Tra le prime iniziative caldeggiate da Re Umberto II una volta indossata la corona (dopo l’esperienza luogotenenziale) vi fu la proposta di un’amnistia generale che facilitasse una pacificazione piena e completa tra la popolazione italiana dopo i traumi dell’esperienza fascista e del conflitto bellico. L’idea, sensata e raziocinante, trovò il plasuo ed il favore immediati dell’allora Ministro di Grazia e Giustizia, nonché Segretario del Partito Comunista Italiano Italiano, Palmiro Togliatti. Se questo passaggio della storia si presenta come ben noto perché evidenziato in modo esaustivo dalla saggistica accademica e dalla pubblicistica divulgativa, lo stesso non si può dire delle trattative segrete che incorsero tra il leader comunista e Giuseppe “Pino” Romualdi, all’epoca esponente dei fascisti repubblicani in clandestinità e successivamente dirigente storico del Movimento Sociale Italiano. Togliatti e Romualdi si accordarono affinché le famiglie dei fascisti alla macchia si orientassero a favore della Repubblica, in occasione del referendum istituzionale del 2 giugno 1946.
L’amnistia fu poi promulgata il 18 giugno dello stesso anno, ovvero cinque giorni dopo la partenza dell’ex sovrano alla volta del Portogallo.
Da quando il Capo dello Stato ha cambiato il suo “copricapo” (per usare un’espressione cara a Guglielmo Giannini), la destra italiana ha fatto propria la teoria dei brogli elettorali ad opera di Togliatti e Romita, ma il portato documentale ci mostra e dimostra come la posizione assunta dai missini sia, a ben vedere, un abuso etico ed un’incurisone del tutto strumentale e tornacontista.