ABBONATI AL BLOG “LA FUGA DEI TALENTI”, CLICCANDO IN FONDO A QUESTA PAGINA!
Strano Paese, l’Italia. Fino a pochi mesi fa ci battevamo il petto e strillavamo, strepitando per l’”emergenza giovani”. Giovani senza lavorto, giovani che fuggono all’estero. Il climax lo si è raggiunto con il messaggio di Capodanno del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il quale ha giustamente messo l’allarme giovani al centro del video diffuso in tutte le case degli italiani.
Poi è arrivato il 2011: le rivolte nei Paesi arabi (ironia della sorte… scatenate in buona parte proprio da una generazione di giovani istruiti ed esclusi dal mercato del lavoro), il disastro in Giappone, l’emergenza immigrazione. E tutto è tornato sottocoperta… sottaciuto. Almeno sui media italiani. Non su quelli stranieri, però. Personalmente sono stato contattato da più testate estere, interessate a parlare della fuga dei talenti italiani.
Dicevamo: nulla è cambiato. Come dimostra il recente sondaggio dell’agenzia di selezione per neolaureati Bachelor. La quale ha ripetuto un sondaggio già condotto nel 2010. I neolaureati italiani se ne andrebbero a lavorare all’estero per un anno? Sì, nell’80% dei casi (!) L’85%, nel caso di neolaureati disoccupati. Più gli uomini delle donne, come d’altronde confermano le statistiche ufficiali sui giovani in fuga.
Ciò che però sorprende ancora maggiormente è la percentuale di giovani che andrebbero all’estero per tre anni: hanno risposto sì il 57% dei neolaureati e il 60% dei neolaureati disoccupati. Una permanenza prolungata non spaventa dunque… anzi, la maggioranza degli intervistati continua a preferire la via dell’estero. Semplice voglia di fare esperienze di lavoro fuori dall’Italia? O c’è dell’altro?!?
Altra annotazione interessante, che fornisce indicazioni importanti sull’inutilità di certe lauree in Italia: le percentuali più marcate di voglia di fuga si registrano tra gli umanisti (83,3% – dopotutto a cosa serve in Italia, una laurea in Lettere, Storia, Filosofia e Lingue?) e tra gli ingegneri (ben 87,8%! – incredibile, no?) Ma com’è che questi profili al di là delle Alpi, servono?
Non sarà forse un caso se l’Istat lo ha detto senza esitazioni: il 2010 è stato l’anno nero della disoccupazione giovanile in Italia, ch ha sfiorato il 30%. Siamo nei Paesi al top in Europa per giovani senza lavoro. Nè consola la leggera diminuzione fatta registrare a febbraio (disoccupazione giovanile al 28,1%). E’ evidente il divario tra una disoccupazione generale che tiene, “drogata” anche dagli ammortizzatori sociali, e una disoccupazione giovanile che ha sfondato da mesi gli argini. Infatti aumenta il tasso degli inattivi, scoraggiati alla sola idea di cercare un lavoro, calano i lavoratori a tempo indeterminato, crescono quelli a tempo determinato, insieme a quelli part-time. L’Istat ci mette pure una considerazione da pietra tombale: “i miglioramenti sul fronte occupazionale (parliamo di risicate frazioni di decimali, ndr) avvengono in un quadro di ripresa dell’inattività e non cancellano la sostanziale difficoltà dell’occupazione a ripartire in modo deciso”. Cosa intenda il Ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, quando parla di un “netto riverbero positivo della ripresa economica sull’occupazione“… beh, forse un giorno ce lo spiegherà. Comunque, a sua parziale discolpa, va precisato che in questi due anni non ha mai brillato per intelligenza e opportunità nelle dichiarazioni. Ancora aspettiamo la miracolosa e organica “riforma degli ammortizzatori sociali”, da lui promessa secoli fa.
Gli consigliamo di dare pure lui un’altra bella occhiata ai dati ufficiali Istat: in Italia sono oltre due milioni e mezzo i lavoratori precari (anno 2009): il fenomeno riguarda il 44,4% dei giovani italiani.
E pensate che l’Ires (Istituto di ricerche economiche e sociali), proprio sulla base di una ricerca finanziata dal Ministero del Lavoro, ha scoperto che i giovani sono soggetti -all’interno del mercato italiano- a difficoltà occupazionali e dequalificazione nei processi produttivi. A rischio c’è pure la loro salute: nel 2009 un infortunio sul lavoro su tre ha coinvolto un “under 35″. Giovani che, sempre secondo l’Ires, sono sottoposti a un crescente “ricatto occupazionale”, proprio a causa di una disoccupazione ai massimi. In sostanza, non solo è difficile trovare lavoro in Italia, ma quando questo arriva ci si scontra spesso e volentieri con carichi eccessivi, poca gratificazione, persino rischio infortuni. Lo possiamo ancora chiamare “Belpaese”? E perché i nostri giovani emigrati all’estero dipingono, nella maggior parte dei casi, un quadro lavorativo opposto?
Se qualcuno ha delle risposte, a queste -fin troppe- domande, le “posti” pure nella sezione “Commenti”…
<a href="http://polldaddy.com/poll/4351188/">View This Poll</a><br /><span style="font-size:10px;"><a href="http://polldaddy.com/features-surveys/">survey software</a></span>