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E che ritorno, che lezione di cinema!
Olmi è uno dei miei registi preferiti perché sa riprendere il Reale, sopratutto le pieghe piccolissime,minimali,impercettibili, nella e della storia umana. Non enfatizza mai, non aggiunge ulteriori elementi, certo ci si potrebbe lamentare di una certa noia,ma è la lamentela dei fessi e quindi passiamo oltre. Mi piace discutere con chi ha capacità minime per farlo.
Non sono moltissimi i film ambientati durante la prima guerra mondiale, io sono molto affezionato a due pellicole in particolare: Uomini Contro di Rosi e La Grande Guerra di Monicelli. La prima è una vera e propria lezione politica e militante, chi ha la fortuna di essere comunista- perché è una fortuna- saprà coglierne tutto il valore, mentre la seconda è un classico assoluto della nostra Commedia, quando univamo tragedia e umorismo.
Olmi sceglie una strada diversa. Non si ride affatto in questa pellicola,perché la guerra non è nota per aver un grande senso dell'umorismo,ma la critica all'assurdità di questo tragico evento è ben visibile e motivata. Certo non sostiene una sana ideologia progressista, non ne ha nemmeno bisogno. Basta solo il primo piano di un soldato con la febbre, l'angoscia di un sergente che ha sbagliato a dar un ordine ai suoi uomini, il suicidio di un soldato.
Questo è tra i migliori film sulla morte. Leopardiano in un certo senso, poiché alle immagini crude della morte e assordanti,stordenti,per i colpi di cannone,mortaio, fa da contraltare o contro canto- se vi garba maggiormente come definizione- lo splendore della natura. Gli animali, la neve, le montagne, che non sono scenario di guerra, ma altro e oltre.
Sicuramente non è una pellicola facile,seppure nella sua assoluta semplicità,perché ti spinge a sostenere la snervante attesa che qualcosa succeda, come nel bellissimo romanzo Il Deserto Dei Tartari, si sofferma molto e giustamente sulla vita da trincea fatta di gesti meccanici, febbre, morale basso, tedio , e poi ti colpisce con il realismo delle esplosioni . Ti pare davvero di esser con quei poveri cristi.
Dimenticati,gettati per interessi di capitale, di errate idee circa la superiorità di un popolo sugli altri , morire -spesso con poco onore e nullo eroismo, checché ne dicano i libri e le commemorazioni ufficiali- per non ottenere nulla in cambio. Forse una medaglia.
Sopratutto Olmi film la morte non solo come atto fisico, brutale, ma come elemento superiore che toglie la vita anche quando stai ancora respirando.Bellissima la scena dell'arrivo delle lettere. I nomi che rimbalzano come eco tragico di chi non ce l'ha fatta. L'elenco di nomi e cognomi di esistenze spezzate e scordate.
C'è quasi da star male: cotanta pulcretudine in un film tanto breve quanto intenso.
Senza enfatizzare e cercare a tutti i costi la scena madre. Ma solo con la potenza assoluta dell'immagine, ( una volpe, un coniglio, un albero, il silenzio della montagna, le montagne), del suono ( attenti alle esplosioni: sono devastanti),elementi essenziali nel cinema.
Probabilmente codesta pellicola sarà l'ultima fatica del maestro, speriamo assolutamente di no,ma se così fosse: Grazie Ermanno. Per i tuoi film e per i tuoi messaggi morali,etici,cosa rarissima nel tempo dei pirla cinici un tanto al chilo.
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