Come si è concluso il Torino Film Festival numero 32? Dai dati concreti, fornitici dalla direzione, sembra essersi chiuso bene, molto bene, nonostante ci sia stato un calo di biglietti staccati nei confronti alla scorsa edizione. E’ bene tener a mente però che quest’anno a disposizione c’erano anche a due sale in meno, affianco agli inamovibili cinema Massimo e Reposi, le tre sale del Lux sono state sostituite dall’unica del cinema Classico. Provocando sì una diminuzione dell’incasso e spettatori complessivi, ma anche al contrario ad una affluenza di sala maggiore rispetto il 2013. Torino si conferma essere quindi uno dei festival in maggior salute nel panorama italiano, a dispetto dei continui tagli al budget, elemento percepibile anche senza dover far affidamento al freddo dato statistico, considerando l’entusiasmo che accompagnava molte delle proiezioni con sale e file spesso affollatissime. Proprio su questo però c’è da vedere i punti di maggior debolezza di un’organizzazione che spesso ha mostrato di andare in difficoltà nei momenti di maggior affluenza. Tolta la disposizione delle sale e delle difficoltà create durante le code che cozzavano con l’andirivieni dei passanti, e di cui poco si ha da incolpare la direzione visto che quelli sono i cinema e gli spazi che una città mette a disposizione, meno comprensibile è la scelta di mettere ad esempio solo due proiezioni per capitolo di The Disappearance of Eleanor Rigby. Essendo uno degli eventi di punta dell’intero festival – considerando cast e la particolarità dell’operazione – davvero non era prevedibile un’affluenza tanto elevata? Tanto da dover lasciare decine e decine di persone fuori anche alla replica mattutina dei due capitoli, molte delle quali condannate all’incompletezza dell’opera perché mentre erano in sala a vedere Him per forza di cose non potevano mettersi in coda per il secondo episodio che sarebbe seguito subito dopo, e nel frattempo con una fila diventata ovviamente già spaventosamente lunga molto presto.
Particolarmente riuscita è stata la sezione After hours che ha azzeccato una delle pellicole migliori dell’intero cartellone, lo strepitoso Cold in july cui è stata abbinata anche la piccola retrospettiva al suo regista Jim Mickle. Se Sion Sono si conferma essere sempre più folle che con il suo musical/ rapper/gagsteristico Tokyo tribe, allo stesso ad esser confermata è la fama della sezione di essere quella più zeppa di pellicole al limite del classificabile, proprio come il bizzarro Stella cadente. Si è riso, e non poco, sia nella commedia zombesca Life after Beth che con il parodistico The editor, una specie di Scary movie però dedicato ai gialli italiani anni ’70, fino all’innaturale, misteriosa e ironica perfezione dell’ospite inatteso di The guest. Passiamo infine alle anteprime come quella di Woody Allen con il suo Magic in the moonlight che conferma la leggerezza del suo ultimo cinema, dal buon thriller The drop, ultimo film James Gandolfini, scritto con dovizia da Denis LeHane, o dalla meravigliosa rilettura di Simenon in La chambre bleue di Mathieu Amalric. Tutte pellicole che garantiscono una buona qualità generale alla selezione che spesso e volentieri pesca da altri festival alcune delle pellicole più accattivanti, come dal concorso di Cannes 2014 The homesman, sempre in bilico tra autorialità e cinema anche per il grande pubblico, in cui però non si può evitare di parlare del poco incisivo La teoria del tutto.
Il Torino film festival insomma in questa edizione si conferma un evento adatto non solamente a chi ama il cinema ma soprattutto per chi ama scoprire, e può capitare allora magari d’imbattersi a sorpresa anche una specie di versione ottocentesca del Tree of life di Malick in The better angels, pellicola diretta proprio da uno dei collaboratori storici del grande regista texano. Insomma le sorprese sono sempre dietro l’angolo, quasi invisibili come l’entità inseguitrice di It follows, basta cercare.
di Massimo Padoin per Oggialcinema.net