Il noto caso di cronaca conosciuto come "il Madoff dei Parioli" ha avuto un risvolto imprevisto che ha toccato il Vaticano. Una settimana nera, per le alte cariche ecclesiali, non c'è che dire. Prima le pesanti accuse di corruzione di un monsignore, tal Viganò, nei confronti di persone vicine alla Segreteria di Stato Vaticana, con tanto di lettere a Ratzinger, risoltasi con l'allontanamento del monsignore reo, per così dire, di aver sistemato le casse di uno degli svariati enti del piccolo Staterello di cui è noto, l'Italia fa provincia. Ieri invece è toccato a un sacerdote domenicano, don Francesco Maria Ricci. La vicenda è fantastica in tutti i suoi aspetti e si illumina in modo speciale alla luce delle parole del Cardinal Bagnasco di qualche giorno fa in merito al peccato derivato dall'evasione fiscale, parole peraltro piuttosto interessate, visto che l'8 per mille è proprio una quota delle tasse versate. Monsignor Ricci, dunque, si presenta in tribunale come parte offesa, essendo egli stesso stato gabbato da Gianfranco Lande, il "Madoff" nostrano per l'appunto, per una cifra di 1,6 milioni di €. Una cifra piuttosto grossa per un prete domenicano il cui ordine nacque, lo ricordiamo, al fine di predicare oltre che con la parola, attraverso la povertà. Monsignor Ricci di mestiere, oltre alle attività più tipiche del suo stato sacerdotale, presta servizio alla Congregazione per le Cause dei Santi, ovvero per l'organismo che deve vagliare gli atti, o se vogliamo le prove, grazie alle quali un uomo può essere assunto alla santità. Il pio monsignore pare abbia utilizzato i soldi raccolti da associazioni di fedeli per promuovere questa o quella causa di santificazione e li abbia investiti, consapevolmente, in attività finanziarie offshore che è bene ricordare, sebbene non propriamente illegali, sono moralmente riprovevoli in quanto volte, nella migliore delle ipotesi, all'occultamento della proprietà (e quindi con fine di evasione), se non addirittura a operazioni di riciclaggio. Dico consapevolmente perché tali capitali sono risultati "scudati" ovvero il monsignore li aveva fatti rientrare per aderire alle agevolazioni dello scudo fiscale del 2009, dando mandato al Lande, di versare 101 mila euro che però questi non versò mai. Ora abbiamo due elementi, il primo dei quali vede don Ricci utilizzare soldi in operazioni ad alto rischio e al limite della legalità (ma non entro il limite della moralità che dovrebbe, tra le altre cose, imporgli il suo Ordine), soldi che in una dichiarazione sarebbero quelli che
"gli hanno consegnato per le cause dei santi"e in un altra, che sarebbero
"una sorta di parcella per il suo lavoro di beatificazione e di canonizzazione".Già, una sorta di parcella, che è il secondo elemento. Diventa fin troppo ovvio dedurre che per favorire l'ascesa di un pio defunto ai piani alti del Paradiso sia necessario pagare profumate parcelle, alla faccia delle buone azioni, della fedeltà alla dottrina o dai presunti miracoli, che sarebbero quindi necessari ma non, probabilmente, in modo esclusivo. Potrebbe essere anche un modo per leggere, sotto un altra luce, il numero spropositato di Santi e Beati usciti da quell'istituto sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, ben 1338 beati e 482 santi: un ottimo modo per far soldi. Soprattutto se si tiene conto che nei quattro secoli precedenti, i vari papi canonizzarono 300 santi.