Magazine Rugby
Tutto questo perché, come è successo, dove nasce? E' liquidabile semplicisticamtente come fa Planet Rugby con un "Wallabies below par" o ci hanno messo anche gli Azzurri qualcosa? E questo qualcosa è solo deludente, da mordersi le mani o valutare con freddo distacco e "cinture allacciate", o c'è anche dell'altro?
Partiamo dalla fine.
- Orquera centra i pali ... quasi
Nel finale del secondo tempo gli Azzurri hanno in mano il pari: sotto di tre punti, han da tempo - da praticamente tutta la frazione aperta con la meta di Barbieri - messo su la musica che sanno suonare, le testate di percussione con valido sostegno; con una importante novità rispetto al primo tempo e a tante altre partite: niente errori (in avanti, sealing off, calci senza tempismo in bocca ai trequarti avversari etc.etc.). Altra decisiva novità, le "controtestate" dei Wallabies vengono rette e respinte regolarmente al mittente.
La musica passa da andante con brio a allegro al 78': in un colpo solo, ci troviamo in 15 contro 14 - il giallo a Ioane per il placcaggio da cornerback su Favaro - e con una punizione piazzabilissima: abbastanza centrale da 40-45 metri, tanto che si decide all'unanimità di provare a piazzare per il pareggio invece di tentare nuovamente la sorte con la rimessa laterale: Orquera ha senz'altro piazzato ben di peggio. E' la storica occasione del primo pareggio con una nel podio del ranking mondiale.
Roba da far tremare i polsi, e infatti ad Orquera tremano le ginocchia: il calcio gli esce lievemente sbananato, l'ovale sfiora il palo di destra ma sul lato esterno. Come l'altro italo argentino Alberto Di Bernardo la sera prima aveva fallito il piazzato della vittoria su Ulster: sic transit gloria mundi.
Michael Jordan ammoniva che un campione non è chi segna di più ma chi marca i canestri che "pesano". Infatti questo è stato l'unico errore in giornata di Luciano Orquera, onesto lavoratore dell'ovale e autore della miglior partita che abbia mai giocato in nazionale, non solo per i cinque centri su sei dalla piazzola ma anche per coraggio, iniziativa, scatto, fantasia, autorevolezza man mano che il tempo passava, sino a divenire autentico deus IN - non ex - machina di gran parte degli attacchi Azzurri. Se non emergeva un Minto straordinario sia in percussione che come fetcher in difesa (ecco perché Favaro poteva stare in panchina, avevamo in campo "l'arma segreta"), la nostra apertura avrebbe meritato il Man of the Match (dato che si assegna prima del 78'). Invece, niente: l'italo argentino non passerà alla storia come Stephen Donald o, più in piccolo, come Marcato col drop della vittoria sulla Scozia nel 2008 o Mirco Bergamasco coi due piazzati contro la Francia nel 2011.
- Primo tempo
Personalmente ho intravisto due nette "cesure", due momenti topici nella prima parte. Entrambi riguardanti la mischia ordinata, che a questi livelli e soprattutto per chi è costretto ad affidarvisi quasi messianicamente come noi italiani, rappresenta un elemento psicologico fondamentale.
Premessa: fin dai primi minuti di gioco, gli Azzurri si trovano di fronte l'Australia di Robbie Deans: un team sfortunato (la quantità spaziale di indisponibili per infortunio), ricco di classe e ondivago, capace di tutto: del meglio (unica squadra ad aver fermato gli All Blacks) come del peggio; rispetto alle Australie storiche più performanti dei Campese, Lynagh, Larkham etc. si contraddistingue per esser più prevedibile in attacco ma dotata di una ferocia assoluta nei punti di incontro. Altro che All Blacks che si tirano indietro e attendono l'errore, i nostri trovano pan per i loro denti quando eseguono lo spartito bruneliano alla Cadorna: caricare le trincee nemiche costi quel che costi.
Sharpe, Higginbotham, Timani e Palu ci mettono il fisico, Hooper la classe del grillotalpa specializzato di scuola Pocock. I nostri insistono ma iniziano a sbandare presto, lo capisci dai calci di Gori e Orquera che non sono up&under o tattica ma di veri e propri punt di liberazione.
Fatta questa premessa di scenario - è chiaro a tutti che sarà tosta - arriviamo al primo momento topico della gara. Poco dopo il decimo minuto c'è una mischia a introduzione Azzurra, la seconda della partita mi pare, che viene vinta dai nostri "half arm" cioè con punizione "di seconda". Gli sciagurati indottrinati a tenere il possesso, chiamano nuovamente la mischia. Mal glie ne incoglie: la prima linea Azzurra si prende una bella arrotolata di canottiere da Ben Alexander e Robinson, Stephen Moore in mezzo, Sharpe e Timani dietro, tanto da perdere l'introduzione. Poi l'azione australiana sfuma ma lo schiaffo in faccia ai Castrogiovanni, LoCicero e Ghiraldini è di quelli così pesi che ne risente palesemente il morale di tutti gli Azzurri: ehhh annamo bbene, e questo sarebbe il nostro punto di forza?!
