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Transizione senza rivoluzione. Il monolitico Uzbekistan e il futuro dopo Karimov

Creato il 15 gennaio 2015 da Bloglobal @bloglobal_opi

uzbekistan-karimov

di Oleksiy Bondarenko

Il 2015 sarà un anno importante per il futuro politico dell’Uzbekistan e per l’equilibrio generale della regione centro-asiatica. Dopo mesi di dubbi e perplessità, derivanti anche da alcune difficoltà di tipo familiare e sanitario, Islam Karimov ha ufficialmente annunciato la sua disponibilità a candidarsi alla prossima tornata elettorale di marzo.

L’attuale Presidente è l’uomo più potente del Paese, capace di garantire un certo livello di stabilità politica a partire dalla proclamazione d’indipendenza dell’Uzbekistan, avvenuta nel lontano settembre 1991. Nonostante l’età avanzata e, almeno secondo alcune fonti, le precarie condizioni di salute, Karimov detiene ancora nelle proprie mani le redini del gioco politico uzbeko, mantenendo il ruolo di attore principale anche nell’ottica della futura, inevitabile, transizione politica.

Preparando una “morbida” successione?

Dopo oltre 25 anni di potere incontrastato, anche in Uzbekistan si è iniziato a parlare insistentemente, anche se a bassa voce, del post-Karimov. Alcune recenti decisioni del Presidente hanno sollevato un ampio dibattito tra esperti sulle elezioni del prossimo marzo, viste come la prima, fondamentale, tappa nella transizione ai vertici della struttura politica di Tashkent. La modifica della Costituzione che sancisce il passaggio di una serie di poteri dalla figura del Presidente all’organo esecutivo, insieme alla decisione di abbreviare di quasi un anno la durata dell’attuale mandato di Islam Karimov (spostando le elezioni presidenziali a novanta giorni dopo quelle parlamentari che si terranno tra dicembre e gennaio), sono state interpretate da alcuni come evidenti mosse di un graduale disimpegno da parte del Presidente [1].

Altri esperti invece, come Aleksey Malashenko del Carnegie Moscow Center, sottolineano come sia alquanto improbabile vedere Karimov abbandonare la scena politica [2]. Le recenti modifiche costituzionali sembrano piuttosto una mossa tattica che dovrebbe favorire il controllo da parte dell’attuale Presidente sul processo politico che nei prossimi anni dovrà portare alla definizione di un suo successore. In contrasto con altre realtà post-sovietiche, difficilmente in Uzbekistan si potrà assistere al passaggio di potere su base ereditaria, come successo ad esempio nell’Azerbaijan di Gaydar (padre) e Ilham Aliyev (figlio).

Gulnara Karimova e Rustam Inoyatov

Le avventure giudiziarie della figlia e le sue vaghe aspirazioni politiche hanno messo in serio imbarazzo Islam Karimov. Una delle personalità più ricche del Paese, Gulnara Karimova l’eccentrica figlia del Presidente, si è dimostrata un attore incontrollabile nella vita economica e politica uzbeka, causando preoccupazione e risentimento nell’élite al potere. Ben conosciuta anche in Europa, dove sono situate molte delle sue società, Gulnara è stata per un certo periodo considerata la possibile erede del padre alla guida dell’Uzbekistan. Oltre all’attività economica, infatti, la figlia del Presidente ha avuto modo di maturare una certa esperienza politica. Ha ricoperto il ruolo di Ambasciatrice dell’Uzbekistan in Spagna e Rappresentante permanente del Paese alle Nazioni Unite, oltre alla carica di vice Ministro degli Affari Esteri a Tashkent. La sua parabola discendente è iniziata però nel 2013, anno in cui è stata colpita da una serie di scandali finanziari a carico delle sue società, accusate di corruzione e riciclaggio di denaro [3].

