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tre libri

Creato il 16 luglio 2013 da Gaia

Ogni tanto, per guadagnare qualcosa, vado a vendere biglietti allo stadio. Qualche mese fa ci è capitato, a partita iniziata, un tizio che aveva già comprato un biglietto ma non aveva voglia di perdere altro tempo facendo tutto il giro dello stadio. Quindi ne ha comprato un altro più vicino (i biglietti per le partite costano almeno qualche decina di euro, spesso vanno oltre i cento), e ce l’ha pagato con una banconota da cinquecento euro. Due ragazze che lavoravano con me non ne vedono tanto spesso, quindi si sono fatte fotografare con in mano il cinquecentone viola che il signore ci aveva lasciato con tanta leggerezza.
Mi sembrava una buona introduzione all’argomento di questo post.

Ho letto, negli ultimi mesi, ben tre libri sulla disuguaglianza in Italia. In questo post dirò qualcosa di tutti e tre, sperando di far venire voglia non necessariamente di leggerli, anche se possono meritare, ma sicuramente di interessarsi all’argomento in maniera costante.

Il primo è di Maurizio Franzini, docente alla Sapienza, e si intitola Ricchi e Poveri: l’Italia e le disuguaglianze (in)accettabili. È uscito nel 2010. Ne avevo già parlato qui, e rileggendo il post mi accorgo di aver già segnalato le questioni principali affrontate dall’autore (il merito, l’ereditarietà della ricchezza, la mancanza di richieste di uguaglianza da parte di chi è svantaggiato da questo sistema…). Con molto rigore e brevità al tempo stesso l’autore presenta i dati, prende in considerazione varie spiegazioni e indica le più credibili. Un buon testo se vi interessa l’argomento.

Ricchi e poveri (ancora), scritto dalla giornalista Nunzia Penelope, è uscito nel 2012. Non saprei se consigliarvelo o no, perché è pieno di difetti e nel complesso piuttosto sciatto. Mancano le fonti per molti dei dati che sciorina, e per un libro la cui forza dovrebbero essere i numeri, questo è grave. Molte affermazioni sono superficiali al limite dell’offensivo (come la parte sulla decrescita o sulla salute misurata in altezza), e a forza di dati, denunce e lamentele su ogni cosa il libro non riesce a dare un messaggio chiaro e coerente. Inoltre, c’è il problema dell’impostazione di fondo, che definirei assolutamente dominante nel dibattito economico, per cui gli italiani hanno il diritto sacrosanto ai livelli di consumo pre-crisi, o più.
Nonostante questo, il libro è stata una lettura interessante, perché getta luce sulle abissali diseguaglianze presenti in Italia, che ancora, nonostante tutto, non suscitano l’indignazione che dovrebbero. Ha anche il merito di descrivere in pratica cosa significa che qualcuno abbia soldi e qualcun altro non ne abbia: ville vuote da un lato, non riuscire a pagare un misero mutuo dall’altro; vacanze in jet privati di qua, neanche un lettino in spiaggia di là. Una parte che ho trovato illuminante è quella sui tecnici del governo Monti: la maggior parte era talmente ricca di suo che a fare il ministro, in quanto a stipendio, ci ha perso. Questo per capire dove sta veramente la ricchezza nel paese.
Se volete vedere cosa significa essere ricchi, e farvi almeno qualche idea su come lo siano diventati, questo libro può essere un buon esempio. Serve anche a capire che le risorse per far fronte alle difficoltà attuali ci sono eccome – basta volerle prendere. È interessante il continuo contrasto tra i lussi dei ricchi (come avere tante seconde case in luoghi di vacanza ma solo per risparmiarsi la fatica di fare la valigia) e le difficoltà dei poveri italiani – come un operaio della Fiat che lavora, mica si parla solo di disoccupati.

