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Va da sé che ho una piccola passione per Luc Besson, soprattutto per i suoi primi film. Oggi ci può apparire facile e commerciale, ma, se si calano i suoi primi lavori nell'epoca e nel Paese in cui sono stati realizzati, lo si può vedere facilmente come un Tarantino ante litteram. Un Tarantino francese e molto primi anni '90, certo, ma secondo me non meno innovativo.
Un esempio? La scena di Nikita in cui arriva Jean Reno a risolvere un casino e scioglie nell'acido un tizio ancora vivo.
Oppure, meno splatter ma devastante anche perché è all'inizio del film: la scena de Le Grand Bleu in cui il padre del protagonista, palombaro, muore annegato perché il tubo si stacca e non si riesce a tirarlo su.
Mentre Nikita l'ho rivisto diverse volte e mi sono sorbita anche tutte le varianti sul tema, Léon sarà pure passato in TV ma non l'avevo mai rivisto da quel lontano maggio 1994 in cui ero stata al cinema con le mie amiche. Rivederlo dopo 16 anni mi ha dato la misura di quanto io sia diversa da ciò che ero e che credevo di diventare.
Lo ricordavo come un film struggente soprattutto per il rapporto d'amore impossibile tra la ragazzina di 12 anni e il sicario maturo, un giocattolone romantico e divertente. Ieri mi ha progressivamente aggrovigliato le budella, toccando vari tasti della mia anima di adulta.
Mi sono incazzata come una iena (e Luca con me) perché un padre non può essere così coglione da mettere a repentaglio i propri figli per provare a fregare un poliziotto corrotto e psicopatico con il grilletto facile. Mi ha ferita la morte del bambino di 4 anni, figlio di cotanto padre coglione. Mi sono detta che solo un padre potrebbe andare a recuperare una ragazzina nella sede della DEA, sparando a tutto ciò che si muove e uscendone in 10 minuti, altro che amore romantico. Mi sono incazzata per certe pose da ragazzina che forse 16 anni fa mi erano parse più giustificate. E infine, per interferenza di Luca, ho trovato assurdo che Mathilda interrasse una pianta d'appartamento in mezzo a un prato assolato e un po' secco.
Ho concluso che il film che ho visto ieri è completamente diverso da quello di 16 anni fa. Mi ha lasciato sensazioni diverse e ricordi diversi. Mi ha lasciato anche desideri diversi.
16 anni fa, uscivo da un film del genere pensando che un uomo così non l'avrei mai trovato. La mia attenzione era focalizzata su Léon come se mi fossi identificata in Mathilda. E, oltretutto, un uomo così speciale l'ho pure trovato, anche se per fortuna non fa il sicario.
Ieri, per tutto il tempo in Mathilda ho visto Amelia (probabilmente anche per suggestione del fatto che, fatte salve le differenze d'età, hanno una corporatura simile). Tentativi di seduzione a parte, mi sono identificata in Léon. Ho desiderato essere pericolosa come lui, per proteggere i miei figli. Un po' come quando Ettore mi chiama "dragomamma" anche se poi vedere il dragomamma in azione nel cartone gli fa un po' paura: è un po' come se sapesse che per proteggere i suoi "draghi piccoli" il dragomamma deve essere terribile con gli estranei, anche se poi è affettuosa e premurosa con i suoi draghi piccoli.
Certo, se fossi pericolosa come Léon, i miei figli correrebbero dei rischi solo per il fatto di essere figli miei: non è che uno fa il sicario così come va a lavorare in banca. Ci si fa dei nemici, e poi la legge non è proprio dalla tua parte.
Eppure il lavoro di sicario è spesso usato dalla letteratura e dal cinema per smuovere i sentimenti del pubblico, per mettere in discussione i nostri valori e la nostra morale. Léon dice chiaramente: niente donne né bambini. Al di là dell'opportunità di mettere le donne su un piano diverso dagli uomini (chiaramente ispirato a un concetto di cavalleria d'altri tempi, dal momento che le donne possono essere come e peggio degli uomini), un'affermazione del genere ci dice che questo sicario ha valori morali più alti di certe rispettabili aziende che impiegano lavoro minorile o di certi corretti datori di lavoro che fanno firmare le dimissioni in bianco alle donne di età fertile. Eppure questa etica condivisibile si sposa al lavoro non etico per eccellenza.
Un altro motivo per cui i sicari e i loro simili sono molto amati da noi narratori è che trattano con la morte, tema "forte" per eccellenza. Léon dice: dopo che hai ucciso un uomo, la tua vita non è più la stessa. Oggi lo capisco, perché la stessa cosa ti capita dopo che hai messo al mondo un uomo (o una donna), ovviamente per motivi diversi.
Certo, nessuno ti inseguirà in capo al mondo con una squadra d'assalto per aver partorito uno o due esseri umani (a meno che tu non sia la regina/senatrice Padme e i tuoi figli non si chiamino Luke e Leyla). Però è vero che la tua prospettiva cambia completamente, cambiano le tue aspettative, cambia persino la tua morale.
Se prima potevi pensare di fare cose amorali per amore di un uomo (il classico di Tosca che uccide Scarpia), oggi sai che l'uomo che ami, per quanto tu lo ami, non avrà mai la priorità rispetto ai tuoi figli. Sai che quelle cose amorali che avresti fatto per "lui" adesso le faresti solo per "loro", e mai e poi mai ti sogneresti di compromettere il loro futuro e la loro sicurezza per un qualsiasi altro motivo.
Insomma, non ti riduci a dormire su una sedia con un occhio aperto (a meno che tu non sia particolarmente ansiosa), ma la tua vita viene decisamente rivoluzionata. Ecco, adesso so che cosa rispondere a chi mi chiede che cosa direi a una neomamma parlando della maternità: direi di guardare Léon e immedesimarsi nel sicario, di mandare a memoria i momenti in cui lui parla del proprio mestiere. E di pensare che sì, il mestiere di mamma (come quello del sicario) ha a che fare col dolore, col sangue, con vari liquidi organici, con tanto rumore e tanta confusione. Ma dà anche lui le sue belle soddisfazioni.
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