Considerando le crescenti pressioni dei partner occidentali e l’inimicizia che la figlia si è guadagnata nei circoli finanziari e soprattutto all’interno del potente Sovet Nazionalnoy Bezopasnosti (Consiglio di Sicurezza Nazionale, CSN), i rapporti con il padre sono così definitivamente degenerati in una vera e propria faida familiare. Messa in disparte e osteggiata dall’élite, Gulnara ha iniziato a criticare apertamente la classe politica del Paese e le strutture governative al potere, assumendo spesso posizioni contrapposte al padre. Pur cercando di promuovere la propria immagine come oppositrice politica e difensore dei diritti umani in Uzbekistan, Karimova non è riuscita comunque a guadagnarsi il favore e l’appoggio dei veri dissidenti. Lo stesso Bahodir Choriev, leader del movimento di protesta Birdamlik (Solidarietà) e residente da anni negli Stati Uniti, ha definito i recenti guai giudiziari di Gulnara e di molte persone a lei vicine come un «regolamento dei conti» e simbolo della «formazione di un nuovo equilibrio» ai vertici dello Stato [4]. Il fatto che di recente Gulnara sia stata privata dell’immunità parlamentare e sia stata messa agli arresti domiciliari nella sua abitazione di Tashkent, sembra, in effetti, non tanto una conseguenza della sua attività di oppositrice, quanto un inevitabile risultato del suo sconsiderato dinamismo economico-finanziario che ha messo ulteriormente sotto pressione la leadership sia sul piano interno sia su quello internazionale.

Come sottolinea ancora Malashenko, la vicenda di Gulnara ci restituisce anche qualche indicazione sulla struttura politica dell’odierno Uzbekistan e sull’equilibrio di potere interno che si è andato a formare durante la presidenza di Karimov. La seconda figura più influente è rappresenta dall’attuale Capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale, Rustam Inoyatov. La sua stretta collaborazione con Karimov è iniziata nel 1995 quando fu nominato Capo del CSN, quella che rimane ancora oggi la struttura militare più influente all’interno dell’Uzbekistan. Durante i vent’anni alla guida del CSN, Inoyatov ha esteso i poteri dell’agenzia, che detiene il controllo, diretto e indiretto, non solo sulle strutture statali, ma anche sulle agenzie d’informazione e su una buona parte del settore bancario ed economico. Il potere personale di Inoyatov è cresciuto ulteriormente, come sottolinea il politologo uzbeko Kurban Yuvshanov, in seguito all’episodio del “massacro di Andijan”.

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La Valle del Fergana e specialmente i due principali centri urbani, Namangan a nord e Andijan a sud, a partire dagli anni Novanta sono stati terreno fertile per una serie di movimenti di stampo islamico radicale, il principale dei quali è rappresentato dal Movimento Islamico dell’Uzbekistan (IMU), che riuscì a costruire, secondo alcuni studiosi come Martha Olcott, legami anche con numerose altre organizzazioni terroristiche sovranazionali nell’area, alcune delle quali più o meno direttamente legate ad al-Qaeda centrale. Quando nel maggio del 2005 una serie di disordini sono scoppiati proprio ad Andijan, l’esercito rispose con il pugno duro, sparando sulla folla. Nonostante la versione ufficiale di Tashkent, che aveva sostenuto che si trattasse di una rivolta organizzata dai movimenti di stampo terroristico giustificando l’uso della forza, la dura reazione da parte dell’Unione Europea e degli Stati Uniti ha provocato una vera e propria lotta politica all’interno delle strutture militari uzbeke, vinta proprio da Inoyatov. La responsabilità degli episodi di violenza ad Andijan fu, infatti, attribuita al principale rivale di quest’ultimo, il Ministro degli Interni Zakir Almatov.

Alle soglie del periodo di transizione nel Paese, godendo della fiducia del Presidente e con Gulnara Karimova praticamente fuori dai giochi, il Capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale sembra essersi assicurato un ruolo centrale nella futura configurazione di potere a Tashkent. Sebbene sia piuttosto difficile immaginare il ripetersi di una situazione simile alla Federazione Russa, dove un uomo del KGB (Putin) è diventato Presidente del Paese, Inoyatov sembra in grado di tessere le trame da dietro le quinte.

