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Infilo le ciabatte ed esco dalla stanza. L'arredamento fa abbastanza schifo ma l'appartamento è grande e una volta tanto non lo devo condividere. Afferro una sedia in sala e la porto in terrazza. Ci sono almeno 25 gradi e indosso solo un paio di boxer ma le luci sono spente e sto all'ottavo piano, non mi possono vedere e se mi vedono sono soltanto un'ombra: un ombra vestita e una nuda sono uguali.
Basta un'occhiata e mi accorgo - per l'ennesima prima volta - che una terrazza con vista in effetti è una figata. Qui sotto c'è un incrocio, un nodo raffazzonato di piccole strade non regolato da un semaforo: subisce il peso del traffico solo quando c'è vita notturna, proprio come stanotte. Auto, moto e taxi procedono alla velocità dei pedoni, alla ricerca di un parcheggio o della via verso casa.
Non fumo quasi mai ma ora mi accendo una sigaretta. Le sigarette se non hai il vizio sono fatte per questo. Fumo, osservo e scrivo frasi nella mente, in italiano, in inglese, in spagnolo, con caratteri cuneiformi e ideogrammi, senza poterle salvare, come in modalità offline. Magari se osservo bene localizzo pure quelle ragazze russe.
Alcune ore fa, mentre scroccavo il segnale wi-fi nella lobbie, sono uscite dall'ascensore ridendo e canticchiando, accompagnate dai loro amici modelli, delle specie di sculture in bronzo semoventi. Mi sono passate davanti e borbottavano, probabilmente erano brille, magari mi prendevano per i fondelli: me ne sto sempre in disparte, a scrivere al PC o in giro per il quartiere, non do confidenza come gli altri uomini del palazzo. Che sfigato, penseranno, magari pure stronzo: beh, sfigato va bene, magari sarò anche un po' stronzo, ma soprattutto...io sono timido! Poi quella che siede spesso vicino a me col portatile - vestita sempre con maglietta e pantaloncini corti, acqua e sapone e coda di cavallo - si è girata e quasi non la riconoscevo: abbigliamento nero e attillato, capelli sciolti che finalmente scendevano lunghi e mossi, truccata sobriamente, come si truccherebbe un angelo. Saltellando come se ballasse, anzi no, come una bambina con le amichette in giardino, mi ha sorriso e ha agitato la mano. All'improvviso sulla superficie di contatto tra corpo e sedia ho provato una sensazione di liquefazione, non come se stessi sudando o sanguinando, proprio come se la mia pelle e i muscoli si stessero sciogliendo, poi è stato un susseguirsi di cambiamenti, di temperatura, di intensità luminosa, di tonalità di colore, di percezione dello spazio, quasi come se una nuova dimensione si fosse introdotta in questo mio piccolo mondo, e alla fine ho capito: ero totalmente rincoglionito. Non ho fatto in tempo a dire nulla e temevo di esserle apparso sgarbato ma quando ho ripreso possesso delle varie parti del mio volto vi ho trovato stampato sopra un sorriso che quasi mi decapitava: se lei non l'ha notato non era soltanto ubriaca ma completamente persa in un viaggio iperspaziale. Lo sapevo bene che non era il caso di farsi illusioni per il futuro, ma il presente l'ho succhiato fin quasi a sentire il rumore di una cannuccia che aspira le ultime gocce di un frappè.
L'ingorgo si snoda, il gruppo di ragazzi alticci si scioglie, gli angeli russi non li ho visti ma ne passano degli altri: cinesi fluorescenti, indiane mimetizzate con la notte, alternate a malesi di varie qualità di cioccolato. Tirate a lucido e pettinate, alcune barcollano un po', stringono le borsette per non perderle o ci si aggrappano per non cadere: da quassù, in penombra, sembrano tutte belle.
Scatta l'allarme di un'auto, una di quelle sirene che ogni tanto mi sabotano la siesta, questa volta però non sono a letto ma in terrazza, e per giunta in panciolle: me lo godo come se fosse una colonna sonora un po' sfasata. Poi mi scappa uno sbadiglio ed è il segnale che aspettavo, raccolgo il mozzicone e metto a posto la sedia. Sciabatto a tentoni il percorso a ritroso verso la stanza.
Ora posso andare a dormire: una terrazza al buio e lo strascico di un sorriso hanno rimboccato la serata.
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