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L'ultimo di cui leggo è un fighetto newyorkese che scrive di vizi e virtù degli amanti della bicicletta (http://bikesnobnyc.blogspot.com). Pare possa vantare cinquecentomila contatti mensili semplicemente scrivendo della multiforme tribù dei ciclisti. Adesso è anche uscito un libro scritto: Bike snob (il titolo è già un programma) che, negli Stati Uniti, è già un best seller (e te pareva).
Dovrò consigliarlo, ma probabilmente lo conosce già, a un vecchio compagno di liceo che, fra le insulse frasi, rigorosamente in inglese, con cui ammorba gli amici con cadenza quasi giornaliera su facebook, non ha mancato di mostrare con orgoglio la foto della sua bici nuova di zecca, naturalmente a scatto fisso, ultima mania di creativi e fighetti milanesi.
Dicono che non è una bicicletta, è una filosofia di vita, un approccio completamente diverso alle due ruote, ma sono convinto che, dopo qualche uscita con quel marchingegno infernale utilizzato fino a qualche tempo fa solo da quei pazzi che fanno le gare su pista, il loro nuovo giocattolo rimarrà lì, in bella mostra, appoggiato alle pareti degli uffici da creativi arredati tutti nello stesso modo, ovvero come una classe della scuola elementare Maria Montessori.
Non è che ce l'abbia con la bici in sé, anzi, fino all'adolescenza ne ho letteralmente consumate un certo numero, ma piuttosto con questi coglioni che ne devono per forza fare uno status symbol, un falso feticcio. Che poi sono le stesse persone che, in autostrada, ci sorpassano a bordo dei loro suv Audi a 190 all'ora dopo averci spolverato il parafango e sfareggiato a più non posso mentre cerchiamo di superare un tir infinito.
Senza considerare che, usare la bici in città come Milano, equivale davvero a fare qualcosa tipo no-limits o, quando va bene, all'equivalente di fumare un pacchetto di nazionali a chilometro. Figuriamoci in sella a una bici a scatto fisso e senza freni. Tanto per capirci, avete mai avuto una di quelle Graziella che obbligavano a pedalare incessantemente e col freno a pedale? Ecco, molto ma molto peggio.
E quella cretina di blogger (Julie Powell), che è diventata ricca e famosa riproponendo (una al giorno), le ricette che, un'altra carampana (Julia Child), aveva scritto negli anni cinquanta per rivelare i misteri della cucina francese a massaie americane che, come massimo della raffinatezza e dell'abilità culinaria, sapevano sì è no cucinare qualche tacchino patologicamente obeso imbottito di fegato e castagne? (http://juliepowell.blogspot.com).
E il bello è che ci hanno fatto pure un film (Julie&Julia) in cui una allucinata Meryl Streep ridacchia e saltella di qua e di là incurante della guerra fredda e le difficoltà della vita della gente comune. Per non parlare delle parti che si svolgono al giorno d'oggi, dove Amy Adams, che interpreta la scrittrice/blogger, ci sollazza con frasi che nemmeno le ragazzine degli anni '70 osavano scrivere nei loro diari segreti con la copertina di raso rosa e tanti cuoricini ricamati sopra. Quando poi la scrittura e lo humor si fondono insieme, spesso non si fa in tempo ad arrivare in bagno per vomitare la cena o qualunque cosa mangiata nelle ore precedenti.
Probabilmente, la forza di questi fenomeni sta nei numeri di un popolo che trova estremamente divertenti cose che in Europa abbiamo ormai riposto in soffitta insieme ai varietà, le comiche di Ridolini e le irresistibili battute dell'oratorio. È gente che si ammazzerebbe di risate ascoltando le battute del pagliaccio strozzapalloni alle feste di compleanno nei centri commerciali.
Per loro, qualcuno che scrive sul proprio blog: "Cari lettori sconosciuti...", come Julie Powell, rientra già nella categoria dei fini intellettuali.
Ma a 'sti americani non gliel'ha detto ancora nessuno che Topolino non esiste?
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