L’influenza dei clan regionali

Un altro fattore che ha l’effetto di condizionare l’equilibrio di potere all’interno dell’Uzbekistan sono i diversi clan, organizzati generalmente su base regionale. Sebbene sia difficile stabilire l’effettivo grado d’influenza di ciascun clan e determinare la loro concreta composizione, si possono delineare diversi gruppi di pressione, i cui contorni rimangono comunque sfumati. I principali tre clan sono quelli di Samarcanda (Samarkandskiy), di Tashkent (Tashkentskiy) e della Valle del Fergana (Ferganskiy). Anche se a causa della mediazione di Karimov i confini e il conflitto d’interessi tra questi tre gruppi negli anni sono diventati più tenui, alcuni studiosi notano ancora una certa “divisione dei compiti” all’interno del panorama politico-economico nazionale. Yuriy Fedorov sottolinea ad esempio come il clan di Tashkent concentri i propri interessi e abbia “campo libero” nel settore economico-finanziario del Paese dove le principali cariche sono ricoperte dai suoi esponenti, mentre il clan di Samarcanda sia quello più vicino alla sfera politica (lo stesso Karimov proviene da questo clan). Quello di Fergana invece detiene un importante potere nella sfera religiosa, numerosi tra gli Imam più importanti dell’Uzbekistan fanno parte di questo clan [5].

Sebbene la lotta tra i clan regionali potrà difficilmente essere il fattore determinante nella futura transizione politica, essa avrà sicuramente una certa influenza sui nuovi equilibri di potere in Uzbekistan. Il successore di Karimov erediterà un delicato equilibrio costruito dall’attuale leader che negli anni della sua presidenza si è dimostrato un arbitro e un mediatore degli interessi dei vari clan regionali. Negli anni si è dotato anche d’importanti strumenti come il diritto di nominare e destituire i governatori locali, fungendo così da equilibratore, evitando che personalità di un singolo gruppo potessero accrescere eccessivamente il proprio potere a discapito di altri. Come ha lasciato intendere lo stesso Karimov nel suo libro, Uzbekistan on the Threshold of the 21st Century, il contrasto tra i clan rappresenta una «seria minaccia alla stabilità del Paese», minando le fondamenta dello Stato. Ad un approccio di tipo clanico l’uomo più influente ha preferito negli anni della sua carriera politica, infatti, quello della fedeltà personale al leader unito ad una pragmatica e costante revisione delle nomine più influenti, limitando l’ascesa di personalità capaci di mettere in discussione il suo potere. L’unica eccezione a questo schema sembra essere rappresentata appunto dal suo braccio destro Inoyatov.

Il post-Karimov potrà essere caratterizzato così da un certo livello d’instabilità e dalla rinascita della lotta per l’influenza tra clan di stampo regionale. Proprio per questo, secondo numerosi analisti, la figura dell’attuale Capo del CSN sarà determinante nella gestione delle futura transizione politica con il compito di mediare, anche dal retroscena, tra le varie correnti di potere.

Il fattore internazionale

Gli sviluppi nella vita politica uzbeka sono guardati con particolare interesse anche da attori esterni, regionali e non. L’importanza della regione centro-asiatica è cresciuta esponenzialmente nell’ultimo decennio e mezzo, in concomitanza con l’impegno americano in Afghanistan, la crescita economica del vicino cinese ed i progetti euroasiatici del Cremlino.

Tashkent dal canto suo, sotto la guida di Karimov, ha dato vita ad un approccio multi-vettoriale alla politica estera cercando il massimo guadagno dai rapporti selettivi con Russia, Stati Uniti e Cina. Nonostante l’altalenante politica uzbeka nei confronti degli strumenti multilaterali promossi dal Cremlino come l’Unione Doganale e l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), la Russia rimane uno dei principali partner commerciali e primo investitore straniero nel Paese centro-asiatico. Anche nel settore energetico, soprattutto per quanto riguarda il gas naturale (Tashkent è considerato il secondo produttore della CSI e detiene la diciannovesima posizione a livello mondiale per le riserve di gas stimate) la collaborazione tra l’Uzbekistan e la Russia è notevole [6]. Mosca è il principale investitore nel settore energetico del Paese, nonché partner indispensabile per l’esportazione del gas.

