>Toma la Huelga!" title=">>Toma la Huelga!" />
Certo, il 14 novembre l’insieme composito dei movimenti ha fatto bingo: ci ha scommesso, ci ha investito, ci ha lavorato e il risultato è andato oltre al prevedibile. È stata una giornata di mobilitazione sociale, giovanile, ampia, trasversale, comunicativa che ha avuto un adesione massiccia nel Sud Europa, dal Portogallo alla Grecia, significative presenze in Francia e Germania, simboliche manifestazioni si solidarietà in altri Stati, possiamo dire che sia stato la prima vera giornata di lotta convergente a livello europeo, dopo le grandi movimentazioni contro la guerra.
Non mi piace chiamare il 14 novembre sciopero generale, preferisco denominarlo giornata di mobilitazione convergente, infatti ‘toma la huelga’ – impossessiamoci dello sciopero – felice slogan coniato nel caotico bailamme del meeting di Madrid, ha espresso e esprime chiaramente la volontà di stravolgere e travolgere la forma degli scioperi, dello stesso sciopero generale, posto che è sentire comune – dovrebbe esserlo chiaro a tutti – che questa forma di lotta, nata nell’ottocento e sviluppatasi nel novecento, avendo come riferimento una determinata composizione di classe e sociale, ha perso la capacità di esprime il potenziale rivendicativo e di rivolta, in una fase di radicale mutamento qual’è questa in cui viviamo. Lo sciopero generale già da tempo si è dimostrato ed è uno strumento obsoleto a fronte della frammentazione della composizione di classe e della socializzazione della produzione, ce lo dicono, impietosamente anche i numeri delle adesioni riportati dalle associazioni padronali e sempre contestati dai sindacati, ma chi è al lavoro e vive a contatto con la società reale ne ha un indiscutibile riscontro.
Anche il 14 novembre, dunque, da questo angolo visuale, ha rispecchiato evidenti limiti di adesione ma le strade e le piazze sono state riempite da una nuova ondata generazionale, fatta in larga parte di studenti, di precari, di insegnanti, di migranti, di operai in lotta, che hanno avuto la capacità di interpretare il sentimento generale, che dice che la misura è colma, che non si è più disposti a fingere di non accorgerci di quello che succede attorno a noi, c’è una nuova disponibilità a mettersi in gioco. Questo sentimento, questa disponibilità, questa generosità, questo entusiasmo sono stati colti e trasformati in determinazione a prendersi le città, con delle modalità omogenee, pur nelle differenti esperienze territoriali, da Palermo a Trento, da Torino a Trieste, per evidenziare il desiderio di un cambiamento radicale.
Il 14 novembre, le dimostrazioni, le tensioni, gli scontri giovanili hanno ribadito – per quanto riguarda l’Italia – in piazza, nelle strade quanto già era emerso, ad altri livelli, nel segreto delle urne: ora basta, non vi crediamo più, andatevene tutti!!!
Tanta determinazione, in particolare delle fasce giovanili, ha sorpreso un po’ tutti, noi che ci abbiamo creduto e lavorato, chi ha storto la bocca perché vi è stato trascinato, chi è stato a guardare e pure chi ha, come sempre, remato contro. Molto meno sorpresi hanno dimostrato di esserne quegli aggregati sociali che vivono in relazione con i bisogni e la socialità delle realtà giovanili e che tutti noi abbiamo visto capaci di interpretare il bisogno di protagonismo, di entusiasmo, di rabbia condensato nei cortei.
‘Toma la huelga’ ha allarmato, soprattutto, i gestori, istituzionali o meno, dell’ordine costituito: lo ha segnalato la dura intransigenza delle forze di polizia non appena i cortei tracimavano dalla consuetudine acquisita nella singolarità delle esperienze cittadine o metropolitane; lo hanno evidenziato lo smarcamento immediato dei sindacati tradizionali e di quasi tutte le forze politiche; la lettura politica prodotta dai media mainstram, di cui si è fatto alfiere La Repubblica. Lo stesso intervento ‘pacificatore’ del ministro Cancellieri rispetto ai lacrimogeni piovuti dalle finestre del Ministero denota il timore del riproporsi di un forte discredito e nemicità, socialmente diffusi, verso le forze dell’ordine.
È l’impossibilità di vedere la luce alla fine del tunnel della crisi – ce lo dicono anche i dati diffusi in questi giorni sullo stato di salute degli USA oltre che della UE – che fa sussultare gli esegeti del neoliberismo come quelli neokeynesiani: lì non si possono tagliare le tasse, qui non ci sono risorse da investire; insomma o si ribaltano radicalmente i parametri politico, sociali ed economici di riferimento o di fuori uscita dalla una crisi sistemica non si può neppure parlare. Con questo tutti devono fare i conti, a questo ciascuno si attrezzi; gli ammiccamenti e/o gli infingimenti si stanno rapidamente esaurendo ovunque e non solo in Europa..
Questa impossibile rigidità nelle scelte imposte ha ridotto la dialettica sociale a zero e la politica a parodia di se stessa, qui nasce l’asprezza dello scontro che possiamo intravedere, osservando le dinamiche, le risposte, gli atteggiamenti, i posizionamenti politici degli interpreti che hanno seguito la giornata di lotta del 14 novembre.
E gli attori di ‘toma la huelga’ e dei cortei?
Beh, essendo artisti di strada, dilettanti allo sbaraglio, entusiasti protagonisti, pensiamo sia utile, per tutti, affidarci, anziché alle certezze ideologiche ed identitarie, alle improvvisazioni di conflitto di queste macchine desideranti, che hanno saputo ringiovanire e far ringalluzzire uno strumento vecchio ed incartapecorito come lo ’sciopero generale’, il che, coniugato con le insorgenze studentesche, potrebbe essere l’incipit per nuove dinamiche di conflitto, nuovi attraversamenti di scadenze sindacali [è latente lo stop della scuola del 24 novembre], nuove convergenze europee [di cui si è parlato di recente anche nel meeting 10+10 di Firenze]. Un processo costituente di un nuovo assetto sociale abbisogna di entusiasmo, di innovazione, di sperimentazione, di esperienza, di riflessione, di capacità di mettersi in gioco, tutte cose che, in nuce, ci sembra di intravedere, da inguaribili ottimisti, nella giornata del 14 novembre.
Beppi Zambon Adl Cobas