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Ryan Bingham, è un “tagliatore di teste”, un professionista ingaggiato dai datori di lavoro per licenziare i propri dipendenti. Privo di una casa e di relazioni stabili, vive tra un aeroporto e un altro, di albergo in albergo, con tutto il necessario accuratamente stipato nella sua fida valigetta a ruote. La situazione si complica quando Natalie, giovane e rampante collega, propone un nuovo sistema per organizzare il lavoro in sede evitando il dispendio economico causato dai numerosi voli a carico dell’azienda. Tale cambiamento, sommato all’incontro con l’affascinante Alex, viaggiatrice in affari, costringerà Ryan a considerare un’ipotesi inaspettata: lasciare i cieli per mettere radici.
“Tra le nuvole” decolla bene. La regia di Reitman è sicura, abile nel mostrare il destreggiarsi del protagonista in un mondo fatto di routine, percorsi stabiliti, sorrisi usa e getta. Una regia, sia detto, con poche novità sul piano stilistico ma neanche priva di spunti interessanti come, ad esempio, la mitragliata di inquadrature corte, cortissime, con la quale ci illustra i gesti rituali di ogni partenza nella loro calcolata, maniacale sequenzialità. Mi è tornato in mente l'Alain Resnais de "La guerra è finita", laddove il narrato veniva intervallato da una successione di inquadrature, apparentemente fuori contesto, tese a simulare i pensieri, le libere associazioni del personaggio principale la cui voce fuoricampo svolgeva una funzione di approfondimento, di controcanto alle immagini. D’accordo, niente di tutto questo è presente in “Tra le nuvole” ma, per un attimo, ho sperato che Reitman tendesse verso un modello di regia che almeno avesse quelle finalità.Pretesa eccessiva, può darsi, che però avrebbe conferito alla pellicola la sua giusta audacia, uno spessore linguistico tale da offrirci la possibilità di ricordarcene sia per l’argomento trattato, sia per il taglio delle scene, l’intenzione dello sguardo. Evidentemente l’obiettivo non era questo giacché, sulla scia di certo Cameron Crowe, Reitman è parso più interessato ad esprimersi col film piuttosto che col cinema. Scelta legittima, per carità, ma che evidenzia qualche limite allorché, abbandonate le premesse della prima parte, ci si accorge che “Tra le nuvole”, annacqua il tema scottante della perdita del lavoro (quindi della crisi economica mondiale), sterzando su percorsi prevedibili e rassicuranti. C’è l’avventura amorosa che spinge perché diventi qualcosa di più serio, c’è la ragazza in carriera (cinica solo in apparenza) bisognosa di un mentore, c’è il ritorno a casa, alla famiglia, la necessità di avere comunque un approdo sicuro dopo tanto viaggiare. Tutti aspetti affrontati e risolti in modo da non scontentare il pubblico, sì con buon ritmo e attenzione nei dialoghi, ma senza un’originalità tale da renderli memorabili. A conferma di quanto detto, la solita questione “matrimonio sì/matrimonio no”, fonte di schermaglie utili a manifestare l’avversione del protagonista verso la vita di coppia, viene sviluppata diluendo il cinismo di fondo con una presa di coscienza troppo rapida e in odor di sentimentalismo. Emblematica in tal senso, è la scena in cui Bingham (che guarda caso ha una sorella in procinto di sposarsi), viene chiamato (guarda caso proprio lui contrario al matrimonio) a risolvere il ripensamento del suo futuro cognato (guarda caso) a poche ore dalla celebrazione davanti all’altare. Per amor della sorella, Bingham riesce, con poche frasi ad effetto, a smontare i dubbi e le paure di un uomo che un attimo prima aveva messo in discussione le sue certezze sul matrimonio. E ci riesce non tanto perché sia un ottimo motivatore (tiene persino dei seminari sull’autostima) ma – e qui sta la forzatura – proprio perché è in atto in lui una sorta di redenzione. E’ come se, ad un certo punto, per Reitman contasse di più recuperare la simpatia del personaggio, la sua celata positività, piuttosto che infierire su quegli aspetti che fanno di un “tagliatore di teste” del genere un vero e proprio pezzo di merda (l’imprecazione è suggerita dalla voce off di Clooney). Non solo. Alla fine Bingham risulta persino un benefattore. Regala alla sorella e al suo nuovo marito le miglia necessarie per fare il giro del mondo (non avevano i soldi per il viaggio di nozze), trova un nuovo lavoro alla giovane Natalie (dopo aver saputo del suicidio di una donna da lei licenziata), proponendosi ai nostri occhi come un ricco senza fissa dimora verso il quale provare un minimo di compassione per l’unico destino che gli è stato riservato: volare alto tra le nuvole come un angelo portatore di sventure.
Con buona pace dei tanti licenziati che, relegati sullo sfondo della trama, danno al film solo una spicciola connotazione sociologica utile per chi, fuori dalla sala, vorrà cimentarsi col consueto dibattito caro al regista.
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