La materia impiegata dall’artista resta tutta e sempre inerte, morta, inespressiva, se non è condotta dal genio a spiritualizzarsi; a divenire cioè puro elemento di raffigurazione lirica simbolica. Il che equivale a sparire in quanto materia
Ardengo Soffici, Archivi del futurismo
Il giovane artista mantovano Paolo Cavinato (1975) espone fino al 9 giugno alla Galleria Milanese The Flat – Massimo Carasi, proponendo un ventaglio di opere che riprendono in parte la precedente esposizione, Geometrie Perfettibili. Cavinato estrapola lo studio sul piano, sulla retta linea di ricerca dove arte e architettura, virtuale e domestico interagiscono, sbrogliando la matassa della prospettiva. Nel tentativo di trovare la giusta interpretazione delle sue opere, bisognerà rivolgere lo sguardo oltre le classiche teorie dell’urbanistica di Jennaret (Le Corbusier), per usare piuttosto queste opere come segno traccia, come mappa per gli studi compiuti dall’artista, sintesi delle influenze occidentali e orientali. Così come il nucleo principe della domus era ciò esso accoglieva, e quello per cui era preposto, cioè l’uomo, così Cavinato interpreta l’architettura come mappa, come modo d’interpretazione delle istanze dell’abitare.
La galleria di Massimo Carasi, prosegue così nella sua coerente esposizione, ospitando per la seconda volta l’artista già in mostra nel 2010 con An intelligent Design; Paolo Cavinato, premiato dalla Royal British Society of Sculptors, propone adesso un’evoluzione del suo stile: se nel 2008 all’interno delle sue opere la materia architettonica sostituiva il visivo umano (pensiamo all’installazione Annunciazione dove una serie di tessere venivano appese a diverse altezze ad una struttura in metallo e specchi) adesso l’umano muta, di fronte alla dittatura dell’artista. Le opere, giocando con dicotomie come infinito e finito, tra gli stralci del pieno e del vuoto, del composto e del minimale, sembrano riproporre veri e propri mondi, soluzioni in cui l’adattamento dell’uomo sembra impossibile ma parimenti indispensabile. Delle utopie del fare mondi l’artista giunge con le ultime opere Via, Beehive, Reflection ad un impiego diverso degli stessi materiali, ferro, plexiglass, cartoncino, luce. Paolo Cavinato desta l’attenzione affilando gli angoli della percezione che catalizzano l’occhio dello spettatore sull’energia sprigionata dalla materia lucente e candida, bianco carico di cromatismi sociali, di strutture a sostegno sì di un pensiero d’interazione corpo – spettatore – luogo, ma ancor di più sul piano esistenziale, un interrogativo aperto sulle possibilità dell’arte di usare se stessa per risolvere l’ambiente.
La galleria The Flat, si presta così ad ospitare nuovi criteri conoscitivi, nuovi e reticolari approcci del fare artistico, dove la linea, la parola e lo spettatore si congiungono sulla soglia che riflette l’altra parte dell’arte, la sua spendibilità anche nei termini del suo potenziale. Perfettamente coerente l’operare di Cavinato che per alcuni versi ricorda i protagonisti della scena milanese del gruppo T – Gianni Colombo con Spazio Elastico – ma anche l’opera più recente di Michelangelo Pistoletto, quel Metro cubo d’infinito all’interno di un cubo specchiante presentato al Centro di Cultura Contemporanea Strozzina di Firenze. QMostre sobrie e composte, mai volgari ed equamente bilanciate negli spazi della galleria, permettono alle opere di respirare, di sviluppare le interpretazioni delle architetture con libertà vedendo manicomi in luogo di alveari, sceneggiature per film o tableau vivant di sentimenti, nuova scuola kubrikiana.