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Tolstoj e il potere

Creato il 26 novembre 2012 da Gaia

Guerra e pace di Lev Tolstoj è considerato uno dei capolavori assoluti della letteratura mondiale, assieme ad Anna Karenina dello stesso scrittore. Li ho letti entrambi, quindi mi considero qualificata ad esprimere un giudizio sul maestro. La scrittura è pedante e quasi sempre priva di brio o ironia, il sentimento religioso troppo calcato e alla fine irritante, e i personaggi spesso si perdono nell’infinità di dettagli, al punto da non emergere nemmeno con chiarezza. Eppure, Anna Karenina e Guerra e pace, il secondo soprattutto, restano opere indimenticabili. Personalmente, per quanto non si possa generalizzare con un solo principio, io ricordo non i libri che mi hanno intrattenuta o emozionata, ma i libri che mi hanno sconvolta, e i libri a cui ho creduto. Si leggono tante sequenze di parole piene di fuochi d’artificio, sotto le quali non c’è contenuto, la spinta sincera a dire qualcosa – solo puro stile o generici sentimenti. Guerra e pace è invece straordinario per la sua meditazione sul potere, che stravolge tutto quello che abbiamo sempre pensato e che ci è sempre stato insegnato.
Come credo sappiate, è ambientato ai tempi di Napoleone, in particolare durante l’invasione della Russia. A contrapporsi sono Napoleone, il grande condottiero, il genio militare, che trascina con sé centinaia di migliaia di uomini dall’Europa occidentale attraverso il continente fino all’immensa Russia, e Kutuzov, il comandante in capo russo, che Tolstoj descrive come un anziano sonnacchioso e placido più preoccupato di trattenere i suoi generali che di aizzarli. Eppure, come tutti sappiamo, la Russia si libera e fa strage della Grande Armée.
Tolstoj descrive Napoleone come un omuncolo che si crede qualcosa che non è: dà ordini che non si possono eseguire, crede di comandare e non comanda nessuno. Agisce in una specie di vuoto che lui scambia per potere, mentre il mondo segue il suo corso. A fare la differenza è piuttosto il morale dei soldati e della popolazione, le decisioni prese ai vari livelli via via verso il basso, le condizioni esterne, come il clima o la geografia. Kutuzov rappresenta la consapevolezza di tutto questo: dell’ordine naturale delle cose, del diritto dei russi a difendere la propria terra, dell’inverno, dell’inarrestabilità di certe forze. Lui deve solo capirle e assecondarle. Infatti Kutuzov non fa quasi mai nulla, ma vince. Quando credo di agire, penso a Kutuzov. Tutto quello che Kutuzov doveva fare era capire.

