Lo so, lo so, arrivo male e arrivo tardi, ma mi sono deciso a recensire quell’orrendo spot della Vodafone che circolava quest’estate. A proposito, sperando che l’auto googlarsi porti i vertici di Vodafone a leggere questo post, io butterei lì anche che quell’orso gonadoclasta che cavalca l’onda di un filmaccio con Mila Kunis non era una cosa da farsi.
Il problema vero è quando non si capisce di essere in guerra, diceva il mio maestro. La Telecom si reinventa tutta per riparare ai disastri Belen-De Sica, tra l’altro con discreto successo, e loro con cosa rispondono? Con una canzone presa direttamente dal juke box del brontosauro. Ma non un brontosauro che si intende di musica, no… bensì l’estimatore di una canzonetta che andò di moda negli anni suoi e che oggi, all’utente medio, non ispira niente che non sia violenza acustica.
Come spesso accade, però, la musica è solo la punta dell’iceberg, addirittura il minore dei mali, una volta che si guarda lo spot per intero.
La situazione è facile da spiegare, nella sua puerile, insensata banalità: tutti toccano tutto, come se il mondo fosse un gigantesco touchscreen. La cosa scatena ondate e spruzzi di simpatia in me, che, di base, non riesco a sopportare le persone che in spiaggia o a tavola stanno abbracciate al tablet e al cellulare come se contenessero la loro anima. Immaginate il gaudio nell’assistere alle scene che i creativi hanno con tanta fatica assemblato.
Un ragazzo digita un numero di telefono (non succede dai tempi del Motorola con l’antennona, di scrivere numeri così, a memoria) e la ragazza accanto a lui comincia a premere tasti a caso. Ma quanti anni hai, nove? E non fare la furba solo perché sei carina e hai i riccioli: alzati da lì e pàgati la tua sdraio.
I bambini si ficcano reciprocamente le dita nei bomboloni alla crema. Credo che sia una delle sequenze più schifose concepibili negli ultimi decenni. E inverosimile, direi. Se qualcuno avesse trafitto il mio povero dolcetto con le sue ditacce sporche di bagno chimico, l’avrei strangolato a mani nude e l’avrei seppellito in una buca. La ragazzina, invece, partecipa a questo gioco di impiastricciamento, se non altro con sguardo comprensibilmente affranto.
I tizi al ristorantino dello stabilimento balneare posticcio, arrivati vestiti di tutto punto per pranzare. Lei si mette a toccare il petto allo sconvolto cameriere (mentre in sottofondo si sente “mi piace”, sigh). Il suo accompagnatore decide di affrontare la questione affondando la faccia nel menu.
No ma perché, tutto intorno è pieno di sabbia, se vuoi metterci la testa.
Non mi capacito di come si possa essere coinvolti in massa in una demenzialità del genere (eppure dovrei saperlo che è possibile, considerato che esiste Twilight). Fatto sta che il cerchio della follia si allarga a tutta la spiaggia: tutti ballano il tuca tuca e la regia ritorna senza ordine e senza motivo al chiosco, dove il cameriere ci ha ripensato e si è unito alle mosse della cliente, sotto lo sguardo schifato di quelli che stanno seduti, primo fra tutti il signore che già prima aveva dimostrato tanta dinamicità.
Ballano anche due tizi sotto la doccia. Di per sé è una scena inutile, visto che è la solita scusa per far vedere una ragazza infradiciata in bikini. Ma vorrei comunque gettare un mazzetto di petunie in direzione del ragazzo, che si dimena senza pudore come un’odalisca stordita dall’incenso.
Di più non c’è molto da dire, tranne che in quella spiaggia ci sono un sacco di telefonini bruttarelli e che il tribale intorno al braccio è un criterio di selezione all’ingresso, per cui se non ce l’hai te ne puoi tornare tranquillamente a casa.
Non si sa più niente dei bambini che ci hanno mostrato all’inizio. Ma, tenendo conto che il claim è “scatena le tue dita” (ma sul serio? Misericordia…) immagino che, mentre tutti ballano, la piccola stia scatenando le sue dita intorno al collo dello sciagurato che ha rovinato il suo krapfen.
Mi è già simpatica.