La data del mio viaggio di metà inverno si sta avvicinando. Fino a qualche giorno fa non mi sono concessa il lusso di pensarci, adesso però, complice la stanchezza che si accumula e l’irrequietezza che mi scorre nelle vene, comincio a sentire la voglia di partire, di cambiare cielo, clima e orizzonte, di ascoltare una lingua diversa che pure mi suona naturale, di farmi scaldare dal sole, di passare sotto pietre antiche e sabbie moderne. E di trovarmi un’amaca in cui pisolare. E’ da qualche anno che non mi concedo il lusso di due settimane di ferie fuori stagione: stavolta non ho resistito all’impulso.
La lista delle cose da infilare in borsa è già pronta: viaggerò con il solo bagaglio a mano e mi sentirò molto minimalista. Devo ancora risolvere alcuni problemi logistici. Va bene che vado al caldo e con un paio di magliette là me la cavo ma che faccio quando parto e ritorno? Sto studiando, in un piccolo riservato spazio di pensieri, che si occupa in tempo mascherato di ragionare su queste faccende di lana caprina, un complicato sistema di abbigliamento a strati, che sia in grado di farmi resistere, in caso di ritardi, qualche ora all’aperto sulle fredde banchine delle stazioni e che, nello stesso tempo, non mi occupi troppo spazio in valigia.
I miei due compagni di viaggio hanno scommesso che non resisterò agli impulsi dello shopping etnico e che mercanteggerò posto nei loro zaini. Posto che dovrò pagare a carissimo prezzo, suppliche e lusinghe: già pregustano la scena. Io parto tranquilla: vorrei un paio di animaletti di legno da aggiungere alla mia collezione, di quelli piccoli, da pochi pesos, che si infilano in una tasca e poi mi guarderanno colorati dalle mensole della libreria al mattino.
Altro non mi serve e non verrà a casa con me.Questo dice la parte di me che ha raggiunto lo zen. Quella che invece non c’ è ancora arrivata, infilerà di nascosto nel borsone una borsina comprimibile, per ogni evenienza. Insomma, ci ho fatto stare tre trapunte guatemalteche, tre maschere di legno e una decina di sciarpine in un 40 litri, a suon di incastri, qualche anno fa: un ingegnere (donna) un modo lo trova sempre.
La prima settimana di viaggio è stata organizzata, grazie alle dita lunghe di internet che si infiltra dappertutto e ad email in sgangherato spagnolo. Per la seconda io e un messicano pescato in rete ci stiamo lavorando, con moltissima calma: lui lancia proposte all-inclusive da turista americano, noi a furia di limate da turisti indipendenti riduciamo all’essenziale. Finirà che ci arrangeremo in loco, tanto andrà bene comunque.
La cosa più difficile resta la scelta del libro da portare con me. Anzi no. Lo porto o non lo porto un libro di carta? Sono tentata da un titolo serio, un Von Hagen o un Ceram, sulla civiltà Maya, che mi faccia da guida ma, alla fine, credo che lo lascerò a casa. O troverò il tempo di ripassare prima di partire o lo farò al ritorno, per prolungare i ricordi.
Andrò a scrocco dei libri degli altri: quando viaggiamo insieme di solito li devono tenere nascosti perché, una volta finite le mie riserve, sfodero occhi supplici nelle sale d’attesa tra un bus e l’altro o me ne impadronisco quando si alzano per andare in bagno. E qui subentra l’altro problema: uno dei miei due compagni può darsi sceglierà qualcosa di leggibile, l’altro di sicuro una colossale schifezza. L’argomento è materia di lunghi battibecchi tra me e lui. E’ uno dei miei più cari amici ed è una persona a cui è difficile non voler bene ma, come tutti noi, ha qualche convinzione talmente ben radicata che è impossibile estirpargli dalla testa. Bisogna che intervenga o anche stavolta, in astinenza, mi toccherà leggere il solito Dean Koontz o qualcosa di molto peggio.
