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TOP Post dal mondo expat #17.3.14

Creato il 26 marzo 2014 da Mamma In Oriente

Eccoci di nuovo all’appuntamento con i post degli italiani nel mondo che più mi sono piaciuti della scorsa settimana. Oggi c’è una selezione un po’ diversa dalle precedenti. Primo perché ospito per la prima volta un uomo, secondo perché parlo di un argomento piuttosto ostico. Ma partiamo con ordine, come sempre seguendo la data di pubblicazione:

“La dolce (av)vita da expat: ricapitolando in attesa del primo anniversario da Varsaviese” del blog “The Greatest gift” dalla Polonia

Ancora una volta un post di Valentina alle prese con il bilancio del suo primo anno a Varsavia. In questo post, anche se breve, ripercorre insieme a noi, tutti i dubbi, le ansie, la nostalgia nel lasciare un luogo dove ha trascorso un pezzo di vita non del tutto facile forse, ma dove ha vissuto emozioni così intense come solo possono essere l’inizio di un percorso da moglie e la nascita dei propri figli. Sensazioni contrastanti in bilico fra il lasciare luoghi di ricordi importanti e la voglia di intraprendere una nuova, ennesima vita in un’altra città. E’ un po’ quello che succede a chi vive più di un espatrio. Ci sembra che la nostra vita sia formata da tante piccole vite completamente diverse l’una dall’altra, dove l’unica costante sono i protagonisti principali: noi e gli eventuali mariti e figli.

Un brano del post di Valentina:

“L’anno scorso di questi tempi la nostra casa piena dei ricordi stava per diventare un ricordo di casa piena dei ricordi: un’enormità di scatoloni ed oggetti ci avrebbero seguito, lasciandola vuota nel reale e lontana lontana, ma vicina e piena nella memoria in noi.”

“Tartellette alla marmellata, le più buone (e facili) del mondo” del blog “Araba felice in cucina” dall’Arabia Saudita

Come vi ho già detto l’ultima volta, non è solo un post di ricette, ma un racconto di un mondo veramente difficile da accettare per noi occidentali. Un mondo dove la donna conta veramente poco.

 

 L’autrice ci racconta che è costretta a recarsi in ospedale in seguito ad una brutta ustione procuratasi con dell’olio bollente mentre cucinava. Anche se elevato, non è forse il dolore ciò che la affligge di più, ma l’indignazione. Indignazione per non potersi recare in ospedale se non accompagnata dal marito, indignazione perché il medico, di sesso maschile, non le vuole guardare le ustioni sulla gamba perché potrebbe essere sconveniente. E poi l’umiliazione più grande. Scrive l’autrice:

“E mi cade per caso lo sguardo sul foglio dell’accettazione.

Riga nome del paziente: Wife 1

Moglie numero uno. Nel Paese dove se ne possono avere quattro tutte insieme. Manco il mio nome.”

Si può accettare di vedere così annullata la propria individualità? Di non avere nemmeno il proprio nome scritto su di un foglio e di essere sempre e solo “la moglie numero 1 di”?

“Di radici provvisorie” del blog “Forse per caso a Bruxelles”

Per la prima volta in questa rubrica, ospito un post di un uomo! E’ un racconto, una piccola storia. L’autore non ci dice se è autobiografica, completamente inventata o un po’ l’una e un po’ l’altra. Sicuramente potrebbe essere la storia di tanti di noi, “emigranti” come ci chiamavamo un tempo o “espatriati” come si preferisce chiamarci oggi. E’ una discussione fra un nonno ed un padre riguardo alla decisione del nipote/figlio di andarsene dalla propria terra per trovare fortuna altrove. Una discussione sul perché si dovrebbe restare e sul perché si dovrebbe partire. Nasce il paragone con un albero e ci si chiede se in esso sono più importanti le radici o i nuovi rami. Dice il padre nel racconto dell’autore:

“va, figliolo, va, va dove nuova luce possa riscaldare le tue foglie e intrecciare i tuoi rami, altre radici nasceranno, ne son sicuro, quella valigia è una margotta in fondo..”

Aggiunge il nonno in merito alle radici di fronte alla decisione ormai presa dal nipote di partire:

“Ma almeno, almeno non dimenticare quelle che avevi, che un po’ rimangono con te, che t’hanno fatto crescere e nutrito finora, oggi sei quello che sei anche grazie a loro!”

“Walking Street…pensieri notturni” del blog “Una famiglia in Cina” dalla Thailandia

Donatella, l’autrice, ha un percorso d’espatrio simile al mio: prima in Cina poi, attualmente, in Thailandia. Viviamo entrambe a Pattaya, una notissima località turistica dove il mare è uno dei più brutti della Thailandia, forse il peggiore. Purtroppo per la maggior parte delle migliaia di turisti che arrivano qui, il mare è un pretesto assolutamente trascurabile. Vengono nella migliore delle ipotesi alla ricerca di una facile compagnia femminile, quasi sempre a pagamento, nella peggiore a caccia di minorenni e, purtroppo, anche bambini. Non proprio la città ideale dove trasferirsi con i propri figli. Quando cercai inizialmente notizie su Internet circa la nostra nuova destinazione, nella ricerca mi uscivano quasi esclusivamente siti terribili in cui comparivano centinaia di foto di ragazze fra cui scegliere. Forse ancor peggio, siti in cui si davano e cercavano consigli su dove poter rimorchiare meglio, quanto pagare e i luoghi migliori per appartarsi. Uno schifo insomma. La scorsa settimana Donatella si è recata a “Walking Street”, la strada più famosa di Pattaya dove si trovano quasi esclusivamente bar e locali dediti a questo mondo. L’ho fatto anch’io, nel mio primo viaggio qui senza bambini, perché volevo rendermi conto. Al rientro a casa Donatella scrive questo post di sfogo e ribellione per una cosa che non può certo cambiare, ma che, come donna e madre, non può fare a meno di denunciare e condannare. Lo fa anche con parole forti, parole forse inevitabili in un mondo così volgare. Scrive:

“Con le lacrime agli occhi, ho assistito a questo degrado….con le lacrime agli occhi mi sono sentita una pessima madre, con le lacrime agli occhi ho avuto una gran pena per ogni straniero in quel bar, per il poco valore che attribuisce a quello che dovrebbe essere un corpo da rispettare, quello di una madre, di una sorella.”

 

Anche per oggi ho finito. Buona lettura!

 


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