black_burqa
Ho appena letto un articolo su CORRIERE.IT dove si parla di cartelloni installati per strada a MOSUL (IRAQ), da parte dell’ISIS. I cartelloni stabiliscono l’uso obbligatorio del velo integrale per le donne. E’ stabilito che “..Il velo deve essere “spesso e non trasparente”, “deve coprire tutto il corpo” , “non deve essere decorato o attirare l’attenzione” e “non deve essere profumato”…”
Per la precisione, in alcune zone del mondo islamico, si impone il BURQA (velo integrale) o il NIQAB (velo che lascia scoperti solo gli occhi).
Allora. Mentre comprendo perfettamente l’uso (quando è determinato da liberissima scelta della donna) del velo-hijab che lascia scoperto tutto il volto, non posso condividere l’uso (e soprattutto l’imposizione) di veli integrali.
Mi viene da pensare alle TORTURE DELLA SANTA INQUISIZIONE in Europa, effettuate sulle donne ritenute streghe (in verità, soprattutto herbarie e levatrici). Nel corso dei secoli (ma soprattutto nel Seicento), la Santa inquisizione ha adottato torture man mano più “evolute”: più ingegnose, articolate, pianificate. Roba da ingegneria biomedica deviata: si progettavano e utilizzavano macchinari che stabilivano l’esatto momento del soffocamento, della torsione del collo, della lacerazione degli arti. E così via, work in progress.
Che c’entra con il velo integrale delle donne islamiche? C’entra. Perché è una sorta di macchina da tortura. Sì, non fa certo sanguinare come il sarcofago della VERGINE TEDESCA (sapete, quel sarcofago di legno con aculei di ferro… una sorta di tomba-tortura). Non fa sanguinare, ma provoca comunque una MORTE LENTA della donna che lo indossa. Alcune se ne rendono conto, altre no. Ma vivono tutte come morte: camminano, parlano, respirano, dentro quel sarcofago di stoffa. Una tomba che le nasconde al mondo, nel tentativo (riuscito) di avvicinarle all’inesistenza, all’oblio, ad un esilio dalla vita.
Queste donne parlano dentro una tomba fatta di stoffa pesante: lì, soffocano le loro parole, risate, pianti. Il loro udito è diminuito da quello schermo assurdo. La loro mimica facciale non esiste: è annullata dentro una maschera nera. Gli aculei di ferro non ci sono, ma è come se ci fossero. E fanno sanguinare l’anima.
Queste donne non sapranno mai cosa significhi sentire il vento sulle guance, l’ondeggiare libero dei capelli mentre camminano, l’allegria di indossare un abito rosso fiammante o una paio di semplici jeans. E questo non è niente. Il vero dramma è che non sapranno mai cosa significhi essere se stesse, senza un sarcofago addosso, senza una tomba nera che ricopre la pelle: essere vive, con la libertà di fare, dire, agire, camminare, correre. Urlare. Cantare. Solo in casa, in stretta intimità con marito e figli-e possono sentirsi ancora degli esseri umani (quel minimo, visto che devono pure rispettare una sorta di codice della brava moglie-casalinga).
Certo, qui si tratta di un’imposizione ad opera di un integralismo religioso violento. Si tratta di fondamentalismo, di situazioni limite. Ma c’è da tener presente che non esiste solo una “cultura violenta” del velo integrale. Purtroppo, esiste anche una sottile, furbissima, trendyissima cultura del velo integrale effettuata nel web. Nella rete c’è di tutto, si sa. E ci sono anche diversi siti per vendita online di niqab e burqa di diverso taglio e taglia, con tanto di promozioni, di stores e consigli “how to use” di brave fashion blogger. Basta cercare (non li linko perché non mi va certo di dar spazio a cose simili).
Così, mentre da una parte prolifera una cultura violenta che impone i suoi dettati con il sangue, dall’altra c’è il web che collabora strizzando l’occhio con fare sornione.
E’ pure un “bel commercio”, quello delle tombe di stoffa per donne.
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CONTATTI 08 APRILE 2015: 51.300
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