La sfrontata sguaiataggine, la maleducata provocazione, l’ostentazione di vizi come fossero virtù, la rivendicazione di una sgradevolezza ostile, la pretesa di inopportunità sprezzante, la perentoria volgarità, sono gas tossici e inquinanti che circolano da anni, grazie a vari media, differenti vettori, diversi portavoce: testate vernacolari, comici dialettali, giullari- leader, leader- buffoni, ministri altezzosi, cantautori visionari. E poi giornalisti a critica intermittente come le lucette dell’albero. E neo eletti che ritengono di interpretare il costume nazionale attraverso la criptica maleducazione e la manifesta antipatia, che dovrebbero efficacemente sostituire la costruttiva opposizione, a dimostrazione di una separatezza “civile” dagli screanzati precedenti o ancora in vigore, di un protervo distacco epidittico dagli impresentabili di ieri e oggi, tra una pennichella e un twit paragnostico e prescientifico. E via con l’antagonismo a suon di sberleffi e la disapprovazione al ritmo di pernacchie, come manifestazione di congruo e appropriato dissenso da quello che magistralmente Fruttero e Lucentini chiamarono “l’arroganza del sedere”, impagabilmente rappresentata dal Berlusconi di “culona inchiavabile”, o di “quante volte viene” e così via, in un tragico cinepanettone che ha sostituito mefiticamente, con la nostra identità nazionale, anche il nostro idioma.
Tirate giù le zip, esibite le viscere delle più recondite intimità, nella finzione che così si rivelassero gli arcana imperii dei poteri forti e i retroscena di alleanze opache, finalmente trasmessi in streaming, nulla ci è stato risparmiato: lavelli immondi, peli superflui, tegami rivoltanti, gabinetti fetidi, sudori torrenziali, gengive sanguinolente, insieme a intercettazioni pruriginose quanto inutili, letti sfatti quanto influenti, abiti macchiati conservati a futura memoria,
La volgarità becera si declina a tutti i livelli territoriali e gerarchici, e purtroppo anche le reazioni che suscita in un’alternanza acrobatica di moralismo, doppiopesismo, ribellismo, perbenismo, conformismo, formalismo. La cultura sgangherata e svergognata dell’assorbente, l’egemonia sfacciata dell’esibizionismo contagia tutti. Ma genera profonde disuguaglianze proprio come l’ideologia che l’ha favorita, quella della mercificazione, del consumismo, del profitto, della teologia del mercato. E le esternazioni inopportune di Battiato suonano più oscene delle dimissioni di Terzi, lette in pubblico con la sfrenata arroganza e la stolida cupidigia di chi non vuole staccarsi da privilegi irrinunciabili. Le troie evocate simbolicamente, siano escort promosse a alti destini di rappresentanza o siano Razzi e Scilipoti, turbano testoline benpensanti più dell’accertata presenza tra noi di chi li ha votati, più del commercio di democrazia, più dell’assoluzione di puttanelle dichiarate, in nome di una ipocrita solidarietà di genere.
Come se la brutalità, grossolana per carità, di un cantautore che censurerei piuttosto per una recente produzione inadeguata e un’altrettanto inadeguata performance politica, sia più disdicevole della persistenza in tv dei boys e delle girl di Berlusconi, della indole servile di chi dà loro la parola, come se quella sua “licenza” scurrile sia più riprovevole non tanto del choosy affibbiato ai ragazzi senza occupazione, ma dell’oltraggio, concreto e non verbale, consumato ai danni di donne, e uomini, espulsi dal lavoro, condannati alla rinuncia dei diritti, esclusi dalla speranza di benessere. Attenti, certi tabù nuocciono gravemente alla libertà.