Il terreno scotta e il governo libico ha deciso numerose misure preventive delle temute proteste nella ricorrenza del secondo anniversario del “giorno della collera” che da Bengasi il 15-17 febbraio 2011 diede inizio al rovesciamento del regime di Gheddafi. E’ possibile che il panico degli ambienti governativi sia dettato dalla consapevolezza degli scarsi risultati ottenuti e che il desiderio di festeggiare alla fine prevalga, rimandando a qualche evento di natura drammatica lo scoppio di quella che alcuni paventano: una seconda rivoluzione.
- Il Governo mostra i muscoli
A Tripoli e in tutta la regione occidentale sono stati istituiti più di 1400 posti di controllo e sono state rimesse in funzione le telecamere a circuito chiuso dell’era Gheddafi per monitorare le strade. Lo stesso accade a Bengasi.
Il 9 febbraio il governo ha disposto una plateale dimostrazione di forza sotto forma di parata militare lungo le vie della capitale. Il messaggio chiaro e forse recepito era “lo stato è qui e ha il potere di reprimere qualunque minaccia interna”.
Lo stesso giorno il presidente del Congresso generale, Mohamed Magariaf, ha tenuto un discorso televisivo di forte impatto sulle questioni impellenti, dalla riconciliazione nazionale allo sviluppo economico, una mossa necessaria per migliorare la sua immagine fortemente compromessa presso l’opinione pubblica. E’ recente anche il tentativo di mediazione messo in atto dal PM Ali Zeidan nel conflitto fra le tribù Tobu e Zuwayya che ha lasciato sul terreno centinaia di morti nel sud-est del paese.
- Carta Costituzionale ancora inesistente
Tutto questo allo scopo placare una popolazione che dà forti segni d’insofferenza per la mancata evoluzione sulle questioni più critiche. Soprattutto viene avvertito grave il nulla di fatto per la stesura della Costituzione. I termini previsti sono da lungo tempo scaduti in un inconcludente dibattere: a chi affidare il compito? A ridosso della data critica, il Congresso Generale ha deliberato: verranno indette elezioni dei membri di un’apposita Costituente, scartando l’ipotesi della scelta nominale fra i parlamentari. I libici, infatti, non hanno più fiducia nei loro rappresentanti, eletti meno di un anno fa, e la formazione di un nuovo organismo potrebbe ridare loro la speranza. Per questa soluzione si erano da sempre espressi i federalisti della Cirenaica, una regione che è indispensabile al governo mantenere quieta proprio in vista del secondo anniversario della rivolta.
- Poligamia rivisitata
Se poco ha fatto il Congresso perche fosse stilata la Carta Costituzionale, molto attive sono state le istituzioni nell’ambito delle questioni civili. Ha fatto un certo scalpore sui media internazionalila modifica della legislazione che regola il matrimonio. Con insipienza e consueta certezza di possedere la giusta misura della civiltà, le opinioni pubbliche sono state informate che in Libia “è stata introdotta la poligamia”, il che è secondo i nostri canoni un regresso barbarico senza appello.
La poligamia nella quasi totalità dei paesi musulmani, pertanto da sempre anche in Libia, è legalmente riconosciuta, ma variamente disciplinata. Se per la felicità umana la poligamia non è né meglio né peggio del matrimonio monogamico, per la difesa dei diritti della donna fa fede, appunto, il modo in cui essa viene regolamentata.
Nella Jamahirya di Gheddafi la decisione del marito di stipulare un secondo contratto matrimoniale (tale è giuridicamente nell’Islam) era subordinata al consenso della prima moglie; in mancanza, era previsto il ricorso al Tribunale deputato a valutare le ragioni di entrambi i coniugi.
Questa clausola che salvaguardava la famiglia dai capricci e dall’arbitrio maschile è stata eliminata trasformando così la poligamia nella peggiore delle soluzioni possibili. Per la donna innanzitutto, per i figli e per i membri dei clan famigliari poi. Non sono disponibili le ragioni che hanno indotto a questo provvedimento, o meglio: ci si deve accontentare di dichiarazioni a titolo personale secondo le quali si vuole porre rimedio all’elevato numero di donne non sposate. Tesi sconfessata da altre fonti in realtà, e che molto stupisce noi occidentali che abbiamo del matrimonio una visione molto privata e romantica. E’ da ritenere, più probabilmente, che si sia voluto intervenire sulla pratica dei matrimoni segreti, ovviamente, un male ancora peggiore – moralmente e per i diritti dei figli - dell’arbitrio pubblicamente perpetrato.