Infine ho letto, per ultimo, Chi troppo e chi niente di Emanuele Ferragina, giovane calabrese che insegna a Oxford (e si vede: ogni volta che leggevo comparare, supportare o assumere – anziché paragonare, sostenere o presumere – mi si rizzavano i capelli e dovevo deglutire per andare avanti). Ho trovato ammirevole la spinta idealistica a contribuire al dibattito nel suo paese pur da lontano, e a proporre soluzioni concrete. Interessante la parte sugli ordini professionali, ancor di più quella sulle pensioni: costituiscono una parte assolutamente sproporzionata della spesa sociale, rispetto anche agli altri paesi europei, privilegiano chi ha iniziato a lavorare prima del 1978 a grande discapito di chi è arrivato dopo, e sono assolutamente inique: per due milioni di pensionati che prendono oltre i 2000 euro al mese spendiamo quanto per dodici milioni di pensionati che prendono meno di mille. La mia idea, che non è quella dell’autore, è che non dovrebbero esserci contributi versati e una persona che non lavora dovrebbe essere uguale a un’altra per trattamento economico, salvo quanto risparmiato individualmente. Comunque, anche se i dati forniti dall’autore a questo proposito non sono chiarissimi, viene detto che chi riscuote le pensioni più alte ha contribuito ‘la metà’ di quello che prende. Questo ‘la metà’ è vergognosamente impreciso, d’altronde però è chiaro che per prendere l’80% del vecchio stipendio non puoi, è ovvio, aver mentre lavoravi pagato l’80% di contributi. Si è speso troppo e adesso ne paghiamo le conseguenze con un debito pubblico folle e ingiustizie intergenerazionali. Mi è piaciuto anche sentir dire, finalmente, che l’articolo 18 è una parte abbastanza irrilevante, a conti fatti, del mondo del lavoro in Italia, sia per i lavoratori, che in gran parte non ne vengono tutelati comunque, sia per chi assume – e che quindi è ora di parlare dei veri problemi. Bravo! Anche la parte sul Meridione è interessante, ma secondo me molto superficiale. In generale in tutto il libro, non me ne voglia l’autore, vengono fatte affermazioni nette e sbrigative su temi controversi e giustificate con semplici passaggi logici o rimandi ad altri testi. Ci vorrebbe di più per convincere davvero il lettore. Non faccio esempi perché comunque io tendo ad essere d’accordo con l’autore in molti di questi casi, però mi immagino un lettore più scettico che non si accontenta, e fa bene. Anch’io in realtà ho trovato da ridire, non quando Ferragina chiede più uguaglianza ma quando dà per scontate cose che contrastano con la mia visione del mondo. Alcuni esempi: perché incentivare le persone a possedere la casa è peggio che incentivare gli affitti? Ma soprattutto: perché, buon Dio, perché????, bisogna incentivare la natalità in Italia? (vedere i miei post ossessivi sull’argomento). Perché il part-time è peggio di un tempo pieno? Perché viene scritto che i laureati sono i lavoratori più qualificati? Saprebbe Emanuele Ferragina montare un quadro elettrico o fabbricare un abito? Non sono qualifiche quelle?
E soprattuttissimo, e questo vale per tutti e tre i libri: basta con questa storia del rilancio dei consumi e della crescita economica. Non è fisicamente possibile! Come italiani consumiamo, anche in tempi di crisi, molto di più di quello che dovremmo, stiamo mangiando nel piatto dei paesi poveri! Le risorse non sono infinite e le stiamo esaurendo!!
Economisti, giornalisti, giovani ben intenzionati: SVEGLIA!!!
Scusate, so che scrivere in maiuscolo è come urlare, quindi maleducato. Ma sentir ripetere da chi si propone di svecchiare il dibattito le stesse storie trite e false è molto frustrante. Apprezzo comunque molto lo sforzo di questi tre autori di aprire finalmente un dibattito collettivo sulle enormi diseguaglianze nel nostro paese. Se ci fate caso, la questione è completamente ignorata da questo governo e dai media. Ben vengano i contributi, scritti anche con molto impegno, per indicare problemi, conseguenze e soluzioni. Vorrei solo che si allargasse il campo, perché continuare a parlare di Italia come se il resto del mondo non esistesse, se non per farci vedere che si può consumare ancora di più, non è solo ignorante ma anche pericoloso. E non mi si dica che lo stato del mondo è fuori tema: il tema è questo. Non siamo in un regime di autarchia, quindi il rapporto con le risorse non solo nostre ma anche mondiali e con i diritti dei lavoratori altrove è fondamentale in qualsiasi discorso economico.


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