Tomaso Kemeny (Budapest, 1938), ha pubblicato dieci libri di poesia, tra cui “Il libro dell'angelo” (Guanda, 1991), “La Transilvania liberata” (effigie, 2005), “I paesaggi immaginari” (poli Art, 2010), “Poemetto gastronomico e altri nutrimenti”(Jaca Book,”012),un romanzo “Don Giovanni innamorato” (Es, 2002), un testo drammatico “La conquista della scena e del mondo” (rappresentato per la prima volta ad Alassio, nel 1996), un libro di poetica con il filosofo Fulvio Papi,” Dialogo sulla poesia”(Ibis,1997). Ha pubblicato volumi di traduzione dell'opera di Lord Byron e Jòzsef Attila e scritto saggi e libri su Ch.Marlowe, W.Scott, P.B. Shelley, Dylan Thomas,E.Pound e J.Joyce (dal 1978 al 2006 ,quale professore ordinario di Letteratura Inglese, ha ricoperto la relativa cattedra presso l'Università di Pavia). Uno degli iniziatori del Movimento Internazionale Mitomodernista, ha performato rituali poetici e ha progettato e realizzato con Giuseppe Conte l'occupazmitomodernista della cattedrale S.Croce di Firenze (1994) e poi da solo l'occupazione della collina dell'infinito a Recanati (2011) in nome della bellezza intesa come mito guida alla ribellione contro i poteri illegittimi, culturali e politici offensivi della dignità umana,contro i poteri che promuovono il conformismo, la massificazione, l'appiattimento. E' uno dei fondatori della “Casa della Poesia “ di Milano (2005)
L'incontro con l'Eresiarca
“Cerca il Paradiso tra libellule
dalle elitre cangianti al lume
dell'invisibile; lontano
dai disagi dell'Universo
verbale rinascerai
Fenice sempre uguale
affrancato dal tocco del Tempo
sfigurante, nel fulcro
del mistero svelato
t'inebrierai dell'intimità
assoluta col Divino."
Così
l'eresiarca, al comando
possente del “Padre”, nome venerando-
poi si accende il cero del demonio
nell'ano per il vanto
inesplicabile della gloria delle tare.
Un discepolo, corpo
spezzato come pruni
su cui soffia il gelido nord,
mi addenta il collo incatenandomi
davanti a una capanna piena
d'incurabili che intimoriscono
la Morte col segreto
di una salute pericolosa.
Un altro discepolo
dal cranio incoronato da capelli
ispidi e scuri, con qualcosa
di non terrestre nel suo passaggio
sulla nostra Terra Madre,
mi inumidisce le labbra
con la tenera rugiada
che ogni notte irrora
la pelle della mia amata,
poiché io non sono solo
un reprobo per bene
ma colui che insieme all'amata ha spalancato e
spalancherà ancora le porte del Paradiso
Terrestre
Incontro con Raffaella
Non un angelo caduto
ma quello ritrovato
nel baluginante inferno
di luci incandescenti,
vermiglio richiamo visivo
per viandanti da allupare:
“Eppure, ci credi o no, sono innocente,
innocente, io” mi sussurrò
con la voce più suadente, con la
voce del cuore, “anche se
feci scivolare
la carcassa del primo amore
in mare”, così mi confidò Matilde,
“l'assassina”, e io allora pensai
che il mare fosse l'immensa lanterna magica
in grado di dissolvere sogni e illusioni,
ma ora prendo un caffè
con sua sorella, Raffaella
in jeans e maglietta sdrucita,
in servizio stabile
presso il dormitorio dei senza tetto.
Un ruscello azzurro sdrucciola dai cieli
e monda le mie sensazioni
dissolvendo le recenti esalazioni
delle fabbriche ambulanti di escrementi
nella città sempre più stordita
e fetida. “Il tuo nome vero
è Visodangelo” le dico
mentre si alzano i ritornelli
del perduto amore
intonato dalle recluse
uscite in cortile dalle celle
nell'ora dell'aria.
In un brivido di ombra e di luce
ritorna la voce ineguagliata del poeta:
“Io sono una lampada che arde
soave!
Nel sibilo assiduo dei fusi
le vecchie parole sentite
da presso con palpiti nuovi...”
Si china Raffaella
e nella sua voce
un gemere di ali spezzate:
“Anche tu, canaglia, tenti
di ingannarmi per qualche istante
traboccante di emozioni,
ma io ora vivo per gli agonizzanti,
per i soggiogati
dal quotidiano dolore...”
All'improvviso le si sciolgono i capelli,
una spera di sole le spunta
dalla blusa a illuminare
un misterioso portatore di pane,
la testa insaccata tra le spalle,
la schiena incurvata dal peso,
i muscoli delle gambe tesi,
i piedi scalzi.
Il vento scompiglia la sua chioma
mentre da una nuvola gocciano
chiodi di cielo
a crocifiggere la sua anima
intrecciata fino all'inestricabile
con l'anima delle donne-custodi
del primo perduto seme d'amore.
Miti et fragmenta
La bellezza non è un valore assoluto fuori dal tempo storico, ma essa rinvia a una specifica dimensione temporale (si veda la bellezza romanica, rinascimentale, barocca, romantica, surrealista ecc).
La parola è il materiale linguistico che serve al poeta per creare bellezza. L'uomo è stato definito “animale linguistico”, definito dalla dignità del proprio discorso. La volgarità del consumo di massa tende a rendere il linguaggio strumento di volgarità. Gorgia, il sofista principe scrisse in Kairos “La parola veicola una forza potente : pur dotata di un corpo minuto compie opere divine”. Dobbia=
mo continuare ad attendere il momento opportuno e ridare la gloria che alla parola spetta, non cogliendone l'immagine-ombra narcisistica (l'espressione del fenomenologicamente soggettiva), ma cercando di porci alla distanza estetica necessaria per accogliere la voce ancora ignota dell'essere (del non-essere).
La sfida radicale alla parola vivente tende a annichilirlo nell'anti-linguaggio comunicativo.
Bisogna guardarsi dentro come Pigmalione (vedi Ovidio, Le Metamorfosi, libro X) , che scolpì nell'avorio un corpo bellissimo di donna, oggetto del suo desiderio. Se ne innamorò, Venere la resa vivente. Si amarono. L'allegoria ci dice che l'arte non solo imita la natura ma crea bellezza nuova!
La ricerca della bellezza riguarda l'essere: il bello è inafferrabile in sé e per sé, si rivela in relazione ad altro da sé.
Un testo poetico riuscito è in perenne sviluppo e metamorfosi nel tempo: ha in poppa i venti immensi della creazione iniziale. In ogni capolavoro vive una particella energetica dell'avvento del non-'essere nell'essere.
La poesia vive in un insonnia permanente per non soccombere alla fragilità dei sogni. Se il poeta lotta per la bellezza, nel testo si raffigura la lotta contro le costrizioni della finitudine. La poesia vera non può vivere senza l'ignoto davanti a sè.
L'essere e il nulla sono assolutamente inseparabili (vedi Sartre).L 'incipit di una poesia è l'unione del nulla e dell'essere:il principio non è un nulla puro ma un non-essere (l'ignoto) da cui potrà nascere l'essere.