Magazine Diario personale
1992, da Lima a via d'Amelio: inizia la 'prima trattativa' Di Claudio Forleo| 02.05.2013 09:16 CEST
Il 1992 è l'ultimo anno della Prima Repubblica, o se preferite l'annozero della Seconda. Sul fronte politico i partiti che hanno governato fino al 17 febbraio (giorno dell'arresto di Mario Chiesa) vengono spazzati via dall'inchiesta Mani Pulite. Appena 3 settimane prima la sentenza della Cassazione, che ha reso definitive le condanne del maxiprocesso, ha segnato anche la fine dell'impunibilità di Cosa Nostra. Guarda immagine interaL'OMICIDIO LIMA BRUSCA: "COLPIRE POLITICAMENTE ANDREOTTI" Le promesse arrivate dagli 'amici' politici che, ancora una volta giudici compiacenti e manovre di Palazzo avrebbero salvato la Cupola, vengono disattese. La reazione dei Corleonesi è immediata, nello 'stile' sanguinario che li ha resi famosi. Il 12 marzo 1992 viene ucciso Salvo Lima, mammasantissima della Dc in Sicilia fin dagli anni Sessanta. Lima è un 'chiacchierato' da almeno vent'anni, prima nella corrente 'fanfaniana' del partito, poi in quella andreottiana (Primavera) assieme ad un certo Vito Ciancimino. Chi fosse Lima nel 1992 (e a chi fosse legato) era chiaro. Pio La Torre (assassinato nel 1982) lo tira in ballo svariate volte in una relazione di minoranza della Commissione Parlamentare Antimafia del 1976. Quando nel 1974 il ministro del Bilancio Giulio Andreotti lo nomina sottosegretario, l'economista Paolo Sylos Labini si dimette dal comitato scientifico del dicastero. Di Lima si parlerà durante il processo Andreotti, come legato a doppio filo con il costruttore Francesco Vassallo, che il Centro di Documentazione Giuseppe Impastato descrive come il modello di mafioso-imprenditore degli anni '50 e '60, quelli del sacco di Palermo, la grande speculazione edilizia che ha deturpato il volto della città. Secondo quanto recentemente dichiarato dal pentito Giovanni Brusca (colui che azionò il dispositivo di Capaci) Lima venne ucciso per 'colpire politicamente Andreotti', anche in vista delle Elezioni Politiche dell' aprile 1992. 16 MARZO 1992, LA NOTA DEL CAPO DELLA POLIZIA: "IN ARRIVO CAMPAGNA TERRORISTICA" Quando viene assassinato Lima, la politica non ci mette molto a fare uno più uno. Anche perchè, appena quattro giorni dopo l'agguato (il 16 marzo 1992), il capo della Polizia Vincenzo Parisi invia un documento al Ministero dell'Interno, girato a prefetti, questori, al direttore della Dia e ai numeri uno dei servizi segreti civile e militare."Nel periodo marzo luglio corrente anno, campagna terroristica con omicidi esponenti Dc, Psi et Pds, nonchè sequestro et omicidio futuro presidente della Repubblica. Quadro strategia comprendente anche episodi stragisti". Vengono fatti i nomi di alcuni esponenti politici nel mirino di Cosa Nostra: tra questi Calogero Mannino, Carlo Vizzini e il "futuro Presidente" Giulio Andreotti. Due ministri e il simbolo della prima Repubblica. Cosa hanno in comune con Lima? Saranno tutti accusati e/o processati per i loro rapporti con Cosa Nostra. Andreotti prescitto ma colpevole fino alla primavera del 1980, Mannino (oggi imputato nell'ambito del processo sulla Trattativa, ha chiesto il rito abbreviato) è stato assolto in Cassazione dopo una condanna in Appello per l'accusa di concorso esterno. Vizzini (prescritto durante Tangentopoli, processo Enimont) viene tirato in ballo da Massimo Ciancimino (figlio di don Vito) come destinatario di una tangente e iscritto nel registro degli indagati. LA 'PRIMA TRATTATIVA' E LA STRAGE DI CAPACI 96 ore dopo l'omicidio Lima scatta l'allarme e il capo della Polizia parla già di strategia stragista, due mesi prima dell'attentato in stile colombiano di Capaci. Impressiona anche la precisione del periodo di riferimento: marzo-luglio. Che cosa succede dall'invio di quel documento a tutti i prefetti d'Italia fino alla strage di Capaci? Secondo la Procura di Palermo inizia la 'prima trattativa', quella in cui i politici finiti nel mirino provano a 'salvarsi la vita'. L'input, secondo le accuse, arriverebbe da Calogero Mannino, uno degli obiettivi sulla lista di Cosa Nostra. Tra marzo e maggio nessun politico verrà preso di mira. L'attenzione di Riina e soci