E’ accaduto circa un mese fa, a luglio, molto prima dell’esplosione irrefrenabile delle piazze al Cairo e nel resto d’Egitto, e prima ancora dell’arresto di Morsi, il presidente arrestato e anche con pesanti capi di accusa, palese creatura e potavoce dei “dictat” della Fratellanza musulmana.
Un amico, parlandomi a telefono come siamo soliti fare almeno una volta la settimana, mi racconta, quando il discorso scivola in politica legata alla quotidianità, di un altro suo amico che, in pieno centro cittadino, ha subìto, in città, qualche giorno prima, un’aggressione piuttosto violenta, cui a stento è riuscito a sottrarsi, piuttosto malconcio.
Ma procediamo con ordine.
L’amico del mio amico - così mi viene riferito - è un imprenditore di origine egiziana residente da anni in Italia , a Torino, dove ha da sempre svolto indisturbato e con discreto profitto la propria attività.
Un pomeriggio di luglio si trova a passare, a piedi, nella zona di Barriera di Milano quando è avvicinato da un gruppo di suoi connazionali, mai visti prima, i quali lo aggrediscono, e lo colpiscono e lo feriscono nella persona, tanto che l’uomo è costretto a riparare, aiutato da alcuni passanti, al più vicino pronto soccorso per farsi medicare.
Pare che la pretestuosa motivazione dell’aggressione fosse che l’imprenditore non era un “buon” musulmano.
E le accuse gridate ad alta voce erano che lui, l’imprenditore, non aveva osservato il digiuno previsto dal ramadan.
Inutili,quindi, le risposte difensive del malcapitato agli aggressori nel tentativo di spiegare loro che egli era ed è semplicemente un cristiano copto e senza obbligo pertanto di osservare ramadan alcuno.
Questo spiacevole episodio, su cui sono comunque in corso le indagini della Digos torinese, ci dice a chiare lettere cosa significa o potrebbe significare, a breve, la lenta penetrazione di un islam fondamentalista in Europa e, pertanto, nelle nostre stesse città italiane.
E’ un aspetto del problema, quello della “tolleranza religiosa” e dell’ accoglienza allo straniero, dotato di cultura e confessione religiosa “altra”, da maneggiare con cura e molta competenza.
Certo da non demonizzare apriori , ma neanche da sottovalutare.
Potete immaginare, se tanto mi dà tanto, (e qui parliamo di un singolo episodio di nostra conoscenza e accaduto in un Paese ancora democratico e con istituzioni funzionanti)) cosa devono essere stati e cosa sono questi giorni, in Egitto, per chi non fosse, per credenza religiosa e/o posizione politica, vicinissimo ai Fratelli Musulmani.
E con la lobbie dei militari in sostituzione dei “barbuti” non c’è ugualmente da stare molto allegri.
Potrebbero raccontare ogni cosa e con dovizia di particolari i copti di laggiù che, oltre ad avere visto (e non solo ora) le loro chiese danneggiate e date alle fiamme, subiscono da tempi immemorabili terribili discriminazioni sociali nel contesto egiziano.
E questo senza che l’opinione pubblica internazionale abbia mai sollevato o sollevi coram populo la questione del rispetto .
Torino, sotto questo profilo, è una città italiana, una delle poche, che ha accolto e accoglie lo “straniero” (anche e non solo coloro che professano la religione di Maometto) con intelligenza.
E cioè nel senso che si creano da anni parecchie opportunità sul territorio per italiani e stranieri di conoscenza e d’inculturazione reciproca.
Mi viene in mente, ad esempio, il Centro Studi “Federico Peirone”, in quanto ebbi, tra laltro, a suo tempo, la fortunata opportunità di conoscere personalmente il missionario della Consolata, docente emerito di arabo ed esperto conoscitore e primo tra i traduttori in italiano del Corano, cui il Centro è intitolato, e poi le differenti associazioni cittadine come quella per il Tibet e i Diritti umani o il Centro d’amicizia italo-arabo.
E , ancora, da non trascurare tutto quanto organizza periodicamente la stessa Diocesi torinese, in piccolo, nelle singole parrocchie, e sempre con l’obiettivo mirato di favorire iniziative unitarie di dialogo.
E allo scopo di evitare il ripetersi d’incresciosi episodi in “casa nostra”, come quello di cui sopra che ho raccontato, sarà bene allora promuovere il lancio di questo genere di messaggi culturali, confessionali, politico-civici , in più città italiane.
E con lo scopo di far pervenire, per quel poco o molto che possa realmente attecchire, un messaggio di pacificazione sopratutto all’altra sponda del Mediterraneo.
Quella le cui “Primavere arabe” ci avevano fatto sognare e ben sperare che non è molto e in cui non abbiamo smesso di credere.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)