Egli, serio professionista laureato, sostiene che i libri devono essere letti solo per divertimento. “Non mi interessa leggere quello che gli altri scrivono né condividere le loro convinzioni ” dice quando ne parliamo ” le cose mi piacciono o non mi piacciono in funzione del mio gusto e non di quello degli altri e la vita è già abbastanza difficile senza bisogno di leggere mattoni”.
La parte che mi infastidisce, in tutto questo ragionamento, è che il soggetto è tutt’altro che stupido e quello che non riesco a fargli capire, da lettrice onnivora, che spazia dalle peggiori schifezze a titoli degni dei sacri recinti del Parnaso, è che è un peccato perdersi determinati libri, anche solo per sapere se qualcuno ha percorso i nostri stessi sentieri mentali, o altri, molto più interessanti, o che ha formulato teorie di vita che ci aiutino a meglio definire le nostre. O per il semplice piacere di sentire la musica delle parole che risuona potente da certe pagine.
Questa sera uno dei due, quello che potrebbe scegliere un libro interessante, compie gli anni e ha organizzato una cena tra amici: per evitare di uscire, ho proposto di radunarci a casa mia. Io ci metto il tavolo, lui la pizza. Ha fortunatamente impiegato tre secondi ad accettare. “Che tristezza, che vecchi che siete”, mi ha detto il canticchiatore di Jingle Bells mentre confrontavamo i piani per il fine settimana. Ha qualche anno in meno di me, qualche quintale di estroversione ed è l’anima delle feste. Io invece accenderò il camino in taverna e mi preparerò, in jeans, felpa, scarpe da ginnastica e truccata di sola crema idratante, all’allegra invasione di una decina di vecchie persone. Tovaglia, bicchieri e apribottiglie li garantisco, il resto sarà completamente informale: il cartone da asporto farà da piatto e poi finirà sul fuoco, insieme ai tovaglioli di carta. L’importante è riuscire a vedersi, almeno una volta ogni tanto, e trascorrere qualche ora a parlare di tutto e di niente e a riannodare i fili.
Ho già deciso che per questo viaggio riempirò l’iphone (dispositivo di lettura molto minimal-cool ma di una scomodità inaudita) di molti più e-books di quanto sia logico infilarci e nella più totale democrazia di genere. Qualche giorno fa emmecarla mi chiedeva in un suo commento ad un post quale fosse il romanzo di bassa levatura che avevo appena concluso. Le ho risposto: scegli tu, dato che probabilmente l’ho letto. Ci sono poche cose che non leggo a priori – che sono esattamente quelle che legge il mio amico di cui sopra – e ho buttato ore a perdermi in pagine considerate da molti indegne di entrare a far parte della letteratura e tante altre temo ne sprecherò ancora, con grandi soddisfazioni. Leggo di tutto però, dentro di me, so che esistono dei livelli diversi di meraviglia e che la pelle d’oca è rara e preziosa, davanti a quei capolavori per i quali mi viene da pensare, anche solo per un istante, che la perfezione possa essere dell’uomo.
Di sicuro uno dei libri che ci caricherò sarà “Il serpente dei Maya”, per un’infantile questione di puntiglio. La prof. di inglese, nell’ultima lezione, si stava quasi scusando, mentre confessava di averlo letto, un Clive Cussler light, what a shame, e dal banco di destra qualcuno ha scherzato: non è il tuo genere. Si, figuriamoci. Ho riletto Enigma tre volte. Non è ammissibile che questo me lo sia perso.
E così, questa sera, dopo che avranno fatto saltare qualche tappo – io non bevo, rimango lucida e in presa- sfodererò la psicologia per procurarmi due libri di carta nel bagaglio altrui. Il minimalista saggio è colui che si circonda di gente che minimalista non è.
Se riesco a lavorare di fino, potrebbero anche essere titoli che non ho ancora avuto il tempo di leggere. Qualche suggerimento?