si sposta sul simbolo del maxiprocesso, Giovanni Falcone. Il 22 maggio 1992 il magistrato è ormai certo di essere il primo 'capo' della Procura Nazionale Antimafia, una 'sua creatura'. Il giorno dopo rientra in Sicilia da Roma assieme alla moglie Francesca Morvillo e agli uomini della scorta. Alle 17.58 all'altezza dello svincolo di Capaci, sulla strada che lo porta da Punta Raisi a Palermo, 500 chili di tritolo uccidono lui, la moglie e tre agenti della scorta:Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. E' un attentato volutamente spettacolare, che sconvolge l'intero Paese: una strage che puzza di terrorismo. Nel libro Cose di Cosa Nostra scritto con Marcelle Padovani, Falcone utilizza parole che lette alla luce di quanto accadrà pochi mesi dopo, suonano profetiche:"Si muore generalmente perchè si è soli o perchè si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perchè non si dispone delle necessarie alleanze, perchè si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere". Due giorni dopo Capaci il Parlamento elegge Oscar Luigi Scalfaro alla Presidenza della Repubblica. Giulio Andreotti rinuncia al sogno di sempre: prima Lima, poi Capaci vengono interpretati come un messaggio diretto al Divo, che sa leggere tra le righe. PAOLO BORSELLINO: "HO VISTO LA MAFIA IN DIRETTA". IL ROS INCONTRA VITO CIANCIMINO Nel dicembre del 1991 Paolo Borsellino era tornato in servizio a Palermo come procuratore aggiunto, dopo cinque anni trascorsi a Marsala. Nei 57 giorni successivi alla strage di Capaci, lavorerà come un forsennato per capire chi e perchè l'aveva resa possibile. Ed è in quei 57 giorni che viene a conoscenza di qualcosa che decreta la sua condanna a morte. Il 29 maggio su un volo Palermo-Roma il capitano del Ros dei Carabinieri Giuseppe De Donno ha un primo contatto con Massimo Ciancimino. Ha ricevuto un compito dal colonnello Mario Mori (entrambi imputati nel processo sulla trattativa), che nella versione ufficiale è quello di 'cercare contatti all'interno di Cosa Nostra per mettere le forze dell'ordine sulle tracce di Riina e Provenzano'. De Donno chiede a Ciancimino un incontro con il padre Vito. Vito Ciancimino è un mafioso doc, legato all'ala dei Corleonesi, protagonista indiscusso del sacco di Palermo (come sindaco e assessore ai Lavori Pubblici), già nella corrente andreottiana della Dc, vicino a Salvo Lima e uomo di fiducia di Bernardo Provenzano, di cui apprezza la strategia di 'basso profilo' (quella che Cosa Nostra adotterà dal 1994 in poi) rispetto al sangue fatto scorrere dall'impulsivo Totò Riina. L'incontro Ciancimino - De Donno (secondo quanto riferito ai magistrati dal figlio Massimo) avviene la prima settimana di giugno a Roma, nei pressi di piazza di Spagna. Due settimane dopo don Vito incontra, sempre nella Capitale, anche il generale Mario Mori. Il 23 giugno (secondo quanto riferito nel 2009 da Claudio Martelli, all'epoca dei fatti ministro della Giustizia), Giuseppe De Donno incontra Liliana Ferraro, alla guida degli Affari Penali del dicastero di via Arenula e già collaboratrice di Falcone nel periodo in cui era lui a dirigere quell'ufficio. De Donno riferisce alla Ferraro che Ciancimino vuole 'collaborare' in cambio di garanzie. Secondo Martelli la Ferraro mette al corrente Paolo Borsellino delle manovre del Ros. Due giorni dopo (il 25 giugno) Borsellino vede Mori e De Donno in una caserma dei Carabinieri a Palermo. Quella stessa sera in un incontro organizzato da MicroMega nella bibloteca del capoluogo siciliano,Borsellino dichiara di attendere una convocazione da Caltanissetta (deputata a indagare su Capaci), allo scopo di fornire agli inquirenti "tutti gli elementi" di cui è a conoscenza sulla strage. Convocazione che non arriverà mai. Secondo quanto dichiarato da Massimo Ciancimino, è in quei giorni che don Vito consegna al Ros il papello (ne parleremo più approfonditamente in uno dei prossimi articoli), le richieste di Cosa Nostra per porre fine alla strategia terroristico-mafiosa. Il 1° luglio 1992 Borsellino sta interrogando il nuovo pentito Gaspare Mutolo, che gli racconta delle coperture istituzionali di Cosa Nostra. L'interrogatorio viene interrotto: Borsellino viene convocato