Mi sembra di rivivere i giorni prima della laurea. Quando in preda a vuoti di memoria e crisi isteriche, mi vedevo sempre più sprovveduta, spaventata. Ricordo che alla fine, la sola via di fuga da tutti quei dubbi, stava nella bellezza e nell'unicità di quel momento. La mia vita aveva seguito la mia stessa direzione, era andata dove doveva e dove volevo io. Mai state così d'accordo, io e la vita!Oggi mi rivedo come allora, davanti allo schermo il riflesso di ciò che sono, e poco distante dal battere incessante delle mie dita, un libro. Quattro anni fa c'erano i saggi di Italo Calvino, raccolti nella collana Meridiani, per Mondadori.La mia tesi coniugava in un corpo solo, l'amore per il cinema e la letteratura: "Il cinema nella saggistica di Calvino".Di Calvino amo il suo essere stato, inconsapevolmente, (anche) un grande critico. Lui sosteneva di non esserlo, che lo era piuttosto un Moravia. Eppure, in quelle infinite pagine imparai che la vera critica vive esattamente così, inconsapevolmente. All'alba dei mie trent'anni, e in attesa di veder pubblicato il mio primo romanzo - e lo dico con febbrile incredulità - ho capito che la mia vita, forse quella di ognuno, è segnata, irrimediabilmente, da un libro.Quando lessi La strada di San Giovanni, capii che il mio mondo prendeva forma e si aggiustava, proprio nel momento che anticipava la visione in sala. Vedere poi non mi bastava, era quando provavo a tradurre le immagini lasciate sullo schermo, che afferravo davvero il senso. Se non trovavo le parole stavo male, e mi avvilivo fino a sprofondare. Quando invece mi venivano incontro tornavo in superficie, respiravo, mi sentivo viva, davvero.E provavo meraviglia nel condividere così tanti stati d'animo, appartenuti a uno dei più grandi scrittori del Novecento.Leggevo e sottolineavo tutto ciò che mi portava a dire:"sì, lo provo anch'io, lo penso anch'io!".Incredibile, Calvino che la pensa come me... No, non è arroganza culturale, nemmeno l'illusione di comparare ciò che si è, con qualcosa di inarrivabile.Credo sia piuttosto una delle più affascinanti conseguenze dell'amore per la letteratura. Accanto a me, ora, c'è Virginia Woolf. Diario di una scrittrice.Lo so, sembra assurdo che io e lei abbiamo così tanto in comune. Eppure, qualcosa mi porta a credere che, una volta toccato con mano quel mondo, il suo mondo, ogni donna si senta capita per la prima volta. E io mi sento così. "Verso le tre del pomeriggio mi sono sentita più felice e più sciolta grazie a questo biasimo che non grazie a tutte le lodi degli altri, quasi mi ritrovassi nell'atmosfera umana, dopo un felice capitombolo tra nubi elastiche e colline di piuma". D'ora in poi, ho deciso, scriverò spesso di lei. Vedrò le cose che mi circondano e arriverò inevitabilmente a confrontare questo tempo, con quello racchiuso e custodito, tra le note di quei respiri e tormenti, tra le pagine pregne di amore e disamore, confessato e fluido come un fiume in piena, alla vita. Perché Virginia Woolf non è stata semplicemente la più grande autrice del ventesimo secolo. Nemmeno la rivalsa delle donne tristi e depresse, del male di vivere che è quasi sempre donna, del desiderio di parità, degli stessi diritti che non dovrebbero nemmeno prevedere anni di lotta o estenuanti prepotenze culturali. Virginia Woolf amava la vita, e per mezzo di lei questa si manifestava. Prorompente, spietata, bella di una bellezza disarmante. La stessa che, a un certo punto, l'ha colta impreparata, stanca.Quel fiume ha privato per sempre il mondo della possibilità di una pagina nuova, scritta in costante conflitto tra l'anima e il mondo circostante. Ma di lei non può svanire nulla, nemmeno un pensiero, un periodo semplice, una virgola, un sospiro tra le righe. Perché io me la immagino così bene da crederla ancora viva, pacata e pensierosa?Una donna viva, riuscita, libera. Me la immagino intenta a rubare ogni attimo, a infrangere ogni segreto altrimenti taciuto. Subito dopo l'ora del tè, tra le strade grigie di Londra, agglomerati di gente, capitomboli tra nubi elastiche e colline di piuma.
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