Magazine Diario personale
A fare un giro tra le TOP BUGIE di twitter, tutte frasi già sentite e banali, anche le mie, ho la netta sensazione che siamo vicinissimi a sovvertire l’inganno. Scorrendo certi “tuit” così consapevoli mi pare ci troviamo tutti a un passo dalla Buddhità. Invece ci mettiamo a ridere, guardiamo il nostro limite e lo scansiamo con maestria, come se essere consapevoli bastasse a guarire, a non perdere tempo e a renderci felici. Sono bugie. Piccole e innocenti. Scappatoie sensate a un momento d’imbarazzo, un modo come un’altro per prendere tempo, per decidere con calma. Le dico per strada, in ascensore, in bagno a tu per tu con lo specchio.
Voglio difenderti meriti di meglio. E magari ci credo pure mentre con lo sguardo vado già in cerca d’altro, mentre scorro gli sms della nuova fiamma e non vedo l’ora di scaricare questo che sa di noia e di serate al Pub. Fosse soltanto un’altra perdita di tempo. Invece sono e mail, telefonate e spiegazioni inutili in un bar tra un appuntamento e l’altro. Sono pianti, minacce e smentite, parole che scavano un fondo di dispiacere che si accumula a dispiacere e a rimpianto.
Domani smetto. Smetto di fumare, di bere, smetto di mangiare. E al mattino ci provo pure. Esco da casa senza il pacchetto ma vedo soltanto gente che fuma, tutto il mondo è felice e io no. Il mio pensiero resta lì finché sulla soglia del tabacchi ho già rinnovato la promessa che domani o al massimo lunedì andrò a scalare. Quando ho già il pacchetto tra le dita e pago la tabaccaia complice, mi ripeto che non se ne può proprio più ma che oggi non ce la posso proprio fare. Alla seconda sigaretta -ho percorso un po’ d’isolati a passo svelto- sono alla conclusione che si muore più di disoccupazione che di cancro. Guardo i platani ondeggianti al vento di maestrale, sorrido soddisfatta per quella buona scusa e me ne faccio un’altra.
Ma certo che mi ricordo di te. No, non è così, la verità è che sono distratta e poco fisionomista, che delle persone ricordo espressioni e non fatti, particolari sfuggenti che rivelano nevrosi, il timbro di voce e la cadenza, il modo di guardare, di atteggiare corpo e braccia, di intendere altro, di divagare attorno al nulla in assenza di fatti interessanti da raccontare. Farei meglio a dirlo una buona volta anziché perdere tempo a cercare nella memoria la tua faccia e il tuo nome, il dove, quando e perché che poi non ha mai importanza.
Sì, sì, ti ascolto, e intanto guardo l’orologio fingendo un tic irrinunciabile, sgambetto rapidamente tra la gente e cerco un giusto appiglio per cambiare discorso: quel pullover in vetrina ti starebbe proprio bene!, sai, Giovanni si è sposato, oggi ho uno strano mal di testa. Quanto sarebbe proficuo all’amicizia pronunciare un –non ne posso più dei tuoi borbottii sull’ultimo che ti ha lasciato, delle tue analisi “post storia” che distruggono quel poco che avete in comune e che dovrebbe restare dentro di te e non sezionato. Non voglio più sentire delle scopate sensazionali quando il ricordo di quella penetrazione al buio dovrebbe essere il sale della tua vita, un pensiero che ti possa scaldare mentre cerchi lavoro, quando la frustrazione bussa con forza al portone di casa. Ecco cosa dovrei dire. Lasciala lì, ti prego, la speranza tradita è la forza che ti aiuterà a non soffrire ancora. Ti prego, basta, non sprecarla in parole. Invece tu continui a parlare e a dirmi di te e del tizio che ti ha lasciata.
Dimmi la verità, ti giuro che non m’incazzo. Ma preferisco non sapere e illudermi che questa sia la mia isola anziché una prigione, una condizione di asfissia costante che m’impedisce di pensare, di progredire e crescere nelle ambizioni, libera di camminare a piedi nudi nel parco e di continuare a sognare. Youporn? Mai sentito. E appena esci a fare la spesa corro a derubarmi di quel poco di energia che mi è rimasta, al buio riduco il già breve fremito in colpa, corro in bagno a lavarmi e accendo tutte le luci. Eppure mi fingo un’amante perfetta, tua fedele, tua sposa.
Sì, hai proprio ragione! Invece dovrei dirti che sei uno stronzo e un fascista, e anche snob, e non ho fatto che compiacerti per guadagnare rapidamente la tua fiducia e il tuo rispetto. Perché ho bisogno di lavorare e per farlo venderei qualunque cosa: la verità per prima.
Mento per pigrizia e distrazione. Perché è più comodo. Perché tanto oggi come oggi è meglio così. Mento perché mi lascino vivere, perché a dire la verità si muore, a mettere il dito nella piaga si rischia d’infettare la ferita e di dover tagliare di netto una falsa relazione, significa restare più soli. Dire la verità significa non essere pubblicati e insultati perché sconci, perché amorali. Mento perché sono debole, perché ci giro attorno e ho paura che la mia verità possa procurare dolore. Mento perché non mi va di dare spiegazioni. Perché semplicemente ho fatto una cazzata, ho detto una cosa per un’altra ma intendevo giocare, e insisto: ti giuro che è così, è vero. Sarebbe fantastico conoscere l’effetto ed evitare la causa, anche se a guardarla bene, la causa, quella scopata casuale e il barattolo di nutella sul secondo scaffale a destra, in cucina, hanno in sé tutta l’essenza di una perdita di tempo e di un errore. Ma dire di no è sempre più difficile che mentire. Continuare a bere più facile che smettere. Scendo a compromessi con le mie debolezze ogni giorno e ci rido su. È divertente dar fondo tutti assieme alla propria virtù. L’etica stropicciata non ha alcun senso, anzi, è soltanto l’insulto che vale, il linguaggio personale e incomprensibile di giornalisti gossippari che vantano debolezze e falle, che cadono in deliquio per la trasgressione originale e la menzogna che sa di presa in giro.
No, non è un problema smettere di scrivere adesso e correggere una bozza noiosissima#topbugie. Buona giornata e buone bugie.
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