- Le milizie e la paura
Il 31 dicembre scorso era la data ultima per l’integrazione delle milizie nei ranghi dell’esercito o della polizia. Numerosi precedenti tentativi erano andati a vuoto ma, dopo l’attentato di Bengasi in cui ha trovato la morte l’ambasciatore Stevens, si era decisa questa forte presa di posizione. Poichè, scaduto il termine, non vi sono state dichiarazioni trionfalistiche si deve intendere che le adesioni sono state parziali.
— Rena Netjes (@RenaNetjes) 12 febbraio 2013
Libyan lady who just returned from Tripoli tells me everyone is storing up weapons, she is very negative abt deteriorating situation.
Questo tweet sintetizza il clima: c’è paura e ci si arma dimostrando come la cerimonia della consegna delle armi al governo dopo i fatti di Bengasi fosse pura propaganda.
Le cronache di incidenti e rapimenti sono quotidiane; il controllo poliziesco è invasivo, gli arresti colpiscono anche figure della rivoluzione. I rapimenti sono episodi comuni, giornalisti stranieri, come George Grant, di Libya Herald, o uomini d’affari come David Bachmann , hanno dovuto lasciare almeno temporaneamente il paese perché oggetto di minacce. Vari Governi hanno invitato i cittadini a tornare in patria. E’ di questi giorni il temporaneo stop dei collegamenti aerei deciso dalle compagnie straniere, fra le quali l’Alitalia, in previsione dei disordini. Impianti stranieri sono target di attentati, come accaduto l’11 febbraio al magazzino della Pepsi Cola . Le minoranze religiose si sentono insicure, dopo le devastazioni delle moschee Sufi e recentemente l’attacco alla chiesa Cristiana di Misurata.
I confini del paese non possono essere messi in sicurezza (ed è pressante la richiesta di aiuto a livello internazionale) se non imponendo la legge marziale come nella regione del sud. Per la ricorrenza del 17 febbraio il governo ha lanciato un allarme terrorismo e disposto la chiusura per quattro giorni anche delle frontiere con Egitto e Tunisia, issolando di fatto il paese dal resto del mondo. Che la situazione non vada presa sotto gamba lo dimostra il Ministero degli Esteri italiano in un quadro dettagliato della situazione rischi per gli stranieri in Libia- visibile a questa Pagina
Ben poco viene ricordato da tutti che il territorio è disseminato di mine inesplose, funeste soprattutto per i bambini; ancor meno si cita l’inquinamento del terreno per le bombe all’uranio impoverito sganciate dalla Nato. Se ne parlerà quando, come in Iraq, nasceranno bambini con gravi malformazioni.
- La Giustizia
Gli inquirenti non sono approdati a nulla di certo sugli autori e i mandanti dell’attentato al Consolato USA dell’11 settembre. Il sistema giudiziario celebra processi di cui non è possibile conoscere la regolarità a “collaborazionisti” del regime. Perfino un’icona della rivoluzione, Mustafa Abdul Jalil, leader del CNT e referente dei governi stranieri, deve ora difendersi dall’accusa di aver messo a rischio l’unità nazionale.
Il Ministro della Giustizia ha ammesso che non si sono fatti passi avanti per il rispetto dei diritti umani, tuttavia contemporaneamente persiste nel braccio di ferro con la Corte Penale Internazionale che non ritiene accertata la capacità di condurre equi processi, in paricolare per Saif Al Islam Gheddafi (detenuto dalla milizia della tribù Zentan) e per l’ex capo dell’intelligence Al Senussi letteralmente “acquistato” dalla Mauritania.
In questo quadro disarmante stupiscono atteggiamenti di una parte, almeno, della popolazione: gli spari quotidiani senza motivo, o specie in occasione dei matrimoni e l’infinita sequela di fuochi d’artificio. Un paese traumatizzato, arrabbiato che si contiene ancora per un residuo di speranza o per l’impossibilità di sopportare l’affiorare della disperazione.
Era la Libia, la nazione al primo posto della classifica dell’Indice ISU, lo Sviluppo umano. Con la calcolata destabilizzazione portata avanti da Francia e Inghilterra è diventata un focolaio di terrorismo, la base dalla quale sono partiti uomini e armi per il recente sanguinoso episodio di In Amenas, Algeria.