Stasera devo scrivere, adesso devo scrivere. Per una volta, farò quello che non ho mai fatto finora: scriverò e basta, senza correggere, senza rileggere, senza scegliere le parole.
Ho dieci minuti per raccontare una delle più belle serate mai passate qui – il compleanno di Ginevra. Poche persone, qualche pizza, la cucina dello Chapou, tanto vino (d’altronde, siamo in Francia).. e delle fantastiche confidenze.
Con ordine, prima con Valentin, Kathrin e Per, preparando la pizza e raccontandoci la giornata. L’espressione che rimarrà storia, “quelqu’un appelle quelqu’un!”, quando un telefonino sommerso dai cappotti suona e le spagnole vogliono farlo presente al gruppo.
Una bellissima cartolina di compleanno “questi sono il tuo fondo per il cinema, non usarlo per comprare altro vino!”- ringraziando Per, il primo che mi fa due foto, anzichè una, se nella prima i miei capelli erano in disordine. Due ore di confidenze con Ginevra, storie a distanza e non, ormai mi sento un guru sull’argomento, consiglio agli altri tutto quello che non so far presente a me stessa. Scoprire che gli stratagemmi per addormentarsi, anche a distanza di tre mesi e a distanza di due paesi, sono sempre gli stessi. E “quante ore mancano al nostro volo?”- “ma perchè tu conti anche le ore?” – “ah certo!!”
Il tragitto per andare al Daniel Faucher, io Valentin e Kathrin dietro, Kathrin che d’improvviso non parla più, e due secondi dopo è in lacrime. Kathrin, proprio quella che non piange mai, che dice di aver dimenticato Empalot, che ogni tanto le cade dalle tasche del cappotto lo spray al peperoncino, che ha voluto venire qui e restare solo per un esame, per 6 crediti.
“Kathrin cosa c’è????”
“Il ragazzo francese, Roman, lui mi ha detto che ho un accento, capisci, l’accento tedesco. Lui mi prende in giro, anche Igor lo fa. E io non posso diventare professoressa se ho l’accento, non sarò mai una buona professoressa, capisci?”
“Ma Kathrin, fregatene! Non ti conosce neanche!”
“E tu parli bene francese Kathrin, io sono un francese, e ti posso dire che parli bene!”
“Lo dici perchè piango!! E tutti mi prendono in giro perchè sono tedesca, battute sul nazionalsocialismo, e che noi siamo aggressivi, non è colpa mia, io non ero là, io non posso farci niente, e mi ferisce!”
“Ma Kathrin, se per essere professori bastasse non avere accento..”
“Si infatti, e poi guarda Kathrin, tutti i miei prof di inglese hanno un accento francese!!”
“Ma io lo devo perdere, io a settembre devo insegnare, io non posso avere l’accento!”
Faceva strano vederla così, rannicchiata sul sedile con quei discorsi da bambina, quelli che facciamo un po’ tutti quando piangiamo per delle cavolate. Però per mei, lei era Kathrin, che abita nel batiment di fronte, che si lamenta con me della Casteran, che si preoccupa del nostro esame finale ma mai troppo, che va a tutti gli eventi Eima, che non si perde mai d’animo.
Un’ora in cortile a cercare di consolarla, dicendole tutto e di più. In quell’ora per me non c’erano più nè Svizzera nè Italia, non c’era nient’altro che una camera al Faucher per me e un’amica che piangeva nel sedile posteriore. E Valentin che non perdeva occasione per fare dell’ironia, “tu vedi Kathrin, Anna ha l’accento.. perdonami eh, ma io adoro troppo la tua RRR.. “kathRRRin, tu dois t’en foutRRRe!”- non te la correggerò mai, non posso!!” e “ah ma tu dovresti giocare a carte con noi, si perfeziona la lingua!”…
Un’altra ora nella mia camera, con thè e cookies e io che cerco gli ultimi rimasugli di saggezza in mezzo ad un sonno tremendo, col pensiero di Ginevra e i suoi commenti su Antonino (“mais si j’etais homosexuelle et ma copine noire.. t’es con, quoi?”) che mi fanno sorridere.
Stamattina che alzarsi è stata una tragedia, ma con un appuntamento alle 11 a Capitole e un telefono da trovare (“deve essere nella macchina di Valentin, deve!!” – e scoprire che era sempre stato in camera…), come si disdice un appuntamento preso alle 11, quando credevo sarei stata a letto entro un’ora? Allora bene, autobus, metro, Capitole, Ginevra che arriva per pranzo, io, Kathrin, Anne-Kathrin in giro per negozi, arrivando a pranzo a mani vuote. Pranzo con tutti quanti mentre ancora si discute cosa fare questa sera e domani, io e Ginevra categoriche “io ho commentaire e un esame martedì”, “io ho due commentaires e due exposés.. per lunedì” -”va bene, hai vinto..”.
Il thè con Theresa e Kathrin, a parlare di esami ed exposé, per concludere che era meglio passare ad altro – ad es. il bébé a cui Theresa doveva badare ieri sera. “Com’è andata?”- “Ah, bene, ma è caduto..”- “???”- “Ah c’est pas ma faute, quoi…”
Il pomeriggio a scrivere un commentaire che onestamente fa schifo, oltre ad essere corto e poco coerente, ed è tutto quello che so fare. Con grammatica e vocabolario. Un bel pianto – che ci stava, qui piangono tutti, io dovrò venir meno proprio adesso?!?! – condiviso con Ginevra e per concludere in bellezza, dopo la cena a base di insalata e maionese, una delle puntate più tristi della storia di Grey’s Anatomy.
Meno 2,5, senza barare o togliere ore, sono 2,5. E’ okay.