E' il primo inflection point della partita a giudizio di chi scrive. Gli Azzurri si vedono con le budella in mano (scusate la traduzione letterale da altra lengua ma il modo di dire esprime bene il concetto, credo), sbandano vistosamente e ai già pesanti colpi subiti nei punti di incontro, aggiungono caterve di errori apparentemente gratuiti, nella realtà mentali, da sottomessi fisicamente e psicologicamente.
Andiamo alla misura di quel che dico: nel quarto d'ora tra 15' al 30' concediamo 19 punti unanswered, più di uno al minuto e il punteggio passa da tre pari a 3-22. In questo quarto d'ora di depressione Azzurra i Wallabies segnano tutti i loro punti, primi tre a parte.
Vogliamo parlare della meta di Cummins al 18'? No lasciamo stare: palla persa dagli Azzurri in attacco, scrambling difensivo affannoso e bucherellato, Orquera che non arriva a coprire l'ala (la nostra apertura in fase difensiva scivola estremo) ed è meglio per lui, altrimenti gli faceva male.
Si procede tra errori ed orrori azzurri - Parisse che perde palla in avanti con gli avversari lontani trenta metri, Barbieri che mette la manina e si fa giallare - e tra infortuni da partita durissima sul breakdown: prima tocca a LoCicero lasciare, poi il mediano Sheehan, infine al 37' anche Benn Robinson.
Ecco, siamo al secondo inflection point a mio avviso: la differenza abissale tra "prime prime linee" e "seconde prime linee" Wallabies è evidente e profonda, con Slipper in campo è tutt'altra musica per Castro, Ghira e il subentrato Rizzo - ottima la sua partita, oltre che in mischia da inedito ball carrier. I nostri si rincuorano e riprendono animo (altro che appelli all' "anima azzurra" delle dichiarazioni ufficiali, era l'animo quel che serviva oggi ai nostri); significativi gli sberleffi e buffetti con cui si "liberano" alle prime mischie rivinte con facilità. Già lì si poteva capire che nonostante gli Azzurri fossero in 14, la partita era in discesa. A patto di smetterla di fare errori, e riprendere un minimo di controllo della rimessa laterale, dove svettava Higginbotham anche su nostro lancio.
- Secondo tempo
La seconda frazione è quindi iniziata al 37' con l'uscita di Robinson, è la mia tesi, e si è perfezionata con il rientro di Barbieri. Il quale festeggia marcando meta, è il segno dell'inversione del momentum della gara. Ripetiamo, i numeri sono importanti: gli Aussie non marcheranno più un solo punto, peggio, non avranno più opportunità di farlo se non negli ultimi istanti, in cui per un pelo non abbiamo assistito alla beffa di una meta finale; lì l'intelligente Berrick Barnes comprende che questa partita è giusto termini in modo umiliante per i Wallabies e calcia l'ovale in tribuna appena il tempo scade.
C'è poco da dire d'altro perché nulla riesce a mutare l'inerzia della gara: non i cambi, azzeccati per una volta quelli italiani con Cittadini, Favaro, Giazzon stesso che si dà da fare, Pavanello che riassesta anche la rimessa laterale.
Note un po' stonate in un secondo tempo da incorniciare per quel che passa il convento - ribadisco il parziale: 13-0 all'Australia, scusate se è poco - sono l'infortunio a un Mirco Bergamasco che finalmente non ha tentato offload arditi, rimpiazzato da un McLean un po' sfavato (forse ci teneva particolarmente a giocare dall'inizio contro i suoi connazionali veri); The Rock Zanni sostituito da Vosavai che fa bene un paio di sfondamenti ma perde a mo' di saponetta una decisiva rimessa laterale a pochi passi dalla meta australiana. Anche Botes entra al posto di Gori ma nessuno se n'accorge: intanto la leadership della squadra se l'era presa come detto Orquera che dettava tempi e modi dell'attacco come raccomandato da Brunel (a Gori). Ah, altro aspetto stonato, l'unico a non recuperare pienamente tutte le proprie facoltà è capitan Parisse: sfortunato nel finale, quando un calcetto delizioso di Orquera gli rimbalza "strano" (lo fan sempre le palle ovali, lo dice anche la pubblicità Adidas) e si fa sfuggire l'opportunità di una meta storica.