Da un punto di vista politico i rapporti sono stati sicuramente più altalenanti e legati alla variabile degli altri attori come Stati Uniti e Cina, fattore che ha costantemente diminuito l’influenza politica del Cremlino. Non a caso il temporaneo ingresso dell’Uzbekistan nella CSTO guidata dalla Russia è coinciso con il crescente criticismo nei confronti di Karimov da parte di Washington in seguito ai fatti di Andijan. In seguito alla guerra russo-georgiana del 2008, invece, Tashkent ha bloccato la creazione di Forze Collettive di Risposta Rapida all’interno del formato multilaterale, sospendendo la sua partecipazione prima e abbandonando definitivamente l’organizzazione poi (2012).

Attualmente, soprattutto in seguito alla crisi ucraina che ha riacceso una certa diffidenza nei confronti della presenza russa nella regione, Mosca possiede pochissimi strumenti per avere un livello di influenza accettabile sulla futura transizione di potere all’interno dell’Uzbekistan. Secondo Malashenko, inoltre, ogni tentativo in tal senso potrebbe avere effetti controproducenti ed irrigidire ulteriormente l’élite politica locale. Non ci sono tracce, infatti, di una vera lobby pro-russa all’interno dell’attuale panorama politico uzbeko.

Se il Cremlino ha poche carte da giocare, i rapporti con Washington sembrano aver superato la frattura causata dalla crisi di Andijan, che ha caratterizzato il punto più basso nelle loro relazioni bilaterali. Gli Stati Uniti possono contare sul favore di una fetta della nuova generazione di uomini politici di formazione e stile di vita occidentali che sta lentamente soppiantando la vecchia burocrazia di stampo sovietica. Una parte dell’intellighenzia e dei dissidenti politici, inoltre, hanno trovato sostegno e rifugio proprio negli Stati Uniti. Sebbene questo non sembri sufficiente per poter indirizzare formalmente la futura transizione politica, potrebbe decisamente favorire un graduale e costante miglioramento delle relazioni con la nuova élite che sostituirà Karimov alla guida del Paese.

Un altro attore cruciale per le politiche centro-asiatiche è rappresentato da Pechino. La penetrazione cinese nella regione è stata accompagnata da una serie di accordi bilaterali culminati nel 2012 in una Dichiarazione di Partnership Strategica con Tashkent. I due Paesi inoltre collaborano strettamente da più di un decennio all’interno del forum multilaterale della Shanghai Cooperation Organization (SCO) di cui l’Uzbekistan è uno dei membri fondatori [7]. Sono almeno tre i dossier intorno ai quali si sono sviluppate le recenti relazioni tra i due Paese: economia, energia e sicurezza. L’Uzbekistan rappresenta, in effetti, un esportatore di materie prime verso l’ampio mercato cinese (cotone, metalli ferrosi e non, fertilizzanti), ma anche un Paese di transito per il gas naturale caspico. Attualmente l’Uzbekistan è attraversato da tre linee (A, B e C) del network di gasdotti denominato Central Asia–China Gas Pipeline che oltre a trasportare il gas dal Turkmenistan permette di esportare anche quello estratto nei giacimenti uzbeki. Il Paese centro-asiatico, inoltre, è anche un importante partner nella lotta all’estremismo islamico. Sia Pechino che Tashkent condividono la stessa preoccupazione nei confronti dell’instabilità regionale provocata dal terrorismo. La regione cinese dello Xinjiang, a prevalenza turcofona (uiguri), è da sempre una spina nel fianco per il governo di Pechino, mentre il fermento religioso nella Valle del Fergana, culla dell’estremismo nella regione, è vista con preoccupazione da Tashkent.

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Fonte: China National Petroleum Corporation (CNPC)

La politica estera cinese però appare piuttosto lineare ed in continuità con la recente tradizione. L’attenzione di Pechino non è rivolta a chi prenderà nel futuro il posto di Karimov. Qualunque risulti essere il nuovo equilibrio in Uzbekistan, le basi delle attuali buone relazioni con la Cina saranno difficilmente messe in discussione. Questo è sufficiente per Pechino.

Cambiamento, stabilità o entrambe?

Rimane difficile prevedere chi possa vincere le elezioni nel caso in cui Karimov decidesse di non correre per un altro mandato. Nell’elenco dei nomi potrebbero essere probabilmente incluse figure come l’attuale Primo Ministro Shavkat Mirziyoyev e il Ministro delle Finanze Rustam Azimov, a dispetto del loro continuo silenzio a riguardo. Quello che appare più evidente è che, nonostante una lieve crescita dell’opposizione e la faida familiare, il Presidente detiene ancora saldamente nelle proprie mani il controllo sugli equilibri politici interni e sarà lui stesso a guidare un’eventuale transizione. Sembrano esserci pochi dubbi sul fatto che se il leader uzbeko decidesse di presentarsi per l’ennesima volta davanti alla prova delle urne, non avrebbe molte difficoltà nel aggiudicarsi un nuovo mandato. Anche la figura di Inoyatov, nonostante le indubbie aspirazioni personali, rimarrà cruciale nei prossimi anni nel garantire un equilibrio di potere tra personaggi politici e clan regionali.

Nell’ultimo quarto di secolo il monolitico sistema politico uzbeko si è retto proprio su un delicato equilibrio di forze che, se da una parte ha ostruito la via ad ogni forma di crescita democratica, dall’altra ha garantito un certo livello di stabilità. L’opposizione è rimasta marginalizzata e attualmente le personalità che costituiscono il suo nucleo principale, come Jahangir Shosalimov, Shuhrat Rustamov e Abdullo Tojiboy-ugli, sono praticamente escluse dal panorama politico del Paese. Sembra difficile prevedere miglioramenti in tal senso. Paradossalmente, solo una crescita della contrapposizione all’interno del élite al potere e tra i clan regionali potrebbe avere un effetto positivo sull’influenza dell’opposizione nel breve periodo. Già Gulnara Karimova ha cercato di appropriarsi in maniera strumentale di queste tematiche.

Lo stesso potrebbe essere detto in riferimento al pericolo della radicalizzazione del fattore religioso. La regione centro-asiatica è rimasta fino ad ora, con le ovvie eccezioni del caso, piuttosto immune al pericolo del terrorismo di matrice islamica. In Uzbekistan in particolare l’IMU si è particolarmente indebolito a causa del pugno duro da parte del governo in seguito agli episodi di Andijan. Come ha fatto notare Malashenko, i vari movimenti islamici potrebbero però riemergere sfruttando l’instabilità causata da un eventuale lotta per il potere e facendo leva su importanti legami con il clan di Fergana. Per adesso, però, la strada appare piuttosto lineare e non prevede brusche deviazioni. Non sembrano esserci all’orizzonte personalità politiche capaci di invertire il corso delle cose. La transizione si preannuncia (poco importa se nel 2015 o negli anni successivi) come un lento passaggio di consegne. Il nuovo leader sarà probabilmente una figura intermedia che possa soddisfare le esigenze dei clan e dell’élite attualmente al potere, mantenendo costante l’equilibrio costruito da Karimov e dal suo braccio destro Inoyatov.

 * Oleksiy Bondarenko è Dottore in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’Università degli Studi di Bologna (sede di Forlì)

[1]  http://www.centrasia.ru/newsA.php?st=1395117420

[2] Алексей Малашенко, “Узбекистан: Транзит Пока Не Виден”, Московского Центра Карнеги, Май 2014 (http://www.carnegie.ru.)

[3] Richard MILNE, TeliaSonera faces US probes on Uzbekistan corruption allegations, in “Financial Times”, March 17, 2014.

[4] http://www.profi-forex.org/novosti-mira/novosti-sng/uzbekistan/entry1008201514.html

[5] http://pircenter.org/media/content/files/9/13514543190.pdf

[6] World Oil and Gas Review 2012.

[7] Farkhod TOLIPOV, What Does It Mean for Uzbekistan and China to be Strategic Partners?, in “The Central Asia-Caucasus Analyst”, November 13, 2013.

Photo credits: Atlantic Sentinel

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