A cura della Dottoressa Anna Chiara Venturini, psicologa psicoterapeuta a Roma
“Historia magistra vitae” per dirla con Cicerone prima e con Vico poi. Il viaggio che ci apprestiamo a fare oggi con questo articolo riguarda la storia, il tempo inteso come tempo personale, esperienziale; storia come storia di vita, accadimenti e insegnamenti che si traggono dal quotidiano, comportamenti mutuati dagli altri, appresi e reinterpretati alla luce dei propri canoni, della propria educazione, della propria morale e del proprio sentimento sociale. Storia maestra di vita dunque, ma con il chiaro intendo di rivelarci quei “corsi e ricorsi” che ne scandiscono i momenti; quei gesti, quelle situazioni, quelle emozioni che spesso ci troviamo a sottolineare con l’esclamazione “Ecco, è capitato di nuovo!”.
Trappole di vita o “lifetraps” come le chiama Jeffrey Young, riferendosi a modi di pensare, di sentire, di agire e di relazionarsi che si sono formati in momenti fondamentali dello sviluppo e che nel tempo si sono strutturati in vere e proprie trappole. Spesso le persone non le riconoscono limitandosi semplicemente ad identificarle con il “destino”, arrendendosi (resa) così alla possibilità di cambiare la propria vita e sovvertire gli schemi che la determinano. Tuttavia alcuni possono riconoscere la disfunzionalità della gabbia e scelgono di evitare la situazione di “innesco” (fuga), oppure tendono ad ipercompensare (contrattacco) con comportamenti nettamente opposti a quelli che in realtà sono propri dello schema ( per esempio chi ha paura di essere abbandonato può non legarsi a nessuno in modo profondo). Quello che tuttavia appare comunque chiaro è che queste gabbie non permettono di avere relazioni sociali soddisfacenti e felici poiché le persone che sono imprigionate non conoscono veramente né se stesse né gli altri. Gli schemi, infatti, si formano in occasione di esperienze precoci ( di solito durante la prima infanzia per poi rafforzarsi nel corso della vita), quando i bisogni del bambino non sono stati adeguatamente interpretati dal caregiver, ovvero dalla figura di accadimento. Il piccolo ha così dovuto gioco forza nascondere il suo vero Sé e relativo mondo emotivo, in favore di uno più accettabile per l’altro che gli garantisce così vicinanza e accudimento. Si tratta quindi di schemi maladattivi precoci, ovvero organizzazioni dell’esperienza secondo pattern relazionali, comportamentali, cognitivi ed affettivi distorti e frutto dell’incontro “malato” tra il temperamento del bambino e le sue esperienze con il caregiver.
Abbiamo dunque capito come si formano questi schemi, ma cosa fa si che continuino ad operare? Cosa li mantiene attivi?
Essendo queste trappole un modo di leggere e vivere sé gli altri e il mondo, in modo pervasivo e stabile, risultano nel tempo la bussola più attendibile per orientarsi nelle relazioni e con se stesso. Viene da sé che si tratta di una soluzione nota, familiare e quindi” comoda” e rassicurante per la persona nel momento in cui si trova a rispondere a domande del tipo “Come sono gli altri?” “Cosa voglio io?” “Come ci si muove nel mondo?”. La trappola diventa così parte di sé, una parte che si fonde con il proprio Sé e che ci dice con chiarezza chi siamo noi, chi sono gli altri e come ci si muove nel mondo e, la cosa più devastante è che, proprio per la loro “presunta veridicità”, ci si aggrappa disperatamente, anche pagando il caro prezzo del dolore.
Quali sono, dunque, queste trappole?
Diamo un veloce sguardo insieme :
1) Abbandono: si è convinti di perdere le persone che si amano ( per morte o perché ci lasciamo) e di restare soli “Ti prego non lasciarmi!”
2) Sfiducia e abuso: la persona abusata ( per abuso si intende ogni violazione dei confini personali, mentali e fisici) è costantemente in guardia. “Non mi fido di te!”
3) Deprivazione emotiva: la persona esperisce un vero e proprio deserto affettivo: solitudine e distacco, unite a senso di vuoto e frustrazione dei propri bisogni. “Non avrò mai l’amore di cui ho bisogno”
4) Esclusione sociale: ci si sente soli, isolati, esclusi, indesiderati e diversi con conseguente elevato stato di ansia “Non riesco ad inserirmi”
5) Dipendenza: si ha la sensazione di non riuscire a farcela da soli, di non saper badare a se stessi , perciò si ha costantemente bisogno dell’aiuto degli altri. “Non posso farcela da solo!”
6) Vulnerabilità: ci si sente vulnerabili, qualsiasi cosa può accadere in ogni momento ( catastrofi economiche, naturali, malattie etc..) e non si hanno le risorse per fronteggiare la situazione con conseguente picco di ansia. “Qualcosa di terribile potrebbe accadere da un momento all’altro”
7) Inadeguatezza: si avverte dentro qualcosa che non va, non ci si sente adeguati né degni di amore e si fa di tutto per tenere nascosto questo, con relativa vergogna quando invece tale convinzione emerge. “Non valgo nulla!”
