Magazine Cinema
Svezia, 2013
14 minuti
C'è una sensazione di glacialità costante in Det Knullande Paret; esordio impenetrabile (specialmente in senso visivo) ma di rara originalità, per l'ancora inesplorato Peter Modestij, presentato tra gli altri, anche nella sezione court mètrage di Cannes. Ed è quella glacialità endemica, che congela certe pellicole del Nord Europa quali Danimarca e Svezia, soprattutto, e alle quali più ci si accosta, più ci si convince dell'alto tasso di degenerazione che si cela al loro interno. E' un come un morbo, pronto ad insinuarsi in maniera silente attraverso una cinematografia capace di affiancarsi in maniera esemplare sia alla Grecia di Lanthimos, che all'Austria di Seidl; spesso eccentrica ed eccessiva, ma dall'idioma rigoroso, plastico, epigrafico e dal quale, Det Knullande Paret, si lascia invadere come il suo protagonista, Simon J. Berger (restando in territorio, una faccia dai tratti caratteristici, a metà tra Simon Staho e Thomas Voss, porno-attore in Daisy Diamond), colpito da un carcinoma ai polmoni dopo che questi ha deciso di dare un tocco singolare alla sua abitazione, acquistando ad un'asta un improbabile "pezzo d'arte vivente". Si tratta di una couple fucking (letteralmente, coppia che fotte) che una volta sistemata nel salotto di casa, inspiegabilmente, cessa la sua programmatica attività sessuale per concedersi ai ben più deleteri piaceri del fumo, trasformando rapidamente l'ambiente in uno spazio soffocante e imperscrutabile, che conduce rapidamente ad esiti fatali lo sfortunato acquirente.
Siamo chiaramente di fronte a un futuro distopico, un'opera dalle venature fantascientifiche che tra l'altro, nella raffigurazione somatica della coppia, sembra trovare il paradigma più esplicito proprio con il film di Lucas, L'uomo che fuggì dal futuro (1971). In realtà, nulla viene approfondito sui due misteriosi individui (d'altronde, la natura stessa del progetto, nei suoi rapidissimi quattordici minuti, fatica a concederlo, ed è un vero peccato non aver preso in considerazione l'idea per un lungometraggio) se non in un epilogo a effetto palindromico, dal quale si desume che sotto la facciata dell'asta, possa muoversi qualcosa di ben più ampio ed inquietante. Modestij, preferisce focalizzare l'attenzione sul rapido declino fisico del protagonista, e su di un piano estetico (e tecnico) da brividi. Una costruzione dal taglio chirurgico (eseguito con la stessa modalità di un Fliegauf, nel fluido ed ininterrotto incedere delle carrellate frontali) e simmetrico, come lo sono le inquadrature volte a far risaltare uno spazio in altezza che genera assenza, vuoto (come in Ida di Pawlikowski) nel quale i volti affiorano sezionati dal basso, la figura umana è relegata al fondo, o ai margini dello schermo. I corpi assumono plasticismo, e immersi nella saturazione di una cortina fumogena ed esiziale, divengono mero oggetto fatiscente da ricoprire con un cellophane. Det Knullande Paret è la decadenza: fisica, e morale, di una società smodata, eternamente insoddisfatta, occultata dietro gelidi monitor all'esasperata ricerca di appagamenti effimeri, destinati a dissolversi in cenere.
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