- Altalenanti Aussie, Giano Azzurro
Cosa fa la mente! Gli Azzurri rasserenati dal fortunato ritrovare l'ancoraggio in mischia ordinata dopo il 37', mostrano ai Wallabies di non temerli sui punti d'incontro; questi a loro volta, perso lì e nelle fasi statiche il possesso che è per loro come il sangue per i vampiri, si son trovati stretti nell'assedio e sul piede arretrante. Solo la pochezza dei nostri trequarti ha impedito di marcare un'altra meta, unita ai soliti immancabili errorini degli avanti nei momenti topici (abbiamo detto di Vosawai). Ma ci sta; di più, la chiara opportunità del pareggio era lì a portata di piede. Un gran peccato: a separarci da un pari storico che ci stava non è stato per una volta il "cinismo" dei più esperti avversari ma solo la winning vertigo individuale di un bravo, onesto lavoratore dell'ovale.
Ci scuserete se alle sconfitte "gloriose" da quaranta punti in saccoccia, nelle kermesse dove tutti sono bravi bravissimi di fronte a immortali campionissimi che sbadigliano distratti, noi preferiamo roderci il fegato e celebrare questo tipo di "ugly loss": ci siamo andati vicini vicini e sono gli avversari a doversi chiedere per una volta, abbiamo vinto sul serio?
- Un bilancio
Tre Test di novembre, due sconfitte e una vittoria. Paradossalmente, l'unica celebrata e santificata dal mainsream è stata sinora la sconfitta pesante con gli All Blacks (poi ci si chiede come mai quelli che il calcio, ci sfottano). Partita che andrebbe derubricata tra le kermesse pubblicitarie riempi pista, roba che se fossimo neozelandesi ci chiederemmo che senso abbiano, dato che non chiedono il gettone, almeno per quel che ne sappiamo.
Piuttosto, speriamo che ora ci si renda conto anche tra i meno esperti del valore da noi sottolineato in tempi non sospetti della vittoria su Tonga, che oltre agli Usa ha raccolto lo scalpo anche della Scozia perdendo solo con noi. Quanto a quest'ultima con l'Australia, è una sconfitta che vale la vittoria con la Francia - mai dimenticare chi arbitrò da par suo quella interminabile mischia finale: tal Bryce Lawrence ... Putroppo non nelle statistiche, ma tant'è. Due sconfitte e una vittoria, bilancio ampiamente preventivabile alla vigilia ma per come è maturato è da considerare ampiamente positivo, pur con qualche ombra: se ci avessero detto che avremmo perso di tre punti con l'Australia, avremmo tutti firmato eccome.
A livello di gioco, ovviamente che nessuno tenti di far passare quel quarto d'ora da incubo nel primo tempo come un tentativo Azzurro, magari poco efficace, di modulare i ritmi di gara e risparmiarsi per il secondo tempo: la realtà è che eravamo sotto le bombe di brutto e psicologicamente siamo crollati: disciplina, errori ... Fortunatamente siamo stati bravi a recuperare mente e presenza altrettanto rapidamente: strano ma vero, è bastato cambiasse un pilone tra gli avversari per far cambiare gli equilibri: un battito d'ali di farfalla in Cina è una tempesta in Europa ... No, non c'è stata gran modulazione dei ritmi: Brunel s'era raccomandato con Gori, ma alla fine è stato Orquera a salire sul podio del direttore d'orchestra. Meglio uno che nessuno.
Sotto il profilo del gioco complessivo, il bilancio è presto fatto: la cura Brunel si vede all'opera, ora la tanto invocata iniziativa d'attacco agli Azzurri non manca.
Altro discorso è se la cura sia efficace: anche Cadorna teneva l'iniziativa, undici sono state le "battaglie dell'Isonzo" ma la dodicesima è passata alla storia come Caporetto ...
Fuor di metafora, ci pare che il rugby di alto livello vada da tutt'altra parte della "iniziativa": a giocare fondandosi sul possesso tra le prime è rimasta solo l'Australia, mentre "quelli bravi" come gli All Blacks giocano di rimessa, aspettando e accelerando sulle ripartenze, s'è visto bene anche col Galles oggi. L'altro approccio vincente (tre vittorie su tre Test in novembre) è quello Springboks, fondato guarda caso sulla solidità difensiva. Se lo sei veramente, puoi andare a vincere a Twickenham sfruttando i rimpalli stile flipper... Abbiamo visto la fine che han fatto le europee di primo rango che giochino "all'attacco": Inghilterra, Galles, Scozia, alti e bassi irlandesi ...
La Francia fa caso a sé: sono riusciti a far leva su una fisicità prorompente senza perdere la tradizionale classe. Oggi han superato una straripante Samoa che ha guidato la gara per oltre un'ora, inseguendo e rispondendo colpo su colpo - rispondere è il contrario del mantenere l'iniziativa, devi esser "solido" per riuscirci.
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