendo, come sempre e senza la minima originalità, di stare dalla parte sbagliata.
Per questo la richiesta dell'editore siciliano mi lascia piuttosto freddo. Principalmente perché per il momento ho esaurito le tipografie a mia disposizione e poi perché è gente con cui non amo trattare.
Rimane mio cognato. Anche lui ha una tipografia a Rozzano, e anche lui rientra perfettamente nel clichè (tanto per stare in tema) del perfetto bastardo.
Faccio il grafico da una vita e lui il tipografo da prima che io finissi il liceo. Sarebbe potuta essere una bella collaborazione, sostenuta anche da un minimo legame famigliare e pure una vaga amicizia. Invece non ha fatto che cercare di approfittare di me, dei miei contatti lavorativi, del mio lavoro, senza mai dare niente in cambio, senza mai farmi entrare nei suoi giri, presentarmi un cliente. Ma questa è un'altra lunga storia.
È con grande disgusto che mi rivolgo a lui per chiedere un preventivo, e in cuor mio spero ardentemente che a Messina ci sia chi possa portargli via il lavoro.
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