per un incontro con il neo-ministro dell'Interno Nicola Mancino (imputato per falsa testimonianza nel processo sulla trattativa, indicato da Brusca come il referente istituzionale della stessa). Quando torna da Mutolo, il pentito descriverà il magistrato come molto nervoso, intento a fumare "due sigarette alla volta". Da Mancino Borsellino avrebbe incrociato ancheBruno Contrada, numero 2 del Sisde (che verrà condannato a dieci anni per concorso esterno in associazione mafiosa), a cui Mutolo aveva fatto riferimento poco prima durante l'interrogatorio. Borsellino annota l'incontro con Mancino sulla sua 'agenda grigia', ma il futuro vicepresidente del Csm si ostina a negarlo per oltre 15 anni. Interrogato dalla Procura di Palermo ha poi cambiato versione, arrivando a sostenere di non ricordare un incontro con quello che nel 1992 era il magistrato più famoso d'Italia. Il 15 luglio, secondo quanto riferito dalla moglie Agnese ai magistrati di Caltanissetta, Paolo Borsellino le confida: "Ho visto la mafia in diretta. Ho saputo che Antonio Subranni (numero uno del Ros, ndr) è punciuto (affiliato a Cosa Nostra, ndr)". Nello stesso periodo Luciano Violante, al tempo presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, viene informato da Mori che Vito Ciancimino vuole parlare con lui. Violante rifiuta tre volte l'incontro, sostenendo che (se vuole) Ciancimino può chiedere un'audizione in Commissione: racconterà la vicenda ai magistrati solo nel 2009. Il 19 luglio Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta (Emanuela Loi, Walter Eddie Cosina, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina) vengono uccisi in via Mariano D'Amelio a Palermo. La bomba era stata caricata su una Fiat 126, parcheggiata davanti casa della madre del magistrato. Per settimane la scorta aveva chiesto che in quella strada, ritenuta estremamente pericolosa, venisse installata una zona rimozione. Due mesi dopo Capaci tocca a Borsellino. Ma lo Stato tramite il Ros aveva già rispolverato un canale di comunicazione con la Cupola, perchè allora un nuovo eccidio? Forse perchè Borsellino, venuto a conoscenza dell'iniziativa portata avanti da Mori e De Donno (per conto di chi?) aveva lasciato intendere di non volere accettare compromessi, trattative o affini con chi si era reso responsabile di Capaci? "Credo che la morte di Borsellino, ancora oggi, sia qualcosa di inconfessabile" ha dichiarato il gup Morosini al Fatto Quotidiano, due giorni dopo aver decretato il rinvio a giudizio dei dieci imputati nel processo sulla trattativa che inizierà il 27 maggio. Il processo su Via D'Amelio vedrà mettere in piedi un depistaggio, con falsi pentiti che si autoaccuseranno dell'eccidio. Solo con le rivelazioni di Gaspare Spatuzza è stato possibile aprire un nuovo procedimento, attualmente in corso a Caltanissetta. (Sui dettagli dei 57 giorni intercorsi tra Capaci e via d'Amelio, rimandiamo al prossimo articolo, in uscita il 4 maggio) International Business Times non riceve alcun finanziamento pubblico.
Read more: http://it.ibtimes.com/articles/47608/20130502/trattativa-stato-mafia-1992-lima-capaci-falcone-via-d-amelio-borsellino-ciancimino-ros.htm#ixzz3HWn4xKHI
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Come può una Nazione, uno Stato dover scendere a patti con una organizzazione criminale? Come può essere possibile che uno Stato, una Nazione non abbia i mezzi per combattere una organizzazione criminale? Può tale organizzazione avere più mezzi di uno Stato, di una Nazione che ha un Esercito, Aeronautica Militare, il Corpo Militare dei Carabinieri, Guardia di Finanza, Corpo Forestale, Pubblica Sicurezza? Può uno Stato, una Nazione dire al Popolo, attraverso la voce delle sue Istituzioni, che trattare con la Mafia era necessario per evitare che mettessero bombe uccidendo anche bambini come è accaduto? No, non è possibile né ammissibile perché lo Stato ha mezzi potenti che la Mafia, pur avendo ricchezza per corrompere e comprare, non ha: basti pensare al Servizio Segreto. Dunque la conclusione di questa riflessione è inevitabile: può se elementi di detto Stato, di detta Nazione, sono collusi con essa.
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