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"Traine pas trop sous la pluie" di Richard Bohringer

Creato il 31 gennaio 2011 da Sulromanzo

Ci sono libri che si leggono con urgenza. Non l’urgenza di iniziarli, e neanche in realtà quella di finirli. Ma leggendoli si corre, si è presi da una sorta di ansia. Poi ci sono libri che si leggono solo perché si conosce la storia dell’autore, ed è forse solo per quello che sono pubblicati. E ci sono i libri di questa seconda categoria che si leggono come quelli della prima. È questo il caso di Traine pas trop sous la pluie di Richard Bohringer.

Bohringer è un quasi settantenne, attore di successo, ex drogato, ex alcolista, scrittore e in qualche modo, più per i suoi testi che per la sua voce roca, cantante. È un personaggio cui si tende a voler bene, in francese si direbbe “attachant”, ma anche un “écorché de la vie”, uno con la sensibilità a fior di pelle cui la vita non ha risparmiato nulla. Francese, per il suo amore dell’Africa e dei suoi “fratelli” neri ha ottenuto la nazionalità senegalese.

 

Traine pas trop sous la pluie non mi è piaciuto.

Traine pas trop sous la pluie è un libro molto bello.

 

Il limite è mio, ho bisogno di una storia, di un inizio, uno svolgimento e una fine. Ma Traine non è un romanzo, benché ci sia scritto sulla copertina. È un insieme di divagazioni, di allucinazioni, di ricordi, è un inno alla vita di qualcuno che tante volte è stato vicino alla morte, che spesso ha cercato di autodistruggersi. Ed è soprattutto una lunghissima, immensa poesia, a tratti struggente, a tratti, pochi, divertente.

Bohringer dichiara ad un certo momento di non essere Rimbaud, (“Écrire à l’instinct, déchirer l’avenir, ne vivre qu’avec le présent. / Je suis loin de Rimbaud. / je le sais bien.”)eppure è proprio a quest’ultimo che si pensa leggendo questo libro. Un settantenne adolescente nella sua scrittura, nella sua rabbia, nella sua voglia di vivere ma anche di annientarsi come un poeta maledetto, che non scrive colto ma scrive bene, molto bene. Parla come mangia e scrive come parla. Crudo, vero.

Bohringer è affetto da epatite C, oltre ad avere problemi di cuore, ambedue le patologie probabilmente provenienti dai suoi eccessi passati. Nel corso dell’anno scorso è stato ricoverato in ospedale, dove è rimasto per diverse settimane, in preda a febbre, ad allucinazioni, a ricordi. Di questa esperienza, così com’è, ha fatto il suo libro.

Sono quindi molte le sue allucinazioni febbrili, spesso indotte da farmaci, che seguiamo nelle circa 150 pagine durante le quali l’autore si sente il capitano di una grande nave persa nella tormenta (probabilmente l’ospedale: “Je suis arrivé devant l’hôpital posé à quai comme un cargo de nuit. Ses lumière immobiles sous la pluie.” ) o conversa con un Grand Singe, una Grande Scimmia, che con tutta probabilità non è che lui stesso.

I momenti di delirio sono poco coinvolgenti, mentre lo sono molto quelli in cui Richard ricorda, a sprazzi, la sua famiglia d’origine, i genitori, fratello e sorella, morti giovani. Quel padre soldato tedesco che ha sposato la francesina. Quella madre sola in tempo di guerra che è obbligata a concedere favori, vergognandosene più del figlio, creando così tra i due una distanza che non sarà mai colmata; e questo vecchio adolescente che sul letto di ospedale rimpiange la madre, rimpiange di non averla amata abbastanza. Ma tutti i suoi morti sono su un’aeronave il cui comandante è Philippe Léotard, altro attore dannato francese, morto nel 2000 a soli sessant’anni, vecchio compagno alcolista e dedito alle droghe. E poi tutti gli altri amici attori, poeti, cantanti, che negli anni se ne sono andati e che Bohringer mette sulla sua aeronave. Particolarmente commovente la brevissima appendice finale dell’autore: “Ce matin Philippe Léotard, capitaine de l’aéronef, et Roland Blanche ont accueilli Bernard Giraudeau. Calme-toi, calme-toi mon coeur. Souris lorsque tu penses à lui. Tendre ami .” in memoria di quest’altro grande attore spentosi dopo anni di lotta contro il cancro. Sembra quasi che Bohringer, malgrado tutti i suoi eccessi, sia sopravvissuto a tutti, amici e familiari, e che questo abbia aumentato la sua tristezza oltre, paradossalmente, alla sua voglia di sopravvivere.

E poi ci sono i tanti viaggi, in Africa, nelle Isole, dall’altra parte del mondo, che lui ha fatto col corpo, e non solo con lo spirito alterato da sostanze stupefacenti. Viaggi che hanno contribuito a fare di lui quello che è.

Una bella persona.


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