Tolstoj ci chiede: perché centinaia di migliaia di uomini hanno deciso di seguire Napoleone fino a oriente? Quali forze muovono la storia? La volontà del singolo individuo, il carisma di Napoleone, o piuttosto il corso della storia stessa e le sue leggi? Cos’è il potere, e cos’è la volontà? Tolstoj arriva a smontare questi due pilastri della nostra percezione del corso degli eventi, e cioè l’idea che un uomo molto in alto possa davvero comandare, solo perché sta lassù, masse immense, e l’idea che noi agiamo in un certo modo perché, liberi, decidiamo così. Tolstoj stravolge le nostre convinzioni sul potere, ma senza negare l’influenza del carisma di un singolo: definirei le pagine in cui Nikolaj si innamora quasi dello zar Alessandro come illuminanti e sorprendenti. Alla fine, la conclusione della grande epica e delle centinaia di pagine di riflessioni è: c’è la libertà, e c’è la necessità. Non ne sappiamo più di prima; abbiamo solo meno certezze.
Ripensando ai miei studi sul settecento, mi sembra di aver imparato che un sovrano poteva aver letto i filosofi illuministi, essere lui stesso illuminato, ma le sue iniziative, semplificando immensamente, non avevano garanzia di successo solo perché lui, o lei (Caterina la Grande) deteneva il potere. C’erano le elite, le gerarchie, il popolo, la chiesa, l’esercito e soprattutto, comprendenti tutto questo, la maturità dei tempi. Ogni parte del tutto determinava in che direzione andassero i regni e gli imperi – molto al di là delle leggi e degli ordini impartiti dal capo supremo.
Secondo me Tolstoj non risolve definitivamente la questione del ‘chi comanda’. Iniziativa individuale, struttura del potere, circostanze esterne, cambiamenti di mentalità: tutto è gettato in un enorme calderone in cui le forze determinanti si possono seguire per brevi tratti e poi si perdono nell’immensità degli eventi.
Torniamo a noi, anzi torno a me. Io sento che il mondo sta cambiando, che c’è una presa di coscienza su alcuni temi che una volta non c’era o era molto più flebile, che certe forze difficilmente si possono arrestare. Penso all’ambientalismo, al cambiamento degli stili di vita, al riconoscimento dei diritti degli omosessuali, addirittura a un ripensamento nelle leggi proibizioniste, alla fine del dominio degli Stati Uniti nel mondo… e tante altre cose. Il mondo cambia direzione, si mette in discussione, la nostra società ed economia vacillano. In altri campi, però, come i diritti delle donne o il rifiuto del fascismo, vedo movimenti molto più incerti, addirittura regressioni.
Io mi agito, scrivo, parlo, litigo, agisco, e come me tantissime persone, in una direzione e nell’altra… poi mi chiedo, ad esempio: cosa determina la mobilità sostenibile: la presa di coscienza dei danni dell’automobile (popolo), il cambiamento di priorità di chi governa (Napoleone), o il costo della benzina (inverno)? A cosa serve fare documenti e proposte, quando le cose cambiano da sé? Oppure non cambiano da sé, ma spinte da milioni, miliardi di unità umane in una certa direzione?
Mi impegno per gli altri, o per dire di averlo fatto?
Sono assolutamente sicura e assolutamente preparata ad accettare il fatto che non ci sia una risposta definitiva, come a ogni grande domanda. Mi secca concludere un post in cui ho scomodato Tolstoj con le piccinerie di casa nostra, perché il risultati conseguiti dall’uomo-apparato e dall’uomo-fuffa rendono le primarie del centrosinistra ancora più piccine, dal mio punto di vista, di quanto già mi apparissero. Cercherò di allargare ancora il discorso per mascherare la pochezza della contingenza che lo scatena.
Hanno un bel lamentarsi, gli italiani, della classe dirigente. Dopo aver aizzato il popolo contro stranieri, ‘degrado’, rom, ora i politici vedono che questo stesso popolo rabbioso gli si ritorce contro. Sono loro i nuovi nemici, le sanguisughe, i ladri. Abbiamo anche un bel dibattere su chi sia meglio e perché, su chi mettere ‘lì’. Il punto è che non è così importante. L’Italia siamo noi, dal basso all’alto, dalla cima al fondo. Si può ordinare la raccolta differenziata, ma poi la gente la deve fare. Si può bandire il consumo di territorio, ma chi ha costruito e comprato le casette e i capannoni che invadono la nostra terra? Si può lottare contro il debito, ma come si paga poi tutto quello che la gente pretende? Si possono fare leggi contro la violenza sulle donne, ma è la testa dell’uomo che picchia, umilia e minaccia che deve cambiare. Si può lottare contro la mafia, ma la mafia è uno stato mentale. Si può pretendere un identificativo dalla polizia, ma la polizia picchia e uccide perché in questo paese non è mai morto il fascismo. E si può volere l’Europa, riempirla di regole e lacci, ma la pace durerà solo finché i cittadini d’Europa la sapranno mantenere – vedere la ex Jugoslavia: non bastò né uno stato unitario, né uno stesso esercito. E così via, all’infinito. Non possiamo metterci nelle mani di nessuno, non possiamo mai sentirci sicuri. Ognuno di noi, giorno per giorno, decide se essere un soldato, un pacifista, un ribelle, un ammutinato.


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