Transitaliana
Da Marcellogaletti
La giornata della partenza, come sempre, è piena di tensione e nervosismo. Mi fa arrabbiare questa debolezza, che ad un certo punto ho anche attribuito all'età (ma poi ho ricordato quanto scrissi prima di partire per l'argentina, 14 anni fa...). Ma mi viene ogni volta che mi stacco dall'abitudine, inizio a vedere la bellezza delle cose che faccio normalmente, di certo enfatizzandola, mi chiedo perchè devo lasciare le mie certezze di ogni giorno e cazzate così.Sul treno da Torino, in realtà, come speravo/prevedevo, ci sono gli scompartimenti. Ne abbiamo uno intero e tre posti su sei in quello accanto. Il treno è come ricordavo, tanti anni fa. Una vittima scampata al verbo attuale delle italiche ferrovie, che ti portano per soldi e non per servizio pubblico. Invece questo treno è servizio pubblico. Il treno è pieno e pieno sarà fino alla fine, o giù di lì. Tra gli altri ci sono alcuni bambini, un cane, una Signora che cammina a fatica sorretta dalla figlia, gente che parla al telefonino con i parenti che sono a meno di un metro sulla banchina al di là del vetro, un uomo sulla sessantina in camicia, pantaloni della tuta e ciabatte; uno che di certo ha già fatto questa tratta e si è attrezzato a dovere per la traversata, sono1200 km fino a Lecce. Dodici ore e mezzo. Nello scompartimento che possediamo a metà c'è una giovane coppia, tornano a Foggia, lui ha il naso aquilino e l'ascella d'assalto, per fortuna durante il viaggio muoverà poco le braccia. A Piacenza scende la sesta persona, una ragazza che leggeva un libro spagnolo e parlava con probabile accento francese. Ci illudiamo che il posto resti vuoto, ma così non è. Sale un tipo che va a Barletta, anche lui pare uno esperto di questa traversata. Molto più tardi, a Foggia, ci farà spostare verso il finestrino quando i due ragazzi scendono, “mi metto io verso il corridoio, così potete dormire, ed io non vi disturbo per scendere”. Tattico. I cinque bambini sono eccitati, ma li stendiamo con un cartone dopo la cena comunitaria, consumata nel “nostro” scompartimento. Io non li vedrò fino al mattino. La colonna sonora è quella classica, lo sferragliare che fa godere gli appassionati di ferrovia. Uno di questi lo rendo partecipe della traversata con messaggini di uotsappa. Mi pare che goda, in effetti. Ad un certo punto della notte mi dice che “pare un'altra epoca”. In parte è così, in parte no. E' un'altra epoca perchè oggi parlare di ferrovia di fatto vuol dire alta velocità, concorrenza all'aereo, biglietti sullo schermo del telefonino, e si dimenticano i milioni di pendolari che ogni giorno vedono solo i lati deleteri delle nostre riorganizzate ferrovie. L'attualità ferroviaria non sono certo i pochi notturni che uniscono questo paese che forse paese non è, fermo per tanti aspetti quotidiani all'Italia dei comuni. Non è un'altra epoca, per fortuna, perchè meno male che questo tipo di treni è fisicamente lo stesso che era anni fa. Meno male che non si è modernizzato, razionalizzato, riconvertito. E' rimasto uguale a se stesso, ma in un tempo diverso. I sedili si possono tirare verso il centro, trasformando lo scompartimento in un unico letto gigante. Non ci sono le prese elettriche, se non quelle per i rasoi nei bagni che, una volta giunti sull'Adriatico, da bagni sono ormai diventati cessi. Nei corridoi ci sono i seggiolini a scomparsa per le vittime dell'overbooking. Che però, ferroviescamente parlando tali non sono, prendendo un treno così lo devi sapere che corri quel rischio, soprattutto se sali in una stazione intermedia e non hai prenotato. Una volta sulle porte degli scompartimenti c'erano i bigliettini che indicavano se i posti erano prenotati. Nemmeno l'ombra sul treno nostro. Però i controllori, oltre al tablet per controllare i biglietti, hanno anche quel coso per bucarli, i nostri “titoli di viaggio”. Ci sono ancora le reti supplementari nei corridoi, per i bagagli che non entrano negli scompartimenti, reti sulle quali si narra che dormissero gli immigrati che facevano la traversata a nord verso un lavoro o a sud verso una famiglia. E' interessante passeggiare su e giù per la carrozza, ed osservare cosa succede negli scompartimenti, dove ci si accorda per spegnere presto la luce, dove si fraternizza, o dove ci si fa i fatti propri ed ognuno guarda fuori anche se non si vede nulla, se non luci che corrono via in un attimo. Dove la porta è chiusa, ed in tal caso sono possibili anche le confidenze; dove è aperta ed in tali casi sono voci alte per tutta la notte... E' una convivenza forzata, certo, ma c'è più umanità rispetto all'atmosfera algida dell'alta velocità, regno della tecnologia, tutti sempre connessi ed ognuno in fondo perso dentro gli schermi suoi. In realtà passo la maggior parte della notte intento ad incroci da circo con Paolino, alla ricerca della posizione meno peggio, che a tratti è quasi comoda; dormiamo a momenti nei nostri tre sedili in due, mi ricordo Alessandria, poi nebbia fino a Bologna, ma forse Voghera sì, e Piacenza di sicuro; nel frattempo ho aperto la porta dello scompartimento perchè fa un caldo boia; fino all'adriatico inoltrato probabilmente dormo/sonnecchio, non ricordo nulla prima di Pescara (quasi quattro ore da Bologna). La riconosco perchè sento un dialetto che mi ricorda Marco ed allora gli mando i saluti dalla sua città. Di nuovo nebbia fino a Foggia dove scendono i ragazzi e ci trasferiamo verso il finestrino (allora mi porto anche lo zainetto, non si sa mai...). Siamo già in Puglia, sono le cinque e mezza circa, ma siamo a poco più di due terzi del viaggio, a Lecce mancano tre ore e mezza. Dopo un po' arriva il sole, sento che arriva un passeggero, ha una prenotazione per uno dei posti sui quali sto dormendo io e Paolino, fingo di dormire (lui ha sicuramente dormito più di me, stanotte. Si sistema su un sedile accanto al corridoio. Di botto lo scompartimento sonnolento è destato dal classico “Biglietto, prego!”, servitoci con delicatezza nulla dal controllore. Poco più tardi se ne arriva Moni e scopro che ha dormito in terra nel corridoio. Magari al ritorno sto un po' più attento alla mia famiglia...Verso Bari viene decretata la colazione per le due famiglie, che durante questa traversata siamo una sola, scoppiano i soliti diverbi di paglia sul numero di biscotti che un bambino ha mangiato rispetto ad un altro, e qui il treno perde tempo, girano voci del malore di una passeggera, si starebbe aspettando un'ambulanza, ma chissà se è vero. Il treno sta fermo a più riprese, a Bari centrale ma anche in stazioni minori del capoluogo. Accumuliamo un po' di ritardo ma quasi subito dopo iniziano chilometri e chilometri di Ulivi meravigliosi (la maiscuola è d'obbligo perchè l'Ulivo non è solo un albero, è un'opera d'arte) che scorrono a lato della ferrovia, divisa da loro quasi sempre da altrettanto belli muretti in pietra. Bitonto/Fasano/Brindisi, poi il treno vira un poco ad ovest, lascia l'Adriatico ed arriviamo a Lecce con venti minuti di ritardo e con un sole forte così. La traversata è finita, casa è milleduecento chilometri più su. Siamo alla stazione di termine corsa. Che magia, il treno.
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