8) Fallimento: ci si reputa dei falliti rispetto gli altri e, qualora si raggiungano dei buoni risultati, ci si sente degli impostori, si pensa di non meritarselo. “Mi sento un fallito!”
9) Sottomissione: ci si sente dominati da chi ci sta accanto; si compiace l’altro e lo si soddisfa incondizionatamente. La passività diventa uno strumento per avere di rimando una buona immagine di sé. “Faccio sempre come vuoi tu”
10) Standard severi: si deve sempre fare di più e fare meglio. Si deve essere i migliori in tutto quello che si fa, senza avere mai sosta, senza mai rilassarsi, con relativo stato ansioso che emerge qualora tali standard non siano stati raggiunti. “Niente va mai abbastanza bene!”
11) Pretese: gli altri vi “devono” rispetto, amore, vicinanza e se questo non si verifica provate rabbia perché ci si considera delle vittime e vi sentite frustrati. “Posso avere tutto quello che voglio!”
Una volta individuata la trappola e la sua ricorsività in particolari situazioni o con tipologie specifiche di persone, non resta altro che agire e sovvertire lo schema.
Come? Facendo riferimento a piccoli consigli, utili a perseguire la strada della realizzazione personale:
1) risvegliamo la nostra parte “vera” che è stata sepolta da anni di sottomissione, trascuratezza, imposizioni etc..; ascoltiamo quello di cui ha bisogno
2) esprimiamo i nostri bisogni e realizziamo i nostri desideri: molto spesso questo non lo abbiamo fatto perché non potevano o pensavamo di non meritarlo; ora invece dedicatevi del tempo e soprattutto pensate di meritarvelo
3) iniziate ad entrare nell’ottica del cambiamento possibile; se vogliamo possiamo cambiare, anche se questo implicherà uno sforzo enorme
4) diventiamo consapevoli delle nostre trappole e cerchiamo di attuare un cambiamento con un intento che sia costantte nel tempo. Ovviamente questo implica il lasciare il noto ed il familiare per esplorare territori personali e relazionali sconosciuti, ma se non ci butteremo “nella mischia” il cambiamento non potrà avvenire da sé. Serve il nostro aiuto
5) Iniziamo ad affrontare situazioni e condizioni che ci fanno male: sarebbe più facile mettere in atto quegli schemi che per anni ci hanno anestetizzato, ma se vogliamo vivere davvero con una nuova pelle, non dobbiamo usare scorciatoie, bensì “provare”; solo così scopriremo quello che realmente siamo e vogliamo
6) Creiamoci una visione personale, ovvero cosa vogliamo e chi desideriamo di essere. Chiedetevi cosa veramente vi rende felici, cosa vi rende unici, cosa veramente vi piace fare e soprattutto consideratevi il solo giudice di voi stessi. Solo voi sapete ciò che è bene e ciò che è invece deleterio per la vostra persona e, ovviamente nel rispetto dei diritti altrui, iniziate a coltivare un sano egoismo che vi permetta di parlare in prima persona senza provare sensi di colpa o paura di essere giudicati
Cambiare da soli non è facile, spesso c’è bisogno di un aiuto, inteso come qualcuno che vi permetta di individuare quelle trappole trasparenti che proprio per questo non si riescono a vedere ma di cui si avvertono chiaramente gli effetti negativi; qualcuno che evidenzi le ricorsività ed anche le strategie che in modo inconsapevole finiscono con il mantenere attivo lo schema; qualcuno che vi guidi verso la scoperta della vostra più profonda essenza, facendovi da specchio per le vostre potenzialità, infondendovi fiducia e consapevolezza che “ cambiare si può se si vuole davvero!”. Potete sentirvi, supportati, spronati a fare e a sentire diversamente e a toccare con mano la possibile rinascita. Solitamente questo qualcuno non può essere né un amico né un familiare per il semplice motivo che, conoscendovi da molto tempo, hanno familiarizzato con i vostri schemi ( voi siete quello che siete sempre stati e non potete essere diversamente altrimenti destabilizzereste anche loro) e finirebbero con il rinforzarli. Di solito si ricorre all’aiuto di un professionista, un terapeuta che conosca a fondo gli schemi e come agiscono, che sostenga il valore e la possibilità di cambiamento che ha la persona, fungendo da modello entro una relazione “pulita”da schemi e trappole.
Se avete letto questo articolo e vi siete sentiti chiamati in causa dal profondo, magari è necessario che prendiate in considerazione l’idea di vivere, piuttosto che di “lasciarvi vivere”, perché vi domando: “Se non sarete voi a vivere, chi lo farà al posto vostro?
Prendete dunque il mano la vostra esistenza e compiete questo primo passo verso il cambiamento dicendovi: “posso cambiare perché lo voglio davvero”
L’anno nuovo è appena iniziato e spero con questo articolo di aver instillato in voi il proposito più bello, quello di scoprire veramente chi siete e cosa vi rende davvero felici
Buon 2012 e che questo anno sia migliore di quello che vi aspettate!!
(fonti: “Reinventa la tua vita” Young e Klosko, 1993; “Full Catastrophe Living” Kabat